Guardiamoli bene i nostri atleti alle olimpiadi, guardiamo i loro occhi dopo una vittoria, le loro lacrime, la loro gioia incontenibile, le loro urla liberatorie: quanta preparazione, quanta fatica, quanto sudore per quei muscoli per arrivare a quel salto, quel tuffo, quelle frazioni di secondo per giungere alla medaglia. Cerchiamo anche noi da credenti un po’ di quella gioia, quelle lacrime, quegli abbracci dopo una vittoria: anche il cristiano ha una gara, una corsa da portare a termine, come diceva san Paolo, una partenza, un arrivo e un premio; anche noi siamo in gara per vincere il bene sul male nella nostra vita, per vivere ancora il Vangelo, per far salire sul podio gli ultimi e gli emarginati, per portare una gioia diversa nel nostro mondo. Con il vantaggio che noi non abbiamo avversari sul campo di gara ma fratelli, sorelle con cui condividere gioie, fatiche e speranze.
Gesù è venuto per farci vincere questa gara, per portarci sul podio, in alto e l’ha fatto salendo un altro podio, scomodo, atroce il podio della croce dalla quale ha vinto il male per sempre.
Nel Vangelo, domenica scorsa, Gesù ha donato il pane: quella non è stata una moltiplicazione ma una condivisione. Lui per primo ha condiviso con noi la sua storia, poi il ragazzo nel Vangelo ha imitato il suo gesto e dunque il pane è bastato per tutti.
Anche in questo brano sempre del cap 6 di Giovanni, al centro c’è il pane: Gesù si rende conto che i suoi lo cercano perché li ha sfamati gratis, perché ha risolto i problemi, non perché hanno visto dei segni. I segni. La cosa interessa anche noi: tante volte chiediamo a Dio dei segni, i famosi miracoli, per potere credere in lui. Ci piace troppo diventare giudici persino di Dio e chiedergli che ce lo dimostri, che si faccia vedere, altrimenti che Dio è. Come sempre lui deve rientrare nei nostri piani, altrimenti chi si è visto, si è visto.
Il problema è che non siamo capaci di apprezzare e valutare bene i segni che abbiamo già nelle nostre mani e sotto i nostri occhi: non sappiamo ancora apprezzare la sua Parola, questa terra, questo mondo a disposizione, non sappiamo nemmeno apprezzare i fratelli e sorelle che ci vivono accanto e che ci parlano di qualcosa d’altro. Ma ancor peggio è che chiedo a Dio di sostituirsi alla mia volontà e sensibilità: ciò che più conta è il mio sì, la mia ricerca, la mia fede prima dei segni, dei gesti. Ricorda che Gesù nel vangelo compie un miracolo solo se c’è già fede in lui e nel Padre: ma perché questo? Perché solo con lo slancio della fede puoi capire che tutto è prodigio, è bellezza, è vita, tutto è Dio.
Un innamorato vede bello ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo della sua ragazza: prima c’è l’innamoramento, poi tutto diventa segno. Ma se non c’è stato un innamoramento, allora nessun segno parla, né diventa significativo. Inizia a cercarlo adesso, poi tutto diventerà segno della sua presenza.
Ma i suoi continuano a non capire infatti chiedono: ‘Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? ‘ Non è il fare ma il credere, non è il quanto ho lavorato ma il come; non è quanti regali hai fatto a un amico ma come ti sei fatto regalo per lui, come lo hai accolto, consolato, amato.
C’è un pane nuovo da cercare, continua Gesù, c’è un pane vero che nutre per sempre. La manna nel deserto era il pane per il cammino di ogni giorno: la parola manna significa ‘che cos’è? È una domanda. Curioso, non trovate? Anche noi chiediamo a Dio: che cos’è il pane che ci dai tu? Dov’è questo pane? Che cos’è che ci nutre ogni giorno nel cuore? Di che cosa ho bisogno.
Questo è il pane da cercare, di cui nutrire l’anima: è Gesù, è il Maestro, è lui vivo in noi, con noi, per noi.
‘Datevi da fare non per il cibo che non dura ma per il cibo che rimane per la vita eterna’ dice anche a noi il Cristo. C’è un cibo diverso, il vero cibo di cui abbiamo bisogno: c’è il bisogno di una parola diversa, il bisogno di fermarsi, di riconciliarsi con qualcuno con cui abbiamo avuto dei dissapori, c’è il bisogno di occuparci degli altri! questo è il cibo vero. È il momento di fermarsi in questa estate che forse è l’inizio della ripresa ma la ripresa vera è quella di un cambio di passo, di un cambio di direzione nella mia vita, di un desiderio di dar spazio alle cose che contano di più, la ripresa vera sarà data dal cercare un rapporto giusto con le persone che amo per amarle bene, senza assolutizzarle, né metterle sul piedistallo. Gesù vero pane mi insegna ad amare bene, a vivere bene il mio rapporto con persone e cose.
O Signore, passiamo una vita a lavorare per il pane che nutre il corpo, mentre il pane per l’anima ce l’abbiamo a portata di mano ma non lo cerchiamo, anzi lo rifiutiamo. Sei tu questo pane vero, allora anch’ io ti dico: ‘Signore, dacci sempre questo pane!’
Anche qui abbiamo sbagliato: abbiamo sempre chiamato questo brano, la moltiplicazione dei pani e dei pesci ma la parola moltiplicazione, moltiplicare, in questo Vg non c’è. A volte nel corso dei secoli abbiamo preso il Vg, lo abbiamo messo nella nostra testa, abbiamo dato un nome a un brano, lo abbiamo interpretato come piaceva a noi, cambiandone il senso. Invece dovrebbe essere il contrario: prendere la nostra testa, il nostro cuore, le nostre mani e metterle nel Vg, cioè fare in modo che il Vg stesso illumini e trasformi tutta la nostra vita!
È proprio il caso di oggi: non è una moltiplicazione il cuore di questo brano, non è il fatto che Gesù amplifica, ma il cuore, il vero prodigio è il gesto del ragazzo, il suo dono, il suo desiderio di mettere a disposizione il suo cibo, la sua vita per tutti. Questo ragazzo non inventa nulla: non fa altro che ripetere il gesto di Cristo che offre sé stesso per noi, per salvare noi.
Innanzitutto ‘Gesù alzati gli occhi vide una grande folla’, guarda in faccia la gente: non ha lo sguardo rivolto al cielo ma si ferma e incrocia gli sguardi della folla. È un Dio che ti guarda dritto negli occhi per leggere il tuo cuore e i bisogni del tuo cuore. Non è un Dio lontano, preso dalle sue cose, dai santi, dalle preghiere, come a volte ci piacerebbe. No, è il Dio per noi, per me, che alza gli occhi perché anch’io abbia occhi per vedere le necessità di tanti fratelli e sorelle, senza girarmi dall’altra parte. La nostra è una fede, non una religione, che incrocia gli sguardi, che si ferma, ascolta e invita a donarsi, a condividere pane e pesci con tutti.
‘Dove potremo comprare il pane? Gesù diceva così per mettere alla prova Filippo: di solito sono i farisei a mettere alla prova Gesù, ora è lui che mette alla prova Filippo. La soluzione c’è, a portata di mano, ma Filippo non la vede, non se ne accorge, non crede ancora nel Maestro. Ci vuole il salto della fede, ci vuole la fantasia di Dio, ci vuole l’abbandonare schemi vecchi del passato per lasciarci educare dalla novità, da ciò che il mondo ci dice, da ciò che ci accade intorno. I nostri ragazzi ci stanno parlando, i giovani ci parlano, le famiglie ci parlano, i popoli che arrivano da noi affamati di felicità ci parlano e ci chiedono risposte che nascono dal cuore, dal Vangelo, da un Dio che si prende a cuore, che guarda gli occhi, che si dona come il ragazzo ha donato 5 pani e i 2 pesci. Altri evangelisti a questo punto dicono: ‘Congeda la folla, mandali a casa’, non possiamo farci niente! Ma Dio inventa, ribalta le cose e parte dal piccolo dal piccolo seme gettato, Dio parte da 12 uomini sgangherati per salvare il mondo, Dio riparte. Sempre.
‘C’è qui un ragazzo che ha 5 pani e 2 pesci…; ma che cos’è questo per tanta gente?’ Il problema non è solo 5 pani e solo 2 pesci: il problema è se credi che solo con 5 pani e 2 pesci Dio può salvare il mondo! Il problema è se credi che solo con 12 apostoli ha convertito tanti popoli, il problema è se credi che con le tue mani, i tuoi pensieri, la tua volontà puoi cambiare un pezzo di mondo, il problema è se credi che è sufficiente ciò che abbiamo nelle nostre mani per sfamare i popoli affamati, è sufficiente qualche cristiano convinto per formare una comunità viva e vivace. Ma serve anche il gesto del ragazzo che non tiene gelosamente per sé ma dona, si dona, apre mani e cuore per mettere a disposizione di tutti. Aveva capito che c’è più gioia nel donare che nel ricevere. Noi come utilizziamo i nostri beni, ciò che possediamo? Sono un po’ egoista? È solo per me? Accumuliamo per una vita e basterebbe poco per far felice qualcuno….
In questi giorni è venuto a trovarci al Grest Don Davide un mio amico che fa il parroco a Salvador de Bahia. Ci ha raccontato la situazione di bambini e ragazzi in Brasile; su 30 ragazzi di 11 anni che si preparano a ricevere la Cresima, solo 5 sanno leggere e scrivere. La sua attività principale, oltre alla catechesi naturalmente, è legata a creare momenti di gioco attraverso il calcio e la danza, al termine dei quali c’è sempre la merenda, anche perché quei bambini mangiano una volta al giorno quando va bene. Però, anche in mezzo a violenze, furti, droga, sono felici, si prendono cura di qualcuno, la porta delle loro baracche nelle favelas è sempre aperta, pronti ad aiutare qualcuno; come una grande famiglia. Quando un bambino, un ragazzo perde la famiglia, trova subito un vicino di casa, un parente, un amico che si prende cura. Noi quanto dei nostri 5 pani e 2 pesci sappiamo condividere con chi ha bisogno?
‘Raccogliete i pezzi avanzati perché nulla vada perduto’. Gli apostoli hanno raccolto gli avanzi di pane; noi dobbiamo raccogliere i pezzi avanzati di questi mesi di pandemia: tante fatiche, tanti abbandoni, la fatica ancora ad uscire di casa, tanti ragazzi con disturbi psichici… Raccogliere i pezzi nella nostra comunità e ricominciare meglio e più uniti di prima. Lui vuole che niente e nessuno vada perduto, non vuole perdere nessun ragazzo, nessuna famiglia, desidera parlare e raggiungere tutti, attraverso te e attraverso me.
O Signore, Dio che ci guardi negli occhi, fa’ che creda veramente che tu attraverso i miei 5 pani e 2 pesci sai sfamare tanti fratelli e sorelle. Non conta quanto abbiamo in mano ma conta il desiderio di metterlo a disposizione, conta la mia fede in te. Allora davvero nulla e nessuno andrà perduto.
Ritornano a casa i discepoli dopo aver predicato, insegnato, dopo giorni di successo della predicazione e raccontano a Gesù pastore. È un momento quotidiano, il ritorno a casa dopo una giornata di lavoro: fatica, caldo, a volte è andata bene, a volte no. In questi momenti senti il bisogno di un volto amico, un sorriso, un abbraccio, un ‘che bravo, sono contento di te’. Invece a volte noi siamo insoddisfatti e non gustiamo o non facciamo gustare agli altri questi momenti.
‘Venite in disparte e riposatevi un po’. Gesù li stupisce: ‘avete bisogno di capire cosa è accaduto, fermatevi. Prendetevi cura di voi stessi, non fatevi trascinare dagli eventi, non disperdetevi; prima avete curato gli altri, ora curate voi stessi e lasciatevi curare da me, dice Gesù.
Lui vuol portare in vacanza i suoi, al mare, in montagna, comunque per ristorarsi, riprendersi, ma soprattutto per capire a che punto sono. Un po’ di tempo fa ho parlato con una coppia giovane, due figli, lavorano entrambi marito e moglie anche il sabato mattina, a volte i turni, mutuo, e via di questo passo: il cliché più o meno è lo stesso: fatica, poco riposo, per fortuna ci sono i nonni, e lentamente affiora una domanda sottotraccia, inespressa, latente: ‘ ma quando un po’ di vero riposo? Di vacanza? Ma siamo contenti, siamo veramente felici? Ecco il punto: forse non ci poniamo alcune domande profonde, per evitare di imbatterci in una risposta deludente. Che vacanza farai? Non necessariamente in altri continenti. Come pensi di viverla, per non tornare più stanco di prima, come pensi di rigenerare spirito e corpo?
Abbiamo bisogno di riposo, di riprendere fiato, di capire che cosa ci sta accadendo, altrimenti i fatti, i momenti belli, gli anni, ci scivolano via senza coglierne il senso, lasciandoci un po’ di amaro in bocca.
A volte da buoni lombardi siamo presi dall’ansia da prestazione: dobbiamo fare tutto noi, corriamo dalla mattina alla sera, da lunedì all’altro lunedì senza sosta. Sembra che la salvezza dell’intera umanità dipenda da quanto lavoro facciamo. E arriviamo col fiato corto, tirati, stanchi e tutto si complica.
Gesù pastore li ferma, ci ferma e ci invita a riposare cuore, mente, corpo: È lui il vero pastore che ci conosce e sa prenderci per mano; sa accarezzare i nostri sentimenti, le nostre emozioni e farci rialzare ancora. Sa curare le nostre ferite come anche rallegrarsi per le nostre gioie. Ma abbiamo bisogno anche di qualche pastore umano, qualche fratello maggiore, qualche punto di riferimento, qualcuno da cui andare per confidarsi, chiedere consiglio, qualcuno su cui posare il capo per capire che cosa significa vivere e non sopravvivere! Il vero modello, il vero Pastore è solo il Cristo, il Maestro che ci mostra il volto del Padre: lui ascolta le nostre fatiche, i nostri dolori e ansie, ci invita a non temere, ci incoraggia ancora, ci esorta a riprendere il largo.
Il nostro Pastore ha compassione, soffre con noi, gioisce con noi: sa bene che altri falsi pastori ci girano attorno, ci fanno il filo e ci ingannano. Sa bene che molti ne sono vittime: ma sa altrettanto bene che in noi c’è sempre quella scintilla, quell’atomo che appartiene a lui, che ce lo ricorda e che ci fa sentire nostalgia ogni volta che lo perdiamo di vista.
Cerchiamo in questa estate quello scoglio sul mare, quell’angolo di collina, quel paesaggio di montagna, quell’ansa di lago, ma anche quell’albero in giardino o in riva a un fiume per fermarci, ascoltare il cuore, pensare e chiedere a Gesù pastore di donarci quella pace nel cuore che solo l’incontro con lui ci può regalare.
O Signore, vero pastore, ti ringraziamo per le tue parole, per il tuo desiderio di prendersi cura di noi, per la compassione per una folla che ha bisogno di una parola nuova, diversa, autentica; ci sono anch’io in mezzo a quella folla, io che ho bisogno di fermarmi e cercare in te quella pace e quella gioia che solo tu mi doni. Grazie bel pastore, insegnami a cercare spazi e tempi per rigenerarmi, per smettere di correre ma di accogliere la tua Parola come momento di incontro con me stesso e con i miei sogni, con la mia vita, con tutti i miei fratelli.
‘Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a 2 a 2’: prima chiama e poi manda, invia. Apostolo significa proprio mandato, inviato. Mentre vanno, comprendono chi sono, il loro ruolo. Non fa tutto lui, decide di fare insieme, ciascuno con il proprio ruolo, come in una famiglia: ciascuno diverso dall’altro, ruoli diversi, una sola meta. Non è un generale che invia le sue truppe a conquistare un territorio nemico: è un Dio che contagia con il suo fuoco, con il desiderio di guarire, di stare vicino agli ultimi, è un Messia che annuncia un regno di pace, di giustizia, di gioia. L’incendio di amore che ha nel cuore lo vuole estendere in tutto il mondo, nessuno escluso. La parrocchia non è del parroco, l’oratorio non è del prete, evangelizzare non è compito solo del prete ma di ogni battezzato. Tocca a noi contagiare i nostri fratelli con lo stesso fuoco di Dio È anche il tuo compito, il tuo ruolo: dobbiamo fare ancora un po’ di strada su questo concetto; troppi si tirano indietro e alzano le mani dicendo: ‘Non è compito mio!’
A 2 a 2: Lui affida e si fida! ‘Ma come, non siamo capaci, non ho studiato, non so parlare, non ho fatto il chierichetto, è un po’ che non vengo a Messa: anche i discepoli avranno detto così a quel Messia illuso che affida il suo regno a 4 straccioni analfabeti e poco convinti. Meglio se non hai studiato, non sai parlare, non hai fatto il chierichetto, meglio: Gesù non ha scelto gli studiosi del tempo o chi sapeva incantare a parole! Ha scelto chi aveva voglia di provarci, di mettersi in gioco, di far guarire, di diventare pescatore….. di uomini.
Due, perché non 3, 4? Due per imparare a conoscersi bene e sopportarsi, due perché è l’inizio della comunità, due perché la gente, più che ascoltare le loro parole, avrebbe osservato come quei 2 si volevano bene!
Non basta una lettera nella cassetta postale, una mail, un testo del vangelo regalato! Ci vuole un volto, uno sguardo, un sorriso, un annuncio, una testimonianza! Chi farà venir voglia al tuo collega di battezzare suo figlio? Chi farà venir voglia a tuo figlio di sposare la sua compagna? Chi farà venir voglia a un ragazzo di entrare in seminario? Chi farà venir voglia a tuo figlio a continuare a frequentare l’oratorio anche dopo la Cresima? Chi farà venir voglia al tuo amico di perdonare il suo capo? Chi? Una pagina scritta 2000 anni fa ma annunciata, rispiegata, incarnata da te, da me, da ogni battezzato, da un discepolo di oggi! Cristo non ha mani, non ha piedi dice un canto: ha i miei piedi, i tuoi, la mia bocca, la mia volontà!
Il primo annuncio non lo fai a parole ma con la tua vita: né pane, né bisaccia, né denaro nella cintura, con una sola tunica! Liberi, semplici, senza tante cose che sembrano aiutarti ma che in realtà sono una palla al piede. Liberi, leggeri per far diventare liberi e leggeri. Ogni volta che faccio trasloco, mi accorgo di quante cose inutili ho: le metto via, penso che un giorno mi serviranno, a volte sono un ricordo, spesso non le uso mai! Allora prima del trasloco faccio pulizia, prendo coraggio ed elimino: e mi sento un po’ più libero, più leggero, meno attaccato alle cose, meno schiavo. Sarà una mia tara mentale ma mi serve. E mi fa capire che ho bisogno non tanto di libri, file, documenti, testi ma ho bisogno di annunciare con la mia vita, ho bisogno di farmi ancora oggi discepolo, ho bisogno di riprendere in mano io per primo il Vangelo, ho bisogno di ascoltare ancora l’invito:’ Andate ‘. Sono io ad aver bisogno di annunciare il vangelo, non il Vangelo che ha bisogno di me!
È un Dio del movimento il nostro: quando ti fermi inizi a morire dentro, nel cuore! Il movimento che c’è nella Trinità. Vuole i suoi amici e noi non in sagrestia, a conservare i simboli sacri di un passato glorioso, a lucidare suppellettili d’altri tempi, Lui non vuole restare sigillato in tabernacoli dorati: ci vuole innamorati infuocati, in cammino sulle strade vuote di amore, di senso e di speranza!
Gesù ci chiede di andare e di restare: restare nelle case, nelle periferie, accanto a chi ha bisogno di una parola diversa, di abitare paese, piazza, strade: ci chiede di fare come ha fatto lui! Partecipi, non spettatori o, peggio ancora, giudici inflessibili.
Con la libertà di scuotere la polvere dalle scarpe per indicare che il loro eventuale rifiuto non spegne l’incendio che abbiamo nel cuore.
O Dio in cammino, desideroso solo di guarire, sanare, salvare. Rendici partecipi del tuo desiderio di raggiungere ogni fratello e sorella, di partire, di non fermarci, ma di sentire ancora una volta la gioia di accogliere il tuo invito: ‘va, parti, parla di me al cuore dei tuoi fratelli, ma prima amali senza misura, come io ho amato tè!
Ci sono brani del vangelo che non hanno tempo, scritti duemila anni fa ma ancor più attuali della cronaca odierna di un quotidiano. Brani che ti scavano dentro e ti mettono serenamente in crisi: e sei dibattuto tra lo scappar via perché ti senti a disagio di fronte a tanta luce ma anche ti senti attratto, calamitato perché capisci che lì trovi tanto!
È il caso di questo brano intenso, forte, diverso da noi: un brano incastrato in un altro: entrambe queste storie ci parlano di vita, vita donata. Entrambe caratterizzate dal numero 12: 12 anni di malattia, 12 anni di vita della fanciulla. A dodici anni la vita fiorisce, è l’età della pubertà: non puoi morire a 12 anni, eppure nel brano c’è lo spettro all’orizzonte. Numero della pienezza, della totalità: 12 tribù di Israele, 12 apostoli, 12 mesi dell’anno.
È una storia di donne destinate ad accogliere e far nascere la vita, mentre qui aleggia lo spirito della morte: la figlia di Giairo è ammalata gravemente e la donna affetta da emorragia perde sangue, cioè sta perdendo la vita. Due dolori diversi ma accomunati dal senso della fine, del vuoto, della morte, la paura più grande dell’uomo; ma nella tempesta di domenica scorsa, Gesù calma il mare, vince la tempesta e fa capire a i suoi che il vero male non è la tempesta ma la poca fede: la fede autentica riduce la tempesta, te la fa superare!
Giairo è un capo della sinagoga, un’autorità, esperto nella liturgia del tempio ma qui non ha più appigli, è solo un uomo affranto e disperato che vede all’orizzonte la morte della figlia. È uno che prega, Giairo, ha una fede autentica, ma qui sembra non servire niente. ‘A cosa sono servite le vostre preghiere se poi quella tua parente poi è morta? A cosa sono servite le lacrime? ‘ A volte qualcuno butta lì domande che sgorgano dal cuore: non c’è colpa ma solo una fede che deve ancora rinascere, fiorire, germogliare.
Le prova tutte Giairo anche buttarsi ai piedi del Maestro, si sa mai…. Non ha più niente da perdere Giairo! Gesù allora si muove, parte con passo deciso prendendo con sé Pietro Giacomo e Giovanni gli apostoli della Trasfigurazione, come per dire che sta accadendo una nuova trasfigurazione in cui appare la luce nuova di Gesù sul volto della fanciulla.
Gesù si prende cura di entrambe, si prende cura di chi è senza vita, di chi sta perdendo la vita o si sta perdendo in qualche via senza uscita: anche quando dicono a Giairo: ‘ Tua figlia è morta, perché disturbi ancora il Maestro?’ Ma lui è venuto per farsi disturbare: non avrebbe lasciato il suo cielo se non avesse voluto farsi disturbare. Quello che noi chiamiamo ‘disturbo’, lui lo chiama opportunità, possibilità, desiderio di portare salvezza, gioia, speranza nel mondo. Gesù non si ferma e riprende: non temere: soltanto abbi fede!’. Non temere le tempeste Giairo perché il vero problema non sono le tempeste che ci accadono ma la poca fede in Dio, nei fratelli e in noi stessi. ‘Soltanto abbi fede’: il resto lo fa Lui.
È la fede di Giairo che permette il prodigio, il segno: è la nostra fede che permette a Dio di compiere prodigi; cioè, il vero prodigio è la nostra fede!
Il vero prodigio è il tocco del lembo del mantello! Tutti si accalcavano addosso a Gesù, tutti lo tiravano da ogni parte ma lui avverte quel tocco flebile, quello sfiorare il mantello, quel gesto fatto con fede. La donna non può toccare il maestro, non osa perché la donna durante le mestruazioni diventa impura e avrebbe reso impuro Gesù; si limita a sfiorare il mantello, segno del desiderio grande di abbracciarlo, di stringerlo, di essere guarita. Ma non è lei a rendere impuro lui ma lui che rende salva lei, donandole la salvezza.
Tutti si accalcano ma solo lei lo sfiora e lo incontra: solo chi lo cerca con fede lo può incontrare e viene non solo guarito ma soprattutto salvato.
Possiamo stare vicino a Dio per secoli ma non incontrarlo mai: possiamo invocarlo per anni ma non guarire, perché non ci consideriamo malati, bisognosi di quel tocco! È il suo tocco delicato a rialzarci, a ridarci speranza, abbiamo bisogno non di mille persone intorno, non di ‘bagni di folla’ ma abbiamo bisogno che qualcuno ci sfiori il cuore e vinca il nostro male, la morte, il peccato che rischia di impossessarsi di noi.
La vicenda di queste 2 donne ci insegna che solo Gesù sa vincere ma a condizione che noi per primi crediamo in lui e facciamo il …secondo passo. Perché il secondo? Perché il primo l’ha già fatto lui quando è venuto tra noi.
O Signore della vita, anche in me ci sono germi di morte, di fine; san Paolo diceva ‘cotidie morior’ ogni giorno muore qualcosa in me. Tu vai oltre: ogni giorno vivi, riprendi vita, rialzati, risorgi. Fidati di me nella tempesta, nella tua perdita non di sangue ma di vita e diffondi questa vita, questa fede in me in ogni fratello che ha bisogno di qualcuno che lo tocchi nell’anima.
C’è sempre qualche traversata che ci mette in crisi, c’è sempre qualche burrasca che sconquassa la chiglia della nostra anima e si infrange su noi mandandoci in crisi. La pandemia è stata una bella burrasca, una tempesta per tutti, ci ha messo in ginocchio, ci ha tolto molti fratelli: lentamente ne usciamo. Non ci illudiamo che siamo diventati più buoni, stiamo tranquilli; usciamo anche dai luoghi comuni del ‘ritorno alla normalità’: non ne possiamo più di queste frasi. Cerchiamo piuttosto di far tesoro di qualcosa che abbiamo imparato, se l’abbiamo imparato.
Una cosa io ho capito: che siamo fragili, che è bastata non una guerra nucleare ma un virus per sconvolgere il nostro mondo; e poi che abbiamo bisogno degli altri, di amici, di compagni di viaggio, di fratelli con cui condividere sentimenti, emozioni, progetti, o anche solo una pizza!
‘Passiamo all’altra riva ‘ dice Gesù all’inizio del brano. C’è un passaggio da fare, una Pasqua da vivere, c’è qualche cambiamento che ci sconvolge e non ci lascia come prima; ci costringe a cambiare …in meglio!
Gli apostoli sulla barca sono nella tempesta, nel panico: ‘Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciarono nella barca tanto che ormai era piena’. Gli ebrei temevano il mare, rappresentava la morte per loro: sentono la fine vicina, il fiato sul collo, le onde che invadono barca e cuore e scogli contro cui si infrangono i loro progetti e le loro speranze.
Ma ciò che più li sconvolge è il sonno di Gesù, la sua apparente assenza; Gesù a poppa, sul cuscino dorme. Ci sono istanti, momenti, anni in cui questo Dio lo senti lontano o non lo senti affatto; c’è ma dorme. E questo è peggio di chi dice: Dio non c’è. Quando i nostri fratelli non avevano più fiato, più respiro, quando tuo marito non si risveglia dal coma, quando i tuoi sogni si infrangono uno ad uno e perdi ogni speranza.
Un mio vecchio parroco diceva: ‘Quando inizi a metterti per strada, incominci un cammino, ricorda che la tempesta prima o poi arriva! ‘ Piccola o grande, ma arriva e li ti accorgi che devi cercare appigli e certezze a cui ancorarti per superarla.
Su quella barca non trovavano appigli, solo un Dio assente! ‘ Maestro, non ti importa che siamo perduti?’ La disperazione è arrivata!
Tutto era partito da quel ‘Passiamo all’altra riva’ all’inizio del brano. Gesù li porta lì non per farli affondare e morire ma perché si rendano conto della loro poca fede, perché capiscano di aver bisogno di lui, perché tocchino con mano la sua potenza e sentano quel grido: ‘Taci, calmati’. Dio è il vicino, il presente!
È la nostra poca fede il vero ostacolo, non la tempesta! È la nostra resistenza a cambiare a passare, a fare Pasqua, a morire e risorgere come fa lui. Tutto serve al credente per diventare discepolo, per farsi terreno accogliente del seme della sua Parola, tutto serve per sprofondare nell’abisso della paura e dell’abbandono per poi rinascere a vita nuova, per passare dalla poca fede alla certezza della sua presenza della sua potenza!
O Dio vicino, sulla barca della Chiesa che attraversa le tempeste del mondo e della storia: abbiamo bisogno di te nella nostra vita, vogliamo prenderti ‘ così come sei’ come dicono gli apostoli, senza pensare a un Dio diverso, a nostra immagine. Vinci la nostra poca fede, il vero pericolo per noi: se crediamo e ci abbandoniamo come fai tu tra le braccia del Padre, allora nessuna tempesta ci farà paura e attraverseremo con te ogni mare, ogni fatica, ogni deserto. L’unica cosa che ti importa è che non siamo perduti ma ci salviamo seguendo quel tuo dolce rimprovero: ‘ Perché avete paura? Non avete ancora fede?’
‘Quanto ha detto il Signore noi lo eseguiremo e vi presteremo ascolto’. Mosè parla a nome del popolo e dichiara che ascolteranno e metteranno in pratica la Parola di Dio. È un momento solenne, anche se poi verranno meno a quella promessa: ma Dio non demorde, lui ha promesso, prima di Mosè; lui mantiene la promessa e la manterrà soprattutto nel Figlio, pane di vita.
Oggi è la festa del Corpo e Sangue del Signore! Gesù è qui ancora, in quel pane che viene consacrato e donato non ai perfetti e ai puri ma a chi ha fame, a chi lo cerca, a chi si incammina verso di lui, a chi, in qualche deserto della vita ha bisogno di nutrimento. Facciamoci una domanda: quanta fame ho ancora di questo Gesù? Quanto lo cerco, quanto mi nutro di lui? Quanto divento io quella stanza al piano superiore che Gesù ha chiesto? Gesù cerca la stanza del mio cuore per essere vivo e celebrare la Pasqua; ha bisogno di un cuore docile, un cuore innamorato, un cuore che ama come il suo. Al piano superiore, non a quello inferiore della vita ma in alto per vedere meglio le cose, per distaccarsi per poi tornare giù nel mondo. Innalzato da terra per poi essere più vivo che mai. La grande sala è già pronta, arredata: manca solo lo sposo e la sposa che siamo noi. Ma è un banchetto particolare perché lo sposo diventa il cibo da mangiare. Si mette a disposizione: non c’è un altro cibo preparato da altri, no, lo prepara lui stesso, donando sé stesso.
C’è tutto ma manca il mio sì, il tuo sì: “eccomi, vieni nella stanza del mio cuore Signore, senza di te sono vuoto, senza senso, sono un grembo vuoto, sterile, senza frutto!”
Ma c’è un altro Corpo da adorare, non solo quel pane consacrato! C’è il corpo dei fratelli e sorelle: c’è il corpo dell’ammalato, c’è il corpo del marito disabile, c’è il corpo del povero che ti ferma per strada, c’è il corpo di un bambino da far nascere e chiamare alla vita, c’è il corpo dei ragazzi da ascoltare a cui star vicino. C’è il corpo del mio amico che mi ha trattato male, c’è il corpo di due ragazzi innamorati, c’è il corpo di una coppia che si ama. Dio è in quei corpi che insieme formano IL Corpo che è la Chiesa! Che è il mondo intero. ‘Dove 2 o 3 sono riunito nel io nome, io sono in mezzo a loro’.
Facile adorare un pezzo di pane, più difficile adorare il corpo di quello là che non sopporto e che mi deve dei soldi…: proprio davanti a quel corpo, il Signore mi chiama e mi ricorda quanto ha fatto per me, quanto si è donato, quanto ha rinunciato, quanto ha lasciato il suo cielo per mettere il suo corpo nelle mani di una ragazza adolescente, nelle mani di un padre che si è fidato, nelle mani di Giuda, nelle mani dei soldati, nelle mani di chi l’ha inchiodato alla croce. Solo se ricordo che lui ha donato a me il suo Corpo, sarò capace di mettere il mio a disposizione del fratello, persino del nemico.
All’inizio del brano di Marco, i discepoli chiedono: ‘Dove vuoi che andiamo a preparare perché TU possa mangiare la Pasqua?’ e Gesù chiederà: ‘ Dov’è la mia stanza in cui IO possa mangiare la Pasqua?’. È fondamentale questo passaggio: ‘E’ lui che mangia la Pasqua, è lui che fa Pasqua non i suoi; Gesù non chiede nulla i suoi, chiede solo di accettare il dono di sé, la sua Pasqua, il suo passaggio verso il regno del Padre. Gesù è Dio perché si dona, dona quel Corpo per noi. Ci hanno sempre detto che devi fare, devi impegnarti, devi…: certo ma tutto inizia dal ricevere, dall’accogliere i suoi doni, il suo corpo e poi saprai a tua volta diventare parte del corpo della Chiesa. È il suo dono che ci salva, quella croce, quel sangue versato, quel corpo spezzato. Ma anche il tuo, il mio dono al corpo di tanti fratelli perché in quel corpo vediamo il corpo del Signore Gesù!
O Signore, dici ancora a noi: ‘Prendete questo è il mio Corpo’ Prendimi per mano nel cammino della vita, fai di me una stanza pronta ad accogliere la tua presenza, una stanza al piano superiore, già pronta dall’eternità: hai bisogno di me per entrare ancora nel mondo. Fammi accogliente della TUA Pasqua, del tuo dono all’umanità sofferente: se accolgo il tuo dono allora saprò donare il mio corpo ad ogni fratello in cerca di Te.
Chi è questo Dio? Cosa fa? Perché non ci aiuta quando abbiamo bisogno? Ogni tanto ci chiediamo qualcosa della carta di identità di Dio, dove abita? Ma soprattutto cosa c’entra con noi con la mia famiglia, con le persone a cui voglio bene, con il lavoro, con il mio tempo libero, quando devo scegliere qualcosa. Insomma cosa ho a che fare con lui? È il Dio bacchettone, il Dio assente, lontano che ha alte cose da fare? Il Dio dei filosofi: devi dimostrare che esiste. O il Dio della nonna, tanto buono e bravo, gli diciamo anche le preghierine ma che non serve a niente! ‘Ho già tanti impegni’, gli diciamo, se poi ci si mette anche Dio o i preti o le catechiste….
Punto, a capo! Ripartiamo!
Anche gli ebrei si sono posti questa domanda per secoli : Dio era il Dio dei padri, il Dio dei comandamenti, il Dio di Mosè ; sì il Dio vicino che aveva salvato dalla schiavitù, che aveva dato la terra promessa, li aveva fatti diventare un popolo solo ma poi tutto finiva lì, un bel Dio da mettere sul piedistallo, incorniciare, pregare in qualche festa, qualche bel sacrificio, qualche sinagoga, ma poi scribi , farisei e compagnia andavano per la loro strada e la vita, come diciamo noi, era un’altra cosa! Gesù li chiamava: ‘sepolcri imbiancati’.
Una bella religione, con tanti riti e preghiere: non una fede!
È come quando uno vede un amico in compagnia di una ragazza mentre sono vicini, mangiano una pizza, scherzano e poi il giorno dopo si incontrano i 2 amici e uno chiede all’altro: ‘Ti ho visto ieri, chi è quella là? La tua ragazza, ti piace? Risposta: ‘Eh insomma, è simpatica!’
Ok simpatica ma non hai perso la testa, non sei innamorato, non è scoccata nessuna scintilla! Solo simpatica, niente di più!
Noi facciamo così con Dio: gli diciamo che è bello, bravo, anche simpatico, ci commuoviamo quando lo vediamo in croce, a Natale non manca nessuno, o quasi, andiamo alla processione, ricordiamo che la nonna mi faceva dire le preghiere oppure ricordo quando andavamo tutti all’oratorio….ma tutto si ferma lì! Non perdiamo la testa per lui, non scocca la scintilla, non ci innamoriamo! Una bella religione, con questo Dio, ma non una fede!
Invece lui è innamorato di noi. Ha perso la testa!
Trinità è un Dio famiglia: parola chiave per noi. Un Dio che vive come una bella famiglia, dove non c’è il mio e tuo ma il nostro. Dove la gioia di uno è la gioia di tutti, il dolore di uno è il dolore di tutti; dove se c’è qualcosa da fare si cerca di darsi una mano (anche se non è tutto rose e fiori, lo sappiamo).
Trinità è un Dio che va a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con mano potente e braccio teso…. (Deuteronomio). Lui ci ha scelto! Bisogna vedere se noi abbiamo scelto lui! La Trinità ce l’ha messa dentro, nel nostro DNA: è nelle nostre cellule il bisogno di incontrare amici e fratelli, il bisogno di allacciare dei legami forti, autentici, il bisogno di specchiarci negli occhi degli altri. La Trinità è l’aria che respiriamo! È nelle nostre cellule.
Trinità è un Dio che ci chiama non più servi ma amici! Ci chiama figli adottivi come dice san Paolo nella seconda lettura. Ha rinunciato a suo figlio per far diventare noi suoi figli. Parte della sua famiglia! Un giorno un amico mi raccontò che da bambino i suoi genitori si ammalarono e in pochi anni morirono, lasciandolo orfano. Dapprima alcuni parenti si presero cura di lui, poi una famiglia si offrì per accoglierlo in casa: avevano già altri figli ma furono disposti a far spazio, a prendersi cura, ad allargare tavola e cuore. Questi sono i veri miracoli, quelli che piacciono a Dio. Figli adottivi della Trinità.
Trinità è un Dio che è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo! Non noi con lui ma lui con noi. Lui ha deciso di stare con noi, di amarci fino alla fine, di fare un patto, una Alleanza con noi, anche se noi abbiamo altre idee e altri progetti.
O Dio Padre, Figlio, Spirito: non ti capiremo mai abbastanza, per fortuna. Tu sei soffio, sei incontro, sei abbraccio, sei famiglia, sei voglia di cercare nuove sorelle, fratelli per annunciare loro che non saremo mai soli ma anzi ci sarai Tu tutti i giorni fino alla fine del mondo; allora non mi interessa tanto vederti ma godere dei tuoi doni e dei frutti che semini sempre intorno a me.
50 giorni dalla Pasqua, 50 giorni di Spirito Santo, 50 giorni per fare il pieno di Dio: 50 come gli anni dopo i quali gli ebrei celebravano il Giubileo tempo in cui gli schiavi erano liberati, i debiti azzerati, la terra, lasciata riposare: iniziava un tempo nuovo, il tempo in cui Dio faceva nuove tutte le cose.
Serve anche a noi un tempo così per azzerare i debiti del peccato, liberarci dalle catene dell’ingiustizia, riposare il cuore nell’incontro con lo Spirito. Pentecoste è tempo di silenzio, di intimità nel Cenacolo, è tempo di gioia, di festa, è tempo di partenza verso il mondo. È tempo in cui ci accorgiamo, come gli apostoli, che da soli non ce la possiamo fare, che ci serve il famoso gancio in mezzo al cielo, che ci serve un cuore nuovo, ci serve uno spirito, lo Spirito, dentro, che ci suggerisce, ci sussurra, ci anima.
È vento irruente, è uragano, è forza dirompente: quella di chi si getta in mare per salvare un bambino profugo che sta annegando, quello che fa partire una missionaria verso un Paese lontano per stare accanto agli ultimi, la forza di un magistrato che lotta contro la criminalità e rischia la vita, ogni giorno, la forza di chi riparte ogni mattina anche con un peso enorme sul cuore e sa che da solo con ce la fa ma confida nello Spirito, primo dono ai credenti, e in tanti amici accanto. Ma anche la forza che fa partire due ragazzi per formare una famiglia anche se tutti dicono loro che non ne vale la pena, che non è più tempo di sposarsi, che tanto poi si separano tutti!
Prima, tra gli ebrei, la Pentecoste era una festa legata all’agricoltura, al raccolto dei campi, poi è diventata ricordo del dono della legge, della Parola di Dio ma scribi e farisei l’hanno ingabbiata in una serie di regole da rispettare e codici pesanti e aridi, ma lo Spirito nella nuova Pentecoste raggiunge i discepoli asserragliati nel Cenacolo e li trasforma in testimoni di un fuoco che avevano dentro, e li invitava a incendiare il mondo con quel fuoco. Se la prima Pentecoste era imparare a memoria la legge e non sgarrare, altrimenti Jahwè si arrabbiava, la nuova Pentecoste è slancio di discepoli innamorati che buttano alle spalle la paura e vivono da risorti nel mondo.
Non più le tavole della legge dove erano scolpiti i comandi di Dio, ma una lettera d’amore scritta col sangue di Gesù in croce e col sangue dei primi testimoni divenuti martiri.
“Egli darà testimonianza di me” dice Gesù: c’è bisogno di passare dal ‘ fammi vedere i segni di Dio nel mondo ‘ a ‘ cerco io i segni di Dio nel mondo, anzi cerco di diventare io un segno di Dio nel mondò. Questo significa essere testimoni, non per gli altri ma pe rincontrare davvero questo Dio: l’unico modo per incontrarlo è iniziare a diventare testimone suo nel mondo. Madre Teresa di Calcutta diceva a un giornalista: ‘io Dio lo vedo dappertutto, nell’ammalato, nella famiglia felice, nel moribondo; sei tu che non riesci a vederlo. Per me è impossibile non accorgersi che c’è’.
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”: il peso della verità che a volte è grave. Meglio restare un po’ in penombra, meglio una mezza verità o una piccola menzogna. Invece lui dice che lo Spirito ci guiderà alla verità e ci da la forza per sopportarla. Quale verità? La verità su Dio, sull’uomo, sul futuro, sul regno di Dio, sul male che c’è ancora nel mondo! Non siamo ancora pronti: solo questo Spirito ci può dare la forza.
Lasciati guidare allora, lascia fare, abbandonati come un bimbo in braccio alla mamma, lascia fare, fidati e ti guiderà a quella verità di cui hai così paura. Lascia che sia lui a orientare i tuoi passi ma soprattutto il tuo cuore e sarà tutto più facile.
Non più Dio con noi (a Natale), non Dio per noi (a Pasqua), ma Dio IN noi! Questa è la Pentecoste.
Vieni Spirito di sapienza: donaci il sapore di te per dare sapore alla vita
Vieni spirito di intelletto: facci leggere con occhi nuovi dentro nelle cose e nel cuore dei fratelli
Vieni Spirito di consiglio: sussurra alle nostre orecchie le tue parole di incoraggiamento.
Vieni Spirito di fortezza: perché non si spezzi il legame che ci unisce a te.
Vieni Spirito di scienza per farci conoscere la bellezza dei tuoi misteri che hai seminato nel mondo.
Vieni Spirito di pietà che ci fa commuovere, piangere e consolare tanti fratelli che sono nella prova.
Vieni Spirito di timor di Dio che non ci incute paura ma ci fa venire il timore di stare lontano da te, di allontanarci dal tuo sguardo di Padre.
‘Andate’ è il verbo di Dio; noi preferiamo fermatevi, aspettate, pensateci su, o magari, torna indietro, mi sono sbagliato. Lui invece preferisce ‘andate’ partite. Il papa direbbe ‘ chiesa in uscita, in partenza’. Bisogno di andare e proclamare.
Ascensione è al futuro: c’è un mondo che ha bisogno di annunci gioiosi, c’è un mondo che attende una parola nuova, diversa, c’è un mondo che non ha più fame: tocca a noi far ritornare la fame, tocca a chi ha incontrato il risorto! A volte rimpiangiamo il tempo in cui la gente aveva fame di Dio, di Chiesa, di preghiera: oggi c’è meno fame, o meglio c’è fame di altro, c’è fame di credenti, di testimoni, c’è fame di segni nuovi, diversi! C’è bisogno di scacciare i demoni dal cuore dell’uomo: il demonio dell’egoismo, della chiusura, il demonio dell’ipocrisia, il demonio dell’indifferenza. C’è bisogno di parlare lingue nuove: le lingue dei ragazzi allo sbando che per far vedere che ci sono la fanno a botte nei parchi, nelle piazze; tocca a noi capire la loro lingua e parlare le loro parole, non per giustificare tutto quello che fanno ma per rispondere nel modo giusto. Da adulti, prendendoceli a cuore. C’è bisogno di prender in mano il serpente del male che serpeggia tra noi e ci rende nemici: dobbiamo uccidere in noi questo serpente degli antagonismi, degli schieramenti, del ‘ quello là non capisce niente, non ha mai capito niente’, uccidere il serpente di una rivalità che emerge subito dentro di noi appena vediamo qualcuno che non è dei nostri o ha fatto qualcosa che oggettivamente non va bene. L’unico modo per affrontare bene il problema è uccidere in noi il serpente del peccato originale che imprigiona il cuore e ci impedisce di vedere l’altro come un fratello! Questa è Ascensione.
‘Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo, chi non crederà, sarà condannato’. Ma come? Gesù condanna uno che non crede? Lo manda all’inferno? Invece di aiutarlo…. No, ferma! Chi non crede in questo Dio asceso, si condanna con le proprie mani: si condanna a una vita inutile, di serie B, si condanna a non capire niente della vita, si condanna all’inferno già qui sulla terra, si condanna a non lasciare mai gli ormeggi, a non andare e non partire mai: la condanna vera è sopravvivere, non vivere, la condanna vera è aspettare che il treno mi passi sotto il naso anziché programmare il mio viaggio, la condanna vera è non accorgerci che questo Dio ascende nel mio cuore non in cielo, dentro di me , dentro la Chiesa, quando un cristiano, una comunità produce quei segni descritti da Marco.
Ecco che cos’è l’Ascensione: la festa non di un Dio che parte e torna a casa ma la festa di ogni uomo che diventa sacramento, un uomo, una comunità che prende le cose sul serio e capisce che Gesù è dentro di noi, nella vita, nel pensiero, nelle mani, nei cuori per rendere ancor più vivo Dio adesso, ovunque!
‘Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà… ‘ Ne siamo certi! Verrà ma non solo alla fine dei tempi ma viene oggi, adesso, sempre nella vita di ogni donna, di ogni uomo, là dove c’è un cuore che ama, dove c’è un tralcio che porta frutto, dove c’è una pecora che segue il bel pastore, dove c’è qualcuno che rimane in Dio e lo lascia rimanere nella propria vita.
Simone Cristicchi in un libro intitolato ‘alla ricerca della felicità’ dice che alla sera dovremmo farci non l’esame non di coscienza, ma l’esame della bellezza! Dovremmo ripercorrere i momenti della giornata in cui abbiamo toccato con mano la bellezza! Poi anche quando invece non abbiamo trovato bellezza ma bruttezza e infine quando io ho seminato bellezza nel mondo. Le cose andrebbero senz’altro meglio se facessimo tutti così.
“Allora essi partirono e predicarono dappertutto mentre il Signore agiva insieme con loro…” Non siamo noi ad agire ma il Signore agisce con noi, in noi, attraverso di noi. E ci conduce sulle SUE strade a raccontare i SUOI prodigi a tutti i SUOI figli, non a quelli bravi, o a quelli che scegliamo noi!
O Signore, Dio asceso, riempi i nostri cuori di te, della tua Parola ma anche del tuo invito a partire, a lasciare per incontrarti vivo dove tu ci vuoi. Allora saremo noi ascesi non al cielo ma a una vita in alto, una vita nuova, una vita da Dio, una vita esplosa, una vita che porta frutto, una vita che contagia tutto il mondo con il soffio del tuo Spirito!
È il momento dell’addio di Gesù ai suoi: tempo di saluto, tempo di resurrezione, tempo in cui lo Spirito prima ti riunisce ‘rimane’ e poi ti invia! Un addio non è mai un momento indolore ma è l’arte della potatura nella vigna di domenica scorsa: serve per un frutto ancor più abbondante!
Lascerà i suoi ma rimane, continua a restare nel pane suo corpo, nel vino, sangue, nella Parola e in quel farsi amico, compagno di strada: quando il mercenario si da a gambe levate, lui si dà sulla croce, perché l’amore vero non teme, si dona. Tutto parte da questa intimità, dallo sguardo d’amore di 2 innamorati: tutto parte dal suo sguardo d’amore per noi, spesso non ricambiato. Ti rimane dentro questo Spirito? Come inizi la giornata? Come la concludi? Come affronti quell’impegno, quella decisione, quel problema? Se hai dentro di te questo ospite dell’anima, questo amante, la tua vita cambia, altrimenti rimane sempre la stessa? Seguire Gesù per te è ancora una religione o diventa una fede? Nella religione abbassiamo Dio ai nostri schemi umani; nella fede ci lasciamo innalzare ai suoi schemi divini: differenza abissale!
‘Vi ho chiamato amici’ dice Gesù: e ci chiama amici senza pretese, senza clausole e senza condizioni. Noi mettiamo paletti e pretese, pronti a legarcela al dito e a farla pagare se qualcosa va storto! Lui si mette in gioco, sta al gioco e non pretende che noi cambiamo e diventiamo perfetti! L’amico vero non pretende il tuo cambiamento ma inizia da sé stesso a cambiare e a creare il clima per accoglierti e farti sentire e a casa. Ci hanno sempre detto che la Comunione è il premio per i buoni e per chi non ha commesso peccati oppure si è appena confessato: ma il papa ci ricorda che la Comunione è il pane per il cammino, è il nutrimento per la tua vita: senza di me non potete far nulla (domenica scorsa). E subito noi lo tiriamo da parte e gli diciamo: ‘Non puoi dire così altrimenti tutti se ne approfittano!’
Ma lui vuole proprio questo : ‘Che tutti se ne approfittino! Che tutti attingano alla sua sorgente, senza chiedere nulla in cambio, lui desidera che tutti si sentano attratti dalla bellezza del bel pastore e imparino a imitarlo!
L’amore vero dice all’amico o al fidanzato: ‘Sei un disastro, lo so, ma ti amo proprio per questo! la tua fragilità e la tua debolezza sono proprio il luogo in cui voglio amarti sempre di più, senza misura! Che cosa fa sì che un coniuge che ha sbagliato, capisca lo sbaglio, cambi idea, si converta e torni casa? Che cosa lo può convincere? Forse le prove schiaccianti di un investigatore privato? Forse testimoni che l’hanno visto in atteggiamenti equivoci con un’altra persona? Forse la lettera dell’avvocato? No: ci vuole un di più di amore, ci vuole una iniezione di fiducia in entrambi, ci vuole il ‘ Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri’. Ama ancora di più, ama come il Cristo ti ama, ama senza misura: è l’unica strada.
Amici dunque, non più servi perché lui ci ama da amici, ci ama ‘su misura’, con un vestito ritagliato proprio su di me, non in serie! Lui ci conosce come il pastore conosce le pecore!
Un giorno un mio amico voleva acquistare un violino: si recò da un maestro liutaio, esperto e famoso che lo portò nel suo negozio pieno di violini in costruzione. Parlarono molto tempo, e si conobbero bene. ‘ Rimani qui fin che vuoi e provali pure. Al mio amico non sembrava vero: rimase lì tutto il giorno. Alla fine ne mise sul tavolo 5, ciascuno con un a armonia particolare. ‘ Torna tra una settimana’, disse il liutaio, li finisco e scegli quello che vuoi!’. Il mio amico tornò la settimana dopo: i 5 violini nella custodia erano tutti pronti; li provò con calma ad uno ad uno per cogliere tutte le sfumature del suono. Ciascuno aveva caratteristiche particolari, gli piacevano tutti, ma non poteva acquistarne 5. Dopo mille prove e indecisioni, infine ne scelse uno, rimpiangendo di dover lasciare gli altri 4! Lo disse al liutaio che guardandolo negli occhi gli disse: ‘Lo sapevo che avresti scelto questo!’. ‘Come lo sapevi?’ disse il mio amico. Guarda cosa c’ è scritto nella custodia! Aprì la custodia e con grande sorpresa in una busta trovò scritto il suo nome. Allora pensò: è un trucco, e aprì le altre custodie pensando di trovare le buste col suo nome. Niente, nelle custodie non c’era niente! ‘ Ti ho conosciuto e avevo capito che avresti scelto questo; era il tuo violino, proprio per te.’
Ecco, Dio questo maestro liutaio, questo pastore, questo padrone della vigna mi conosce per nome, mi chiama amico e mi dona il suo violino più prezioso, i grappoli più gustosi della vigna; ma non si sostituisce a noi: tocca a noi suonare il violino, tocca a noi portare frutto, tocca a noi accogliere tanti amici nel suo recinto.
Invece il diavolo-mercenario non solo abbandona le pecore all’arrivo del lupo ma le seduce, le porta con sé, lontano, verso qualche burrone. Lui tiene schiavi gli uomini con la paura: a governare con la paura sono capaci tutti. Si riempiono le chiese minacciando di andare all’inferno (don Marco Pozza) ma così non crei dei figli e amici ma solo sudditi e schiavi!
O Dio che ci ami su misura, ci conosci e prepari per noi una vigna, un ovile, un violino unico al mondo: rimani in noi e noi in te, per portare frutto per la salvezza mia e di tanti amici e fratelli che metterai sulla mia strada!
C’è un agricoltore che si prende cura della vigna; già all’alba è lì a contare i grappoli, a potare: rimane nella vigna, è la sua vita. C’è un pastore, un bel pastore che conosce le pecore, da la vita, non come il mercenario. Il mondo è la vigna, il gregge: ma lui non li considera sua proprietà ma è a servizio della vigna e del gregge. Alcune sfumature ci fanno sentire a casa in questa vigna e in questo gregge.
Innanzitutto ‘Rimanete in me’: rimanere ha il sapore dell’intimità del Natale, del primo abbraccio della mamma al figlio appena nato, o della luna di miele di due ragazzi che si sono appena sposati; Dio è colui che rimane, che entra nella vita, nel mondo, prende corpo, sangue, prende tutto di noi, anche il nostro peccato e ci salva. Rimanere vuol dire anche tenerlo, custodirlo in noi, come custodisci un regalo prezioso, come custodisci quel ricordo di un amico che non hai più visto: lo stringi a te perché ti dà serenità e felicità; viceversa qualcosa che ti da tristezza lo butti via, lo allontani da te.
Quanto custodisci in te il suo Spirito santo? quanto rimane in te la sua Parola? quanto lo senti intimo a te questo Dio agricoltore che ama la sua vigna, il gregge: lo custodisci nel cuore, nell’intimo? Che cos’è la preghiera? È custodire, dimorare, rimanere, è restare, non fare. Solo se chiedi a Dio di rimanere in te, allora porti frutto, allora fiorisci, allora profumi del suo profumo: Lui rimane in te ma tu rimani in lui? Ci vuole del coraggio per rimanere, per non scappare via, per fermarsi e gustare ciò che ti ha messo nel cuore. Pensiamo che la felicità sia sempre altrove, sempre domani, sempre in qualche nuova avventura, o con quella nuova persona; dimentichiamo che la felicità vuol dire intimità, vuol dire assaporare ciò che hai dentro di te, cercarla in ciò che hai e che sei, è già tutto lì, devi solo chiudere gli occhi, respirare profondamente e sentire quella vita e quello Spirito che ti scorrono dentro.
“Andate a fare l’amore con Dio! “Così un giorno un predicatore degli esercizi spirituali scandalizzò delle monache in un monastero! Fate l’amore con Dio! Ma come? Ci hanno sempre detto che Dio devi rispettarlo, aver timor di Dio, che lui è in cielo e devi stare attento a non farlo arrabbiare, altrimenti…. Invece, quel prete sconvolse la quiete del monastero. Puoi anche litigare con Dio ma poi fai l’amore! Se rimani in lui e lui lo fai rimanere in te, allora tutto cambia!
Seconda parola: Ogni tralcio che in me non porta frutto lo taglia … Da l’idea di un agricoltore crudele che fa morire, uccide, elimina o è solo preoccupato dei frutti, dei grappoli e del vino, dunque fa i propri interessi. Invece devi pensare che lui vuole purificarti vuol tagliare ciò che in te non porta frutto, ciò che è un ostacolo per te, che non ti permette di rimanere in lui, vuol tagliare ciò che ti impedisce di essere felice, ciò che rovina l’intimità! È come se lui volesse uccidere in te un virus che ti invade e ti impedisce di stare in mezzo agli altri, in intimità con i tuoi. Lui vuole riabbracciarti ancora dopo la pandemia del peccato dell’isolamento, tagliando ciò che ostacola, ciò che ti ferisce dentro, nel profondo.
Terza parola: ‘ senza di me non potete far nulla!’. Sembra un po’ arrogante questo Dio! E chi non crede in Dio? E i medici senza frontiere che fanno cose meravigliose magari senza essere cristiani? Quante cose belle che può fare l’uomo!
Sì, è vero ma c’è di più, c’è di meglio. C’è una linfa che ti scorre dentro, c’è il risorto, c’è quel gregge, quel recinto da cui ti porta fuori per vivere in mezzo ad altre pecore. Tu non pensare agli altri, a chi non crede. Tu ascolta la voce del pastore, seguila, cerca l’intimità con lui: il resto, i frutti vengono dopo. Prima rimani e poi porterai frutto. Pensiamo troppo ai frutti e dimentichiamo l’essenziale: troppo bravi a tirar su i conti a fine mese ma non a chieder a mio figlio se è felice del lavoro fatto o ai miei dipendenti se alla fine dell’anno sono un po’ più amici tra loro o se un gruppo a fine anno è più in sintonia, se è accaduto qualcosa! Rischiamo di vivere tutti i nostri rapporti come una bella azienda con un buon fatturato ma dove ciascuno non conosce quello che lavora accanto, o un bel condominio pulito e ordinato ma dove non conosci chi abita sopra o sotto! In una famiglia non guardi a quanto fai, ma a come lo fai, a quanto ci si vuol bene.
Rimani in lui, lasciati potare cioè purificare, e non puoi far nulla senza di lui, cioè non puoi fare l’essenziale, ciò che conta davvero: lasciarti abbracciare da questo Padre agricoltore.
O Dio pastore e agricoltore: prenditi cura di noi tuo gregge e di noi tua vigna: non fermarti anche quando noi non vogliamo lasciarci potare e tenere solo per noi i frutti. Donaci il senso dell’intimità con te, il desiderio di custodirti nel cuore, nel pensiero, nella mia casa. Allora quella non sarà solo una vigna e quello non sarà solo un gregge ma una Chiesa, una famiglia dove tutti potranno gustare il vino prelibato della tua presenza.
Hanno sbagliato a trasdurre! Non ‘buon’ pastore ma ‘bel’ pastore’! Non hanno avuto il coraggio di dire che è ‘bello’: hanno annacquato in ‘buono’. Buono ti fa venire in mente un buon papà, un buon nonno o la maestra o una buona torta. Una cosa, una persona buona ti tocca il corpo, ma non il cuore, ti fa dire ‘che bravo’, ti provoca ammirazione; ma finisce tutto lì. Torni a casa, fai il bravo e il ‘buono’ per un giorno e poi torna tutto come prima.
Invece ‘bello’ ti fa venire in mente un dolce squisito, o una spiaggia dei caraibi, una montagna innevata nel cielo turchino, una persona affascinante, che ti attira ti seduce, ti conquista: chi non si è mai innamorato? Ci hanno sempre insegnato che dietro una persona bella c’è qualcosa che ti spinge al male, a peccare, una specie di diavolo tentatore da cui stare alla larga. Ci hanno sempre insegnato che pregare, andare a Messa, confessarsi è un po’ bruttino, non bello: diciamocelo! Molti pensano che lo ‘devi’ fare, per dovere. Bello è un giro con gli amici, una cena, una partita a pallone, una bella festa, non il solito vecchio catechismo.
Ma è il bello, la bellezza che ti fa innamorare e quando sei innamorato, la tua vita cambia, decolli, prendi il volo, parti: non pensi tanto alle conseguenze, c’è quel sogno da realizzare, che ti chiama e non stai più nella pelle. Che quel sogno si chiami un nuovo lavoro, un viaggio, un amore per quel ragazzo, quella ragazza: pianti lì tutto e non ti ferma più nessuno. Da quel momento in cui quella bellezza ti ha affascinato, non sei più tu, hai un fuoco dentro! Non ti innamori di una buona ragazza o ragazzo ma di una bella ragazza, di un bel ragazzo!
Gesù osa ancora di più; dice sono il bel pastore, Dio è il bello per eccellenza! Non ci ha mai insegnato nessuno che Dio è bello senza paragoni: il più bello! Belle le sue parole, bello il suo rincorrere in croce il buon ladrone per salvarlo, bello il suo perdona all’adultera, bella la sua carezza al lebbroso, bello il suo caricarsi in spalla la pecora perduta e portarla a casa. Ma bella anche la sua pazienza infinita nel preparare una la salvezza, una terra promessa per il suo popolo. Bello il suo rincorrerci per regalarci i tesori del suo cuore bello e innamorato di noi. Bello il suo Spirito che silenziosamente ogni mattina ci suggerisce, ci parla: ‘hai pregato per quello là? Hai confortato il tuo collega? Hai aiutato quella famiglia là? Un Dio bello che vuole farci belli a sua immagine, immagine rovinata dal peccato delle origini e dal nostro peccato di oggi.
Ti sei innamorato un po’ di questo bel pastore? Ti senti attratto? Perché lui è attratto da te. Lo pensi? Ha cambiato un po’ il tuo sguardo? Lo vuoi incontrare, e quando lo incontri ti senti meglio o no? Il suo amore gratuito ti commuove fino alle lacrime? Desideri diventare bella, bello come lui? Profumare del suo profumo, pensare con il suo pensiero, guardare con il suo sguardo, amare con il suo amore? Non teme di essere esagerato: ‘Sono il bel pastore’ perché in caso di emergenza non c’era nessun altro se non lui a soccorrere la pecora caduta in fondo al dirupo.
O forse preferisci qualche mercenario: più comodo, ‘più alla mano’, con più muscoli ma di fronte al lupo ti pianta lì e non ti protegge. ‘Vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore’. Più comodo il mercenario perché non si innamora di te e non hai bisogno di innamorarti di lui: ma non ti cambia il cuore.
Il nostro è un pastore talmente bello che non ha paura di sporcarsi con le bruttezze dell’uomo, non teme neanche di uscire dal recinto e cercare altre pecore, e considerare tutti suoi figli: ‘ E ho altre pecore che non provengono da questo recinto….Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore’. Noi bravi a chiudere il recinto, a ripararci dai pericoli, a tirar su steccati e muri: lui che lascia le 99 e cerca la pecora perduta (nel vangelo di Luca), chiama tutti per nome, non chiede garanzie e certificati di idoneità o di ‘buona famiglia’, abbatte il recinto per fare di tutto il mondo una casa per ogni uomo.
Che chiesa siamo, che pecore siamo, che cristiani siamo: ci guida la paura di perdere qualcosa o qualcuno (amici, simpatie, potere) o abbiamo la fiducia di questo pastore, la fiducia dei primi discepoli che hanno seminato il vangelo ovunque ci fosse un cuore in ascolto, la fiducia dell’innamorato che parte e poi non si guarda indietro e non rimpiange di aver messo mano all’aratro?
O Pastore, bel pastore dell’unico gregge: sai mi costa fatica chiamarti bello perché mi chiedo se davvero sei veramente bello per me! Non conosco la risposta ma so solo che sono alla ricerca della bellezza che hai seminato nel mondo. So per certo che tutto nasce dalla tua unica, vera bellezza che continua ad affascinarmi. Ti voglio cercare, ‘bellezza tanto antica e tanto nuova’ come diceva sant’Agostino. ‘Ti cercavo fuori di me, nelle cose, invece tu eri dentro di me’. Ci sei tu dentro di me a ricordarmi che sono fatto per la bellezza e per innamorarmi sempre più di te e dei miei fratelli. Abbatti gli steccati che nel mio cuore mi impediscono di essere libero di amare come tu mi ami.
I due di Emmaus ritornano a Gerusalemme, rinati, risorti dopo aver riconosciuto il Cristo: occhi aperti, occhi pieni di speranza, occhi che guardano avanti. Prima dicevano: ‘Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele’ Ora dicono: ‘Abbiamo visto il Signore’.
Che cos’è la vita? Conoscere e riconoscere i passi del Signore sulla mia strada. Risorgere adesso, oggi dopo averlo incontrato, fare il pieno di speranza per seminarla nel mondo, nel cuore dei fratelli.
Come va la Pasqua? Hai fatto Pasqua? Sei passato dal ‘non mi interessa’ al ‘ho bisogno di te Signore’? Sei nella Pasqua, sei risorto o ancora nel sepolcro? oppure sei ancora alla locanda di Emmaus, o per strada pieno dei tuoi dubbi e perplessità; ecco alcuni dubbi che affiorano in noi: ‘Dove sono tutti gli altri? Se l’hanno dimenticato i discepoli, sono autorizzato anch’io a qualche fuga, voglio delle prove che è risorto, sono altre le cose che contano nella vita!’
‘Pace a voi’, dice il Risorto: quanto bisogno abbiamo di pace, di speranza, di cuori in festa. Dove cerchi la pace, da dove scaturisce? Che cosa ti toglie la pace e che cosa te la rigenera, te la conserva. La pace non te la dai da solo, devi riceverla e donarla a tua volta. L’incontro con il Signore ti da pace?
‘Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma’ Stupendo! Rischiamo di pensare a Gesù come a un fantasma: quando lo prego solo per ottenere qualcosa, quando penso che la vita poi è un’altra cosa, quando vado a Messa quando me la sento, quando la fede rimane fuori; fuori di casa mia, fuori dal mio portafogli, fuori dalla mia domenica, fuori dall’ufficio, dalla fabbrica, fuori dalla famiglia, fuori dal mio essere cittadino, fuori dai miei pensieri, fuori dal mio cuore, fuori dal rapporto moglie-marito, fuori dal mio essere genitore, fuori! Allora Dio è solo un fantasma che fa paura oppure non mi interessa: da bambini credevamo ai fantasmi, agli spiriti, poi siamo cresciuti abbiamo capito che i fantasmi non esistono e magari credo che anche Dio non esista.
Tempo fa ho confessato una signora: mi confidava in lacrime che stava rischiando il posto di lavoro perché ha denunciato situazioni che non andavano per niente bene: dei soprusi e ingiustizie verso altri lavoratori. ‘Sono sola in questa battaglia ma devo denunciare pensando ai miei figli, a mio marito che mi sostiene, a tutti i mei colleghi, lo devo al mondo. Ho taciuto per molto tempo ma adesso basta’! Ecco: per lei Dio non è un fantasma, ma è vivo e la chiama a difendere i più deboli, rischiando di persona.
Se non lo cerchi questo Dio, non gli tiri la giacca, non fai anche a pugni con lui, se non lo preghi a occhi chiusi nel silenzio della tua camera e del tuo cuore, rimane solo un fantasma; se invece ti fai su le maniche, allora ti rivela il suo volto!
‘Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io’! Come a Tommaso, Gesù mostra anche ai discepoli i segni del suo amore; i segni che l’uomo ha prodotto sul suo corpo. Mancano altri segni: quelli che l’amore di Dio ha prodotto nel nostro cuore, nella nostra vita. Mancano i nostri segni, i miei, i tuoi segni che vogliamo produrre nel mondo, nei nostri amici, dicendo loro: ‘Io l’ho incontrato: ecco i segni che faccio, conseguenza di un incontro che ha cambiato la mia vita. Ecco il mio ritorno a Gerusalemme per vivere da ‘risorto’ adesso, sempre!
Avrebbe potuto fare un grande miracolo, un segno prodigioso il Crocifisso risorto, invece chiede del cibo, mangia il pesce, frutto del lavoro dei discepoli! Lui il vero pane disceso dal cielo, chiede di essere sfamato. Dio cerca l’incontro nel modo più normale, nelle azioni più quotidiane: entra nella tua vita non a Natale e Pasqua, non con proclami solenni, con milioni di like o effetti speciali: Dio entra in sordina, nel silenzio, in qualche parola sussurrata, nel sorriso del tuo collega, nella mano stratta a tuo padre ormai vecchio, nella mano che tendi verso quell’amico rimasto solo. Lì Dio ti aspetta e ti cerca: ti aspetta perché in quella persona c’è lui e ti cerca perché ha molte cose da dire al tuo cuore!
Grazie, Dio nuovo, Dio vivo, Dio qui per me: faccio fatica credere che tu cammini sulle mie strade, mi aspetti a qualche incrocio della vita per spalancarmi le porte del tuo amore. Spezza il pane per me, dirada le nebbie della mia paura, e fammi sedere a tavola con te e con i miei fratelli per credere che sei vivo oggi e insegnami a spezzare la mia vita per capire cosa ci sto a fare in questo mondo. Di questo anch’io posso essere testimone!
La sera di quel giorno: è il giorno nuovo da cui tutto è iniziato, il giorno in cui Dio ricomincia da una tomba vuota da una croce diventata segno di salvezza, dalla corsa delle donne. L’uomo disperato sentenzia: ‘È tutto finito!’ Dio rilancia: ‘ Pace a voi. Ricevete lo Spirito santo. Metti qua il tuo dito’.
Gesù viene con le porte chiuse, sprangate! Dio viene sempre anche se le porte del tuo cuore sono serrate dal dolore, dalla delusione, dalla tristezza: nulla lo può fermare questo Dio alla ricerca di ogni cuore affranto e sfiduciato. Lui non vuole perdere nessuno dei suoi figli!
Oltre la pace, dona lo Spirito, soffio di vita che smuove le montagne, che guida la Chiesa all’inizio e adesso: troppo dimenticato questo Spirito, inascoltato nella Chiesa oggi! Ma per sentire la sua voce devi far tacere le altre, devi fermarti, ascoltare la Parola, chiudere gli occhi. Devi avere il coraggio di tagliare qualcosa del passato come in primavera si potano gli alberi per dare più vigore ai rami nuovi.
Quando è stata l’ultima volta in cui hai pregato a occhi chiusi, o hai detto a tuo figlio o a un amico: ‘Vado in camera mia a pregare’ o hai preso in mano tu qualche versetto del Vangelo, e ti sei fermato per custodirlo come un tesoro prezioso. O lo hai invocato prima di fare una scelta decisiva.
Dove sono i segni che lo Spirito è all’opera, agisce nella Chiesa e nel mondo? Dove lo puoi vedere? Dove ci si prende cura gli uni degli altri, ma anche quando ti lasci guidare dallo Spirito e capisci che è lui a orientarti davvero: senza di lui percorriamo sempre le solite strade, spesso vicoli chiusi! Durante una confessione ho chiesto a una ragazza: ‘ Ma che cosa ti conviene se credi in Gesù risorto, cosa ti viene in tasca ricevere Spirito santo? Cosa ti cambia? Questa la domanda a cui vogliamo rispondere in questo tempo di Pasqua!
L’abbiamo sempre trattato male Tommaso, l’incredulo, colui che vuole toccare, mettere il dito, dimenticando che nel cap. 11 di Giovanni, quando comunicano a Gesù che Lazzaro sta morendo, Gesù vuole andare da Lazzaro. Tommaso è l’unico a dire: ‘Andiamo anche noi a morire con lui’. Tommaso non ha paura ma condivide fino in fondo ciò che fa Gesù. Ecco perché viene detto Didimo, gemello di Gesù: la sua decisione è identica a quella di Gesù.
Adesso si rivolge ai suoi amici che gli confermano di aver visto il Signore vivo dicendo: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito …io non credo’. Cioè: ‘come faccio a fidarmi di quello che mi dite voi, dopo che lo avete tradito e abbandonato? Come faccio a credere alle vostre parole: non l’avete conosciuto in croce, come pensate a riconoscerlo risorto? Tommaso non crede nel racconto dei suoi amici, ma crede fermamente in Gesù vero senso della sua vita.
Ma Lui il Cristo ritorna, dopo 8 giorni: l’ottavo giorno è quello della resurrezione. Non solo i 7 giorni della Creazione: il risorto inaugura l’ottavo giorno, il giorno senza fine, il giorno che da senso allo scorrere del tempo dei primi 7. Il giorno che ci spalanca le porte dell’eternità! Gesù ritorna, cerca il momento opportuno per incontrarti, sa attendete, non è in pace finché non ti incontra! Cerca te, cerca me, cerca un cuore pronto a essere riacceso come i 2 di Emmaus, delusi, spenti, ancora nel sepolcro finché non lo incontrano, e la vita cambia.
Tommaso non toccherà le ferite di Gesù: gli basta vederle, gli basta capire la sofferenza del Cristo, gli basta contemplare quanto amore c’è voluto per salvare l’umanità! Dalle sue piaghe siamo sati guariti, dice Isaia. Un amore così vince ogni morte, un amore così infinito non può far altro che risorgere, rivivere, illuminare ogni nostro sepolcro! Tommaso non ha toccato, è stato toccato, è stato trasformato nel cuore, Tommaso è risorto, Tommaso si è sentito amato; e tu sei già stato toccato dal Risorto? Ti sei lasciato trasformare? Sei risorto? Ti lasci amare da Lui, vivo? Tutta la vita serve a questo: essere toccati e guariti dalle sue piaghe.
‘Mio Signore e mio Dio’ dirà Tommaso in ginocchio davanti al Risorto: se è incredulità questa… ‘Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!’ Siamo noi questi ‘beati’ se vediamo a occhi chiusi, se ci lasciamo incontrare dal Risorto, se prima di ogni giornata, gli sussurriamo: ‘ Mio Signore e mio Dio’.
O Signore dell’ottavo giorno, entra nel mio tempo, nella mia vita e fammi risorgere! A volte anch’io dubito e voglio vedere e toccare, ma capisco che questo è un vicolo cieco, e i miei sensi non aiutano la mia fede. Ho solo bisogno del tuo tocco, delle tue ferite, di lasciarmi avvolgere dal tuo amore: la sola cosa che mi da la certezza che sei vivo nella Chiesa, nel mondo, nella mia preghiera, negli occhi di un fratello. Come Tommaso sento il bisogno di dichiararti: ‘Mio Signore e mio Dio’.
La Pasqua quest’anno ha il gusto della Parola di Dio e poi della vostra parola. Sì, le vostre parole, le vostre storie, i racconti, le lacrime, i sorrisi, le confessioni. Ma anche il ricordo di tanti fratelli, sorelle che abbiamo salutato, ci hanno lasciato per tornare dal padre. Sono con noi stasera in questa notte, sono accanto a noi, insieme a quanti sono ancora in casa, negli ospedali, ancora in affanno, con chi si prende cura di loro. Con chi lavora anche in questi giorni per vaccinare i più fragili.
Al termine di una confessione ho detto al penitente: per penitenza domani porterai un sorriso, un po’ di speranza, un po’ di gioia dove lavori, con i tuoi vicini di casa, magari con qualcuno con cui hai litigato. Mi ha guardato male, poi ha sorriso.
Durante un incontro con i cresimandi parlavamo dello Spirito santo e ho chiesto loro: ‘Ditemi ragazzi: ma secondo voi oggi quali sono i segni che lo Spirito santo c’è e agisce?’ Un po’ di imbarazzo (ma che domande fa questo qui!): non nella Bibbia ma oggi, nella Chiesa e nel mondo! Senza scomodare madre Teresa di Calcutta o il papa. Che cosa fa per me e per te! Adesso! Che cosa rispondereste ai ragazzi? Che cosa mostrate loro? Cosa fate vedere? Cose da preti e suore, dirà qualcuno! No, cose della vita, cose di sempre, cose di chi è battezzato, cose di chi lotta con Dio e picchia i pugni e grida: ‘Perché? Perché questa pandemia, perché tanto dolore? ‘
Lo Spirito Santo oggi ci porta all’ingresso del sepolcro di Gesù, la pietra rotolata, i teli a parte, gli occhi delle donne gonfi di lacrime, prima per il pensiero della morte ma poi per la speranza nella vita. Gli oli per ungere un cadavere, la paura sul volto e poi le parole dell’angelo ‘Non abbiate paura’ e ‘Vi precede in Galilea’. In ogni paura lui c’è perché ha già vinto ogni paura! e vi precede: lui ci precede sempre per spalancarci le porte della vita e della gioia. Ci precede sul Golgota, ma anche il mattino di Pasqua. Ma lo Spirito porterebbe i nostri ragazzi anche nelle vostre case quando vi perdonate e vivete uniti, quando vi prendete cura gli uni degli altri, quando domani darete voi la benedizione alle uova e alla vostra famiglia, quando negli ospedali qualcuno ha stretto una mano a chi soffriva ed era solo, quando qualcuno dice: ‘Tocca a me, anche se gli altri non ci sono, io ci sto!’ Questi i segni ‘casalinghi’ dello Spirito santo, quelli che mi piacciono di più, come quelli della via crucis del papa in cui i bambini hanno proposto tante riflessioni sulla loro vita.
Lo Spirito santo ci dice ancora che la resurrezione è una cosa per i vivi non per i morti! Chi è già morto, ha già incontrato il Signore risorto. Tocca a noi crederci fino in fondo che Lui è vivo: vivo per vincere le nostre paure, vivo per farci capire chi siamo, vivo per la nostra vita, vivo perché Dio è più forte della morte.
Il Signore è vivo e risorto proprio per dirci che, di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda, non c’è macigno che non rotoli via.
Qual è la bella notizia di Pasqua? Che noi tutti siamo qui, sulla terra, per fare cose che meritano di non morire. Siamo qui per diventare eterni. Siamo qui per amarci di un amore folle come quello di Gesù, siamo qui per continuare quello che hanno seminato i nostri cari, siamo qui per iniziare a risorgere. Tutto ciò che vivremo nell’amore non andrà perduto.
O Dio vivo, apri i nostri sepolcri ancora chiusi, per paura, per poca fede: in questo tempo rischiamo di rinchiuderci ancora di più. Dilata le pareti delle nostre case ma soprattutto dei nostri cuori per renderli capaci di risorgere già da ora. Allora quando qualcuno si chiederà: ‘ma dove sono i segni dello Spirito santo oggi? Gli basterà vedere tanti gesti di fiducia e speranza che abbiamo seminato per credere che tu sei vivo e agisci ancora e sempre in mezzo a noi …
Di cuore a voi, ai vostri cari, a chi è nella gioia o nel dolore, Buona Pasqua!
Il Signore è risorto alleluia; è veramente risorto, alleluia!
È il momento dell’angoscia, del terrore: un amico contagiato gravemente dal covid e ora, guarito, mi ha detto: ‘Pensavo di non farcela. Ad un certo punto ho creduto che per me fosse tutto finito’.
Anche Gesù ha attraversato l’angoscia più nera, la violenza, la solitudine, la morte in faccia: a volte noi viviamo il Venerdì santo come se fossimo a teatro, un dramma non a lieto fine che comunque non ci riguarda, non ci tocca; sfiora soltanto chi è più sensibile, qualche preghiera in ginocchio, pronti a girar pagina verso la Pasqua.
Oggi invece vogliamo fermarci, pensare all’angoscia di Cristo, all’angoscia di chi è stato ricoverato o con la febbre a 40 per lunghi giorni: quando perdi la speranza e ti chiedi: domani ci sarò ancora? Il nostro pensiero, la nostra stima, la nostra preghiera è per chi sta lottando ancora.
Gesù ha vissuto la sua angoscia da protagonista, da figlio di Dio: nel Vangelo di Giovanni c’è un Dio forte che affronta la morte da re, pronto a regnare dall’alto della croce. ‘Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me’. Lui è abbandonato e solo: quando si fa del bene si è sempre soli, il male invece raduna le folle. Spesso è un branco che prende di mira un ragazzo, violenta una donna, uccide una persona inerme. Gesù invece guarda la persona, il cieco, lo zoppo, il ladrone in croce, e chiama per nome: ‘Lazzaro vieni fuori’.
Abbandonato, tradito grazie a un bacio, il gesto più intimo, il gesto del familiare, diventa il gesto del tradimento; eppure, Gesù chiama Giuda ‘amico’ e negli altri evangelisti lo chiama ‘uno dei 12’. Giuda rimane uno dei 12 per Gesù anche quando consuma il suo gesto, quando condanna Gesù e sé stesso.
‘Chi cercate?’ chiede Gesù ai soldati. ‘Gesù il nazareno’. ‘Sono io’ Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano’ Gesù non pensa a sé ma ai suoi perché siano liberati dai soldati ma soprattutto liberati dal male, dalla poca fede. ‘Sono io’ è ancora il nome che Dio rivela a Mosè: ‘Io sono’ colui che c’è, che esiste per te, che cammina al tuo fianco, che ti apre la strada verso la terra promessa’ sempre quel Dio innamorato dell’uomo! È il nome stesso di Dio.
Anche a te, a me chiede: ‘chi cercate? Chi cerchi stasera? Perché sei qui? Cerca il volto di un Dio che dona la sua vita per te, ma cerca anche te stesso, cerca quello che c’è nel tuo cuore, cerca di far fiorire in te gli stessi sentimenti di Cristo, cerca di farti dono, come lui!
Infine, Gesù viene crocifisso fuori della città: non si poteva dentro le mura altrimenti avrebbe reso impuro il tempio. Il sommo sacerdote Caifa deve correre al tempio, prima del tramonto. Certamente Caifa non esce dalla città e se assiste all’esecuzione, lo fa dall’alto delle mura. Poche ore dopo la morte di Gesù, Caifa indosserà i paramenti per uccidere l’agnello pasquale: pensa di onorare Dio offrendogli un agnellino dopo avergli massacrato il Figlio! Assurdità del cuore umano.
O Dio immolato, donato, tradito: ti vogliamo cercare stasera, vogliamo toccare con mano il tuo dolore, la tua angoscia ma vogliamo anche ringraziarti perché siamo guariti grazie a te: guariti dal contagio del peccato, guariti dal male che colpisce il cuore, guariti da una vita senza speranza. Ogni volta che pensiamo: ‘ Ho paura di non farcela, per me è tutto finito’, come ha detto il mio amico, solo guardando te in croce possiamo ritornare a sperare e a rivivere. ‘ Dalle tue piaghe siamo stati guariti’.
Entriamo in punta di piedi in questa Settimana Santa, tempo in cui siamo chiamati anche noi a diventare il chicco di grano che solo facendo morire qualcosa dentro, produce molto frutto! È il cuore della nostra fede, della nostra vita, attratti da Lui innalzato sulla croce. Saremo immersi nel dramma ultimo, ma che diventerà il primo di un nuovo tempo, un nuovo giorno, una nuova vita inaugurata dal Cristo morto e risorto: prima però c’è un deserto da attraversare fatto di paura, angoscia, dubbi, tradimenti: sono i miei, i nostri tradimenti che inchiodano ancora oggi il Signore e i tanti disperati della storia al senso di inutilità.
È arrivato il momento, l’ora giusta: l’ora della croce, l’ora del pianto, l’ora in cui Lui dona tutto di sé e noi come gli apostoli rischiamo di dormire, di non accorgerci di nulla; l’ora in cui Gesù mangia la Pasqua, non gli apostoli, lui fa Pasqua, lui è la Pasqua e noi riceviamo tutto da lui, l’ora in cui il velo del tempio si squarcia. Il velo del tempio separava gli ebrei in preghiera dal santo dei santi, lo spazio riservato ai sacerdoti, dove avveniva il culto e c’era la presenza di Jahwè: nessun altro vi poteva accedere; alla morte di Cristo il velo si spezza: cioè non c’è più il luogo di Dio e il luogo degli uomini, Dio si rivela, diventa uomo, entra nella storia e per lui tutto diventa sacro, ogni respiro, ogni sentimento, ogni cuore di uomo per Lui è sacro; l’uomo diventa figlio di Dio! È l’invitato principale alla mensa dell’Agnello.
Marco nel suo racconto così realistico non ci nasconde i particolari dei tradimenti, delle rinunce, delle meschinità dei discepoli: non è la loro storia, è la nostra! La nostra vita che ripercorre gli stessi tradimenti, rinunce, meschinità: proprio quando diciamo ‘non ho peccati’ sono come Pietro, Giuda, come Pilato come chi oggi lo acclama e poi lo trafigge alle spalle.
Marco ci presenta un volto di Cristo sofferente, in preda all’angoscia, abbandonato da quanti lo hanno seguito per tre lunghi anni ma che non hanno capito niente di lui; Marco ha anche 2 personaggi non citati dagli altri evangelisti: il ragazzo che corre via nudo lasciando lì il lenzuolo e il centurione. Piccole sfumature di un affresco drammatico: qualcuno dice che quel ragazzo è Marco stesso, che lascia il lenzuolo e rimane nudo. Anche a Gesù è tolto il vestito e tutto il suo corpo è consegnato alle mani di chi lo uccide per riapparire nel giardino vestito con la veste splendente della resurrezione il mattino di Pasqua. E l'altro personaggio è il centurione che dichiara: ‘Davvero costui era figlio di Dio’. Risponde lui, non gli apostoli alla domanda centrale del Vangelo: ‘Chi è questo Cristo? La rivelazione ‘davvero costui era figlio di Dio’ è affidata a uno straniero, un pagano, un lontano, in realtà vicino nel cuore.
Sia questa la settimana del silenzio, in cui non facciamo niente, solo riceviamo da lui: è lui che ci attira e sé, non noi che corriamo da lui!
O Cristo, vero Agnello immolato. Solo se mi immergo nel dramma della passione e morte, potrò risorgere; solo se divento il chicco di grano che muore, potrò portare frutto, solo se anch’ io dico che davvero sei il figlio di Dio, potrò diventare tuo figlio! È l’ora della tua morte che diventa la mia vita: ogni volta che mi sento morto dentro, il pensiero di te mi rida forza e vita; in mezzo a tante tragedie di questo tempo e di ogni tempo dell’uomo, fa’ che contemplando te, donato in croce, io possa già entrare nella tua e nella mia Pasqua.
Oggi è il primo giorno di primavera, una primavera strana, dalla finestra in attesa di uscir fuori anche noi, come gemme che fioriscono e portano fiori e frutti. Giovedì era il giorno della memoria di chi ci ha lasciato durante la pandemia, ricordare per far tesoro e vivere con prudenza e con speranza!
‘Vogliamo vedere Gesù’ è la richiesta ingenua ed entusiastica dei Greci: ingenua perché ce l’avevano sotto gli occhi, entusiasta perché dice una fame, un desiderio di qualcosa di nuovo, come Nicodemo, l’adoratore notturno di Dio! Ma voglio cercare, vedere il Signore!
Quanto desiderio ho io di cercarti, di vederti, di starti accanto nell’orto degli ulivi, di contemplare quando spezzi il pane nell’ultima cena, quando ti chini a guarire il cieco, quando piangi per il tuo amico Lazzaro, quando ridoni il vino nuovo a Cana perché la festa continui, quando cammini con i 2 disperati verso Emmaus e trasformi la loro disperazione in speranza. Come vorrei anch’io vederti, Signore….
Filippo e Andrea conducono i Greci da Gesù: sono la comunità, sono gli amici dello sposo che accompagnano all’incontro, non fanno da filtro come la folla in altri brani del Vangelo. Tocca a noi essere comunità in ascolto del mondo e del maestro, per portare ogni disperato e assetato a dissetarsi alle sorgenti della sua Parola e del suo pane. Comunità, credenti che hanno incontrato il maestro e dicono a tutti: ‘Vieni anche tu a lasciarti trasformare dal suo sguardo ’.
Nel suo cammino verso Gerusalemme, Gesù invita anche noi a diventare il chicco di grano che nella terra marcisce per portare frutto, molto frutto; siamo bravi a raccogliere i frutti, a tenerli per noi, a metterli da parte per l’inverno; non siamo altrettanto bravi a portarli per gli altri, a diventare seme per nuovi frutti. Continua Gesù: ‘ Chi ama la propria vita la perde, chi odia la propria vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna’. Non odia niente e nessuno il cristiano: l’espressione significa che dobbiamo far morire qualcosa che non va in noi, far morire quella punta di veleno che rovina tutto, far morire, disprezzare quel frammento di egoismo, di superbia, di invidia, di ira, di lussuria, di possesso che invade il nostro cuore.
Che cosa hai fatto morire in questa Quaresima? Che cosa hai fatto crescere invece? Hai ucciso qualche parola di troppo? Qualche giudizio affrettato, qualche momento in cui non hai pensato ai veri frutti da portare nel mondo, ma hai preferito tenere tutto per te? Se hai fatto così, rimani solo, cioè alcuni gesti e azioni ci rinchiudono in noi stessi e i fiori della primavera e i frutti non arrivano: è come se mettessi un albero sotto una campana di vetro, pensando di conservare i fiori e i frutti per te. In realtà senza api e senza vento non c’è l’impollinazione e i frutti te li scordi! Rischiamo di restare soli, rinchiusi in una bella gabbia dorata.
Sta per giungere l’ora di Cristo, l’ora in cui il Padre mostrerà la sua Gloria: non è la gloria del mondo fatta di parate, proclami, inviti, medaglie al merito e fuochi d’artificio. È una gloria umile, semplice ma che ci procura tanti frutti oggi e domani: è l’ora della croce, l’ora della morte e della vita, l’ora in cui il figlio accetta la volontà del padre per amore nostro. L’ora del chicco di grano che porta frutto, l’ora in cui il Padre rinnova l’Alleanza con il nuovo popolo eletto che siamo noi, come dice Geremia nella prima lettura. Aspettiamo anche noi quell’ora, in attesa che venga la nostra ora che non è quella della morte ma l’ora in cui finalmente impariamo a fare della nostra vita un chicco di grano speso, offerto, donato. questo è il modo vero per viverla in pienezza la vita: l’alternativa è volere sempre di più per me, non accontentarmi mai, pensare che quello là sta meglio di me, che sono insoddisfatto e che tutti ce l’hanno con me. Siamo condannati a questo se non diventiamo il chicco di grano che si consuma, si mette a disposizione, si dona, come ha fatto Gesù!
È lui che, innalzato sulla croce ci attira tutti a sé; non siamo noi a salvarci ma lui che dalla croce ci attira al suo amore, ci fa spazio nel suo cuore dove ospita il nostro peccato, le nostre miserie, il nostro fallimento!
Signore, chicco di grano, donato, gettato per noi, donaci la forza di far morire ciò che in noi è di ostacolo alla tua presenza, alla tua gloria in noi per portare molto frutto. Attiraci a te innalzato sulla croce per farci capire che l’unico desiderio del nostro Dio è che tutti noi suoi figli siamo salvi e viviamo nel mondo da risorti.
Prova immaginare se nel bel mezzo di una festa in famiglia con amici e parenti, una festa di laurea, della nonna 90enne, festa dei diciotto anni, per sbaglio hai lasciato la porta aperta e improvvisamente entrano 2 che non conosci, mai visti, vestiti anche bene, con una bella torta e lo spumante: ‘ Abbiamo sentito la musica, le luci accese, tutto addobbato…: possiamo? È da tanto che non festeggiamo con qualcuno, non siamo originari di qui. Che bella festa!’.
Istintivamente gli rispondi: ‘Ma chi ti ha fatto entrare? Chi ti ha invitato? Questa è la NOSTRA festa! Mi dispiace! E poi noi abbiamo preparato tutto, sono 3 giorni che lavoriamo per questa festa…’
Oppure potresti pensare: “Magari quegli estranei possono rivelarsi più amici di qualche invitato che è qui con l’orologio in mano, pronto ad andarsene, o che ieri ha appena parlato male di me’. Magari potresti pensare che è motivo di orgoglio se qualcuno valorizza e apprezza la tua festa! Tutto dipende se il tuo cuore è in festa!
Festa strana l’Epifania, festa dei lontani, festa dei non aventi diritto, festa di un Dio che abbatte le barriere e invita alla sua mensa quelli che nessuno conosce, che nessuno ha mai visto, invita chi non si è fatto su le maniche, chi non ha mai ascoltato le prediche, chi non è dei nostri, chi non ha le famose carte in regola! Festa di un Dio che si manifesta (Epifania significa manifestazione): si manifesta come un Dio dalle porte aperte, che non chiede biglietti di invito, certificato di ‘buona famiglia’ o di ‘buon cristiano’, per poter far parte degli amici o altro!
I magi sono i lontani, i meno adatti, i più improbabili: ma sono quelli attratti da una festa, attratti da una luce accesa, attratti dalle grida, attratti da una gioia, e la gioia è contagiosa! Sono i lontani, gli scienziati, i sapienti e ci insegnano che anche attraverso la scienza si può giungere a Dio: loro sono studiosi, astronomi e intuiscono che sta per nascere il figlio di Dio. Non è vero che scienza e fede sono in contrasto: è ormai superata questa posizione; la scienza studia come si svolgono le cose, le leggi dell’universo, è una via maestra per giungere a intuire la presenza di un Dio nascosto nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo.
Ecco perché è strana questa festa perché Dio sconvolge i nostri piani e alla sua festa mette al primo posto proprio quei 2 là, entrati dalla porta lasciata aperta, non invitati, che qualcuno chiama intrusi: ma Dio non li chiama intrusi, ma amici, fratelli, sorelle. Il rischio è che noi passiamo all’ultimo posto, noi operai della prima ora, noi che siamo stati invitati, noi che abbiamo risposto: ‘Sì, ci sono’. Noi che abbiamo lavorato sodo per quella festa ma forse non vediamo l’ora che finisca, sbuffiamo un po’ dietro le mascherine, pensando: ‘Con tutto quello che ho da fare, non ho tempo da perdere…’
Ecco Dio scambia i posti, inventa una nuova lista di invitati: per poter entrare alla sua festa ti chiede solo di camminare, di cercarlo, di bussare, di sentirti attratto da una stella, da una luce come i Magi: ti chiede un cuore in festa per apprezzare la sua festa, ti chiede di adorare questo Bambino, ma di adorare ogni donna, ogni uomo perché è fratello di questo bambino, figlio del padrone di casa! Ti chiede di portare qualche dono, ma soprattutto di farti dono, ti chiede di accogliere quel bambino in una mangiatoia come il re dei re.
Epifania è la festa di un Dio che si manifesta in una mangiatoia, che per dirci che è il vero re non ha bisogno di palazzi, eserciti, insegne e tesori ma solo di due assi inchiodate; Epifania è la festa dello stupore, una festa ‘a bocca aperta ‘ come i bambini; una festa degli imprevisti, degli ospiti improvvisati; è la festa dopo la quale trovi un’altra strada per evitare Erode, un altro modo di camminare e di vivere!
Epifania è la festa della mirra, il dono che fa la differenza: l’oro per il re lo comprendiamo: dimostra quanto sia prezioso questo Dio Bambino; l’incenso lo comprendiamo perché ci ricorda la preghiera da rivolgere a Dio. Ma la novità è la mirra, unguento usato per ungere il corpo di un morto, prima della sepoltura. La mirra non ci va giù, non la capiamo, stona: cosa c’entra diciamo? Invece è il segno che il nostro Dio è diverso perché ci rassicura: ricordati che proprio quando soffri, sei solo, abbandonato, quando ti sembra di essere inutile, e aver sbagliato tutto nella vita, guarda la mia croce e non temere: sono passato prima io attraverso morte e la croce ma dopo la croce, c’è la resurrezione, c’è la vita nuova: questo è il mio modo di mostrarmi a te e al mondo.
O Signore, che ti manifesti come luce dei popoli e luce per me, fammi correre ad adorare la tua nascita, ma a bocca aperta come i bambini che ne capiscono molto; donami occhi per contemplare tutte le stelle che accendi sul mio cammino: ci sono quelle luci ma a volte i miei occhi sono chiusi e non le vedo. Come i Magi insegnami a partire per cercarti: solo così capirò che tu da sempre sei innamorato di me e hai lasciato il tuo cielo per venire a casa mia.
Nicodemo, maestro della legge cerca Gesù di notte; di notte non sei visto, dunque nessuno ti può vedere e giudicare. Gesù invece era giudicato male, era considerato un eretico, non certo il Messia, per questo Nicodemo va da Gesù quando gli altri maestri della legge non lo vedono: loro giudicano Gesù ma Gesù non giudica loro! Nicodemo avverte che tutta la legge, i precetti, i suoi studi, i salmi recitati a memoria non gli bastano più: quel maestro così strano ribalta la sua fede, ribalta la sua vita e l’immagine stessa di Dio, come domenica scorsa ha ribaltato i banchetti dei mercanti del tempio, cioè ribalta l’immagine sbagliata di Dio! Cerca una trasfigurazione Nicodemo perché si sente ancora nel buio e cerca un po’ di luce. La sua vita non gli basta più. È l’immagine di tutti coloro che nella vita si mettono alla ricerca, in cammino, che non si accontentano di quello che è stato loro insegnato ma vogliono cambiare e capirci dentro bene qualcosa. Anche a Galileo, il famoso scienziato, avevano insegnato che la terra era piatta, e il sole girava intorno alla terra, senza ombra di dubbio; ma lui ha cercato, si è posto delle domande, non si è accontentato e alla fine ha capito che c’era qualcosa di nuovo e ha intuito non solo che la terra era sferica ma che al centro c’era il sole e soprattutto ha capito che doveva guardare le cose, il mondo con occhi nuovi.
Anche a noi come a Nicodemo hanno sempre raccontato di un Dio severo, giudice, da rispettare facendo tanti gesti che la religione ci dice: ma Gesù ribalta un’idea vecchia di Dio, smuove, offre un’altra prospettiva e soprattutto una luce nuova!
“Guarda Nicodemo, guarda cristiano che devi rinascere dall’alto: sei nato un giorno ma quel momento non dipendeva da te; ora puoi rinascere e questo dipende da te, solo da te”. C’è qualcosa da ribaltare nel tuo tempio, cerca il vero tempio che è Gesù; c’è un deserto da attraversare, c’è la tentazione di pensare a un Dio che giudica chi non si comporta bene, c’è la notte della rinuncia a metterci alla prova, la notte del dubbio, la notte del dolore, ma c’è la luce da cercare. Rinasci oggi, adesso e credi che Dio è venuto non per condannare ma per salvare! Il Padre ha ‘condannato’ il Figlio per salvare noi: questa è la bella notizia che squarcia il nostro buio, la Quaresima e anche questo tempo di pandemia: questa è la bella notizia che ci salva.
Possiamo essere cristiani che credono, come faceva Nicodemo prima di incontrare Gesù, di essere a posto, di non aver bisogno di farci delle domande, di essere già nella luce, quasi di fare noi un piacere a Dio e agli altri, invece di sentirci debitori, al buio e di aver bisogno di essere salvati da lui! C’è un modo di essere cristiani farisei che guardano gli altri un po’ dall’alto in basso: invece in alto dobbiamo mettere non il serpente del nostro orgoglio e della nostra supponenza ma il Cristo innalzato sull’albero della croce per insegnarci chi è Dio! Solo contemplando quella croce scopriamo chi siamo!
Dio si svela in croce, non nella resurrezione! Un Dio risorto ce lo aspettiamo tutti perché vince, ribalta, vince la morte, ma un Dio in croce non se lo aspetta nessuno. Il simbolo della nostra fede è la croce, non la resurrezione! È questo il Dio che Nicodemo cerca: un Dio che ‘ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito’, per rendere noi suoi figli!
‘Rinasci Nicodemo: Dio è colui che ama non colui che giudica. Risorgi dal tuo buio, lascia che quella luce ti faccia vedere tutto diversamente e che i morsi del serpente tentatore non ti facciano morire. Nicodemo sapeva benissimo tutto ciò ma con la testa, non con il cuore, come noi, del resto. Bravi in teoria ma poi quando si tratta di vivere questo amore che abbiamo ricevuto e riceviamo in abbondanza, andiamo in crisi e preferiamo ribaltare il mercato degli altri, lasciando tranquillamente intatto il nostro!
Signore, luce nella mia notte, tu hai deciso liberamente di entrare nel mondo, di essere la Parola fatta carne per toglierci dalla testa le nostre idee sbagliate di un Dio giustiziere, tremendo e intransigente; tu ci hai raccontato un Dio in croce, un Dio che accetta anche il banco degli imputati, un Dio che non vede l’ora di regalarci i suoi tesori. L’esatto contrario di noi. Siamo ancora in affanno per questa pandemia e ci rendiamo conto solo ora di come stavamo bene prima. Nelle lotte della vita volgiamo lo sguardo a te innalzato sulla croce che ci dai la forza necessaria per essere ancor più uniti e dalla notte del dubbio, cercare la tua luce.
‘Che cosa è cambiato in voi 2 da quando vi siete incontrati?’ Domenica scorsa al corso in preparazione al matrimonio, abbiamo rivolto questa domanda ai fidanzati. ‘Da quando l’ho incontrato, ho iniziato a sorridere’, ha esordito una ragazza. La risposta merita un premio Oscar: ‘da quando l’ho incontrato, ho iniziato a sorridere!’
Giriamo la frittata: che cosa è cambiato in me da quando ho incontrato il Signore?
Gesù nel tempio non sorride tanto invece: butta per aria baracca e burattini; mercato e mercanti gridando: ‘Non fate della casa del Padre mio un mercato!’ Ci piace questo Gesù forte e deciso; facciamo il tifo per lui. Ci vogliono le maniere forti dirà qualcuno: nella politica, con i delinquenti, con chi se ne approfitta… persino nella Chiesa ci vogliono le maniere forti! Se l’ha fatto Gesù possiamo farlo anche noi, no? E via di questo passo.
Ma ragionare così vorrebbe dire stravolgere il Vangelo e fargli dire ciò che ho in mente io, non Lui. Cioè: un Dio a mia immagine, un Dio che entra nella mia testa! Ma che non sarebbe il Dio dei Vangeli.
Tra l’altro, i mercanti e cambiavalute svolgevano un compito importante! Era vietato l’uso delle monete romane nel tempio (per via del volto dell’Imperatore che veniva interpretata come idolatria)! Perciò cambiavalute e venditori di animali erano essenziali per mantenere l’identità giudaica e opporsi ai Romani anche se l’ambiente doveva sembrare un vero zoo… Perché, allora, il Maestro si irrita così profondamente? Cosa vuole dirci in realtà?
Non certo che ci vogliono le maniere forti! Le vere maniere forti di Cristo sono altre: le sue maniere forti consistono nell’abbracciare la croce fino alla fine, senza misura.
Lui vuole metterci in guardia: ricorda di non fare mercato delle cose di Dio! Ricorda che Dio non è in vendita, non credere di ripagare i suoi doni, non cercare di pareggiare i conti perché lui non è l’usuraio che viene a tirarti la giacca sussurrando minaccioso: ‘Ma quando mi paghi?’ Dobbiamo aggiustare i conti! A volte invece pensiamo: ‘Io sono a posto, non ho debiti, non faccio niente di male! O peggio ancora: ‘Ho pregato sempre, sempre a Messa, faccio anche le offerte, poi ho aiutato in parrocchia…. Mi sarò guadagnato un pezzo di paradiso!
Se ho ragionato così, allora quel mercante sono io che non ho capito niente di Lui e del suo dono! Dio è un profumo fragrante che si espande senza chiedere in cambio. I suoi doni non hanno prezzo, non si mercanteggiano, non sono in vendita ma sono gratis per i suoi amici, per chi lo cerca, per chi lo desidera, per chi lo sa ringraziare!
Quanto vale il dono di un figlio? Quanto vale l’Eucarestia che celebriamo? Quanto vale quel Dio appeso a una croce? Quanto vale l’abbraccio di un amico che mi perdona? Quanto vale il perdono che Dio mi concede nel sacramento della Riconciliazione? E tu pensi di poterlo ricompensare? Di poter ‘pagare’ e dunque non sentirti più in debito?
Ecco la nostra Quaresima: non quella in cui fai tante rinunce ma sai rinunciare a pensare di metterti in pari con Dio o di meritare quello che ti dona. La nostra Quaresima consiste nel dirgli: ‘Da quando ti ho incontrato, ho imparato a sorridere!’
Cerchiamo di pareggiare i conti non con Dio ma con il nostro orgoglio, con il nostro far mercato di Dio.Il vero tempio, il vero ‘luogo’, il vero tempo in cui preghi non è questa chiesa, quel santuario, quella Messa, quel gruppo, quel prete: il vero tempio è il Cristo, il suo corpo da adorare in croce e poi risorto! ‘Distruggete questo tempio e in 3 giorni lo farò risorgere. ‘ Il tempio del suo corpo!
Il vero luogo dove lo puoi riconoscere non è dentro 4 mura: perché rischiamo di essere cristiani lì dentro ma non fuori, dividendo sacro e profano, tempio e piazza, spirito e corpo, Dio e uomo! Il vero luogo dove lo puoi riconoscere è il mondo, la Chiesa suo corpo a disposizione di ogni fame e ogni sete!
Il vero tempio è quel sorriso della ragazza: ‘Da quando l’ho incontrato, ho imparato a sorridere! Il vero tempio è un cristiano che ha incontrato davvero il Signore e mostra il sorriso di Dio al mondo, il vero tempio è una Chiesa che si lascia plasmare dallo Spirito. Ecco la nostra Quaresima: imparare a sorridere perché Dio è vicino, perché dalla croce mi salva, perché lui ha già vinto il male, perché ogni volta che penso a lui, il mio cuore sorride e i pensieri tristi si cambiano in gioia.
IL vero tempio è vivere i Comandamenti (prima lettura) non come regole da osservare per essere a posto con Dio ma come parole d’amore, invito alla gioia rivolti al popolo in cammino verso la terra promessa.
‘Distruggete questo tempio e in 3 giorni io lo farò risorgere’: Papa Francesco pellegrino in Iran ha celebrato la Messa dove un tempio, una chiesa era stata distrutta e 48 cristiani, uccisi! Ma la fede non è morta, la speranza non è esaurita, la vera Chiesa continua, risorta dopo le stragi dell’Isis.
O Signore risorto il terzo giorno: a volte è comodo pregarti in chiesa e poi tornare a casa senza averti incontrato. È comodo anche pensare che in qualche modo siamo bravi, e sappiamo ricambiare i tuoi favori e non avere debiti con te. Il vero tempio sei tu da cercare, da incontrare e da testimoniare per vivere ogni giorno da risorti.
Sul monte Tabor, una luce sfolgorante: Pietro Giacomo Giovanni sono illuminati anch’essi. Perché proprio loro? Qualcuno dice che erano i più lontani da Gesù, i più bisognosi: Pietro rinnegherà il Maestro, Giacomo e Giovanni chiederanno di sedere uno a destra e uno a sinistra.
Le vesti di Gesù sono radiose e Marco commenta in modo simpatico: ‘nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche’. Sembra di essere già a Pasqua, si annusa già aria di resurrezione, invece siamo ancora nel deserto!
Sì nel deserto di questa pandemia, ancora un po’ in affanno, nel deserto della nostra Quaresima con Gesù come domenica scorsa, nel deserto dove scenderanno gli apostoli per continuare il cammino con il Maestro fino alla croce e a Pasqua, nel deserto con Abramo che sta per uccidere il figlio, l’unico figlio, su ordine di Dio.
Ma ci pensate ad Abramo che si sente dire da Dio: ‘Vai e sacrifica tuo figlio?’ Una cosa assurda e inconcepibile! Ci sono tante interpretazioni di questo brano che rimane enigmatico e apparentemente disumano. A me ne piace una: l’angelo di Dio ferma la mano di Abramo che sta per sacrificare il figlio ma Dio stesso non fermerà la mano di chi ucciderà su Figlio Gesù. Isacco si salva, Gesù no. Un Dio crudele allora? No, un Dio che rinuncia all’unico Figlio per fare di noi i suoi figli!
Ma il Vangelo di oggi ci rassicura: nei deserti della tua vita non sei solo. Guarda il Tabor, guarda quella luce, guarda quell’incontro, ascolta la voce, contempla il volto del risorto e continua a camminare! Puoi guardare il tuo deserto di affetti, di sogni, di abbracci e cerca di vederlo non come il luogo della prova, ma come il luogo dell’incontro, del fidanzamento con Dio, il luogo in cui ti parla e lentamente ti conduce fuori. Questa Quaresima, questa pandemia possiamo vederla diversamente come un tempo nuovo in cui rimane ‘Gesù solo’, perché può essere lui il punto di riferimento che ci salva, ci fa resistere e uscire.
Per sopportare ogni deserto, ogni Golgota, ogni difficoltà, abbiamo bisogno di questa luce, di questo Tabor, di questo incontro: dal Golgota al Tabor! In ogni Golgota, in ogni sofferenza, in ogni momento oscuro della nostra vita, ci salva solo il pensiero e il ricordo di quella trasfigurazione, quell’incontro di luce che ci ha salvato! Altrimenti siamo destinati a soccombere, a diventare schiavi di satana, schiavi di ogni deserto, al buio, mentre quella luce c’è ma non la ricordiamo, l’abbiamo dimenticata!
Abbiamo bisogno anche noi come Pietro di pronunciare a Gesù quelle parole: ‘ È bello per noi essere qui: facciamo 3 capanne…’ Quante volte glielo hai detto? Quante volte l’hai sussurrato al Signore oppure gli hai detto ‘Come è bello andar via, non mi riguardi, non mi dici niente Signore! E quante volte l’hai detto ai tuoi fratelli, alla tua famiglia, ai tuoi amici: ‘Come è bello stare con voi, mi aiutate a superare il mio deserto, a vincere, mi aiutate a risorgere già adesso! E quante volte sono stato io questa luce per qualcuno? Quante volte la Chiesa è stata luce sfolgorante per chi era stato tradito, abbandonato, deluso, sconfitto. Piccole trasfigurazioni nella nostra vita ci sono state, ci saranno: dobbiamo imparare a gustarle, ricordare quell’incontro, quella festa, quell’amico, quell’intimità, quel sorriso che ricordo ancora dopo molti anni!
Anche Luca l’ambasciatore ucciso in Congo è stato luce per molti: è descritto come non un funzionario distaccato e burocrate ma vicino, sensibile, attento, pronto a correre per dare una mano e salvare qualcuno! Sembra che il male abbia prevalso, che satana abbia vinto, in realtà quel bene fatto non resta ma si diffonde ancora di più. Impariamo ad apprezzare queste luci sul nostro cammino, anticipo della vera luce della Pasqua.
Al termine del Vangelo, la voce dice: ‘ Questi è il figlio mio, l’amato: ascoltatelo’ Non possiamo ancora vederlo ma possiamo ascoltarlo, ascoltare la voce, la sua Parola, che ci fa vivere da risorti già ora, in questo tempo. Nel mezzo di una folla, sai riconoscere una voce amica, la voce di una persona cara: nel mezzo di qualche tempesta, la parola di Gesù ci rincuora, ci fa volare in alto, ci rinnova ogni giorno. La ascolti, la cerchi, la custodisci nel cuore? Durante la preghiera del mercoledì, leggiamo un salmo e poi ciascuno ripete un versetto, una parola da ricordare nella giornata: una piccola luce nel ritmo frenetico di ogni giorno!
Signore, mio Dio, basta una candela per far luce non a tutta la strada da percorrere ma al passo che devo compiere oggi: basta una sola tua parola per illuminare questa Quaresima, questo deserto e aiutarmi a vincere la tentazione di lasciarmi andare e di credere che ci sia solo buio e notte. Voglio essere trasfigurato oggi, adesso in un mondo spento; sei la luce nuova che ci accompagna e ci fa compiere i passi giusti, le decisioni migliori. Ogni ombra ha la propria luce, ogni deserto, la propria fine, ogni Golgota il proprio Tabor.
Anche no la Quaresima! È già un anno che siamo in Quaresima. (Così Paolo Curtaz). Niente o poche feste, giochi, tavolate, cene tra amici. Strette di mano, niente abbracci! Eppure anche questa Quaresima ha un senso: l’importante è lasciarsi condurre, lasciarsi accompagnare da Gesù nel deserto; ci fa paura il deserto, la solitudine, il silenzio. Ne sappiamo qualcosa in questi mesi di chiusura in casa, senza voci, senza grida, né rumori per strada. Sembrava un altro mondo. Però tutto può servire, può farci capire tanto, ci dice che è bene pensare anche a sé stessi, a non farci travolgere dai ritmi frenetici (ci lamentiamo sempre ma poi andiamo a inventarci di tutto e di più per sentirci più vivi), ci fa capire quanto bisogno abbiamo di amici. Quaresima non vuol dire sacrificio, rinuncia, privazioni: Quaresima vuol dire capire chi siamo, dove stiamo andando, chi sono gli altri per me, chi è questo Gesù per me; ‘questo è il tempo per rendere bella la vita’ diceva don Tonino Bello. Le rinunce possono servire per renderci più agili, più pronti, più decisi a raggiungere la meta.
‘Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto’ ma come? perché? Abbiamo appena cambiato il Padre nostro, da ‘ Non indurci in tentazione ‘ a ‘Non abbandonarci alla tentazione…’ e adesso è colpa dello Spirito se Gesù viene tentato? Come la mettiamo? Facciamo un passo indietro: le crisi servono, le tentazioni sono il momento in cui siamo a un bivio e la decisione ci serve, ci rafforza, ci aiuta ad esercitare la libertà! Possiamo scegliere e così provare le conseguenze di una scelta o del suo contrario: il bene costa, non è a basso prezzo, il male a volte ce l’hai lì sul vassoio d’argento, basta allungare la mano e provare se quella è la felicità. Il bene è sulla montagna, devi faticare, sudare, rinunciare e alla fine, se lo scegli, capirai che non conta tanto raggiungere quella cima ma continuare a camminare: quella è la meta, il cammino. Troppo facile credere a Cristo e lasciarsi accarezzare da satana: troppo facile scegliere una ragazza continuando a frequentarne altre. Satana vuol dire ‘accusatore’: ci accusa davanti a Dio, ci scredita, cerca di convincere noi e Dio che non valiamo niente! Al contrario Dio ci difende, sta dalla nostra parte, cerca sempre la punta dell’iceberg di bene in noi e dimentica il male sommerso.
Gesù è la via e la meta: ci dice che il tentatore è sempre pronto. Lui lo ha vinto ma noi siamo ancora nel mezzo della lotta, della battaglia; come un virus tenace, c’è bisogno di antidoti speciali come la preghiera, gesti di carità, la cura di sé e degli altri, il perdono, c’è bisogno di una Quaresima fatta non come una medicina amara da ingoiare alla svelta, o pensando che non fa per me: ‘faccio già tanto, io!’ o che è cosa superata, d’altri tempi.
Dobbiamo pensare che ne abbiamo bisogno, eccome! Fare un po’ di vuoto, di silenzio dentro e fuori, per ritrovare la via del cuore, per fare posto alle cose che contano, quelle che alla lunga ripagano.
Eppure questo Gesù via e meta non evita la tentazione, anzi ci sta dentro, la attraversa, la abita, e la vince, dal di dentro! La tentazione è una crisi che ci fa capire la nostra debolezza, ci fa scegliere, ci fa capire chi siamo, ci mette a nudo, ci fa cercare gli appigli in mezzo alla burrasca. Non devi scappare di fronte al nemico ma devi affrontarlo: non fare come la preda che fugge altrimenti lui si rafforza ma se lo guardi in faccia, capisci chi è, il suo obiettivo e ti rendi conto che tu non hai bisogno di ciò che ti propone a basso prezzo, anzi che è tutta illusione, che la felicità sta da un’altra parte; poi guarda esempi belli accanto a te, pensa che hai tante risorse, amici, aiuti, pensa che stai costruendo una cattedrale nella tua vita, e non stai solo spaccando pietre inutilmente. Così si affrontano le crisi: se ci stai dentro e come Gesù sei fedele a ciò che hai nel cuore, allora ne esci più forte, più consapevole, più determinato, più uomo! Più libero. In ogni crisi, Dio è li, dentro, non per spiare cosa fai, non per infliggerti il castigo che meriti, ma per invitarti a uscirne nuovo, rinnovato, per farti risorgere proprio lì, dove pensavi che Dio non ci fosse.
Anzi, c’è di più: ti rendi conto che sei tentato da satana solo se hai un rapporto intenso con Dio: chi è lontano, non avverte nemmeno di essere tentato da satana.
O Signore, nel deserto anche se a fatica, voglio seguirti per staccare la spina, per ascoltarmi dentro, per mettere da parte troppa frenesia, per rifare il pieno della tua presenza, della tua carezza, della tua Parola. Mi attende ancora un tempo di restrizioni ma non mi fanno paura perché tu hai già vinto il vero contagio, quello del male, di satana, quello della tentazione: solo se starò dentro nella prova, allora uscirò vincitore come te e sarà Pasqua, sarà libertà, sarà vita nuova.
Oggi è san Valentino! Innanzitutto auguri agli innamorati: a chi si lascia chiamare dalla vita a rinascere. Certo perché innamorarsi vuol dire rinascere, lasciarsi plasmare dall’amore. Allora auguri anche a te cristiano se sei innamorato del Maestro, se ti lasci affascinare dalla sua Parola, dal suo sguardo, dalla carezza data al lebbroso, dalla carezza alla mia lebbra per purificarmi, per donarmi ancora la possibilità di vivere tra i fratelli, la possibilità di accarezzare a mia volta il cuore di una sorella, un fratello!
Il lebbroso era un morto vivente: perché la lebbra ha due caratteristiche: ti isola (il lebbroso doveva vivere fuori del villaggio, senza contatti, doveva suonare una campanella per avvertire i sani del suo passaggio e gridare: ‘Lebbroso, lebbroso’) e ti corrode, più dentro che fuori: ti mangia la pelle ma ti corrode l’anima.
‘Se vuoi, puoi purificarmi!’ grida il lebbroso: non dice ‘guarirmi’, ma ‘purificarmi’. Non pensa tanto al corpo ma allo spirito: si pensava infatti che la lebbra fosse una conseguenza di qualche peccato grave! Se vuoi, puoi: la fede di quest’uomo ‘costringe‘ Gesù a fermarsi, a prendersi cura, a provare compassione, cioè a sentire il mal di pancia per quell’uomo. Per i sacerdoti, il lebbroso era un pericolo da tenere alla larga, per Gesù è un fratello di cui prendersi cura!
Il lebbroso a fatica trova il coraggio, anzi la fede per rivolgersi a Gesù sebbene fosse bloccato da un dubbio atroce: come posso io con questa lebbra causata da qualche peccato rivolgermi ancora a Dio? Non merito niente, non sono degno nemmeno di parlargli! Ma per questo Messia non servono patenti, certificati e lasciapassare, non ti chiede documenti di buona condotta: lui guarda di più al tuo sentirti indegno, guarda se ti batti il petto, guarda la tua fede e quella professione di fede: ‘Se vuoi, puoi’. Se vuoi! Lui vuole, ma tu, io vogliamo essere purificati dentro? Ci mettiamo in cammino? Sentiamo il bisogno del suo tocco, della sua carezza? Non sono le medaglie meritate sul campo a darmi libero accesso ma il desiderio di lui: ‘Se vuoi, puoi’.
Oggi è bene che pensiamo alla nostra lebbra, a quella dentro, nel cuore, nello sguardo, nel pensiero, a quel fondo della mia coscienza dove di solito non voglio entrare: è proprio lì che il Signore mi chiama non per condannarmi all’isolamento del lebbroso ma per purificarmi e rimettermi in piedi, in contatto con la comunità. Forse però mi manca il coraggio del lebbroso di gridare a Dio: ‘Purificami’
Come si chiama la mia lebbra? Forse un pizzico di egoismo, una punta di superbia, un frammento di intolleranza, un lembo di rigidità, o poca preghiera, scarso amore per chi non mi vuol bene, incapacità a perdonare o di tirar fuori qualcosa di tasca mia? Qual è la tua lebbra? Ricorda che la lebbra peggiore sta nel dire: ‘Non faccio niente di male, non sono ammalato, non ho bisogno di niente, guarda quello là come si comporta’! Questa è la lebbra peggiore che esiste!
Alla fine Gesù dice al lebbroso guarito: ‘ Guarda di non dir niente a nessuno…’ Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto…’ Gesù vuole aspettare a rivelare chi è: non vuole essere cercato come il guaritore, il santone, colui che fa i miracoli! Vuol essere cercato come il servo, l’amante, colui che dispensa carezze ad ogni cuore spezzato: lui è il Dio in croce, innamorato di ogni lebbroso di questo mondo. Arriverà il momento in cui lo riconosceremo: Lui è nascosto in ogni lebbroso di questo mondo, in ogni fratello piagato nello spirito più che nel corpo. Ci purifica perché anche noi purifichiamo chi si sente bisognoso di lui!
O Signore, innamorato di noi non solo a san Valentino, donaci un po’ di voglia di gridare a te come il lebbroso: gridare che non ci bastano le pomate miracolose del nostro buonismo, del ‘buon senso, del ‘non ho bisogno di niente, io’. Tu non sei il Dio dei miracoli ma il Dio servo, il Dio innamorato, capace di guarire solo con la carezza del tuo amore. Mi basta pensare al tuo sguardo, alla tua parola, alla tua compassione per essere purificato e dire a tutti che hai fatto fiorire non la mia pelle ma il cuore.
Mercoledì inizia la Quaresima, tempo di guarigione, tempo di incontro, tempo di ascolto: ci trovi in ginocchio a batterci il petto dicendo: ‘Solo tu puoi guarirmi!’
Dalla sinagoga alla casa, dall’incontro con Jahwè, all’incontro con l’uomo, dallo spirito alla carne, dal sacro al profano: Gesù non teme di uscire sulle piazze, nel cuore pulsante della vita della gente! Il mondo gli sta a cuore, la casa gli sta a cuore, i drammi dell’uomo gli stanno a cuore e tende la mano, guarisce, risana, rimette al centro, mentre lui si accontenta dell’ultimo posto, quello che nessuno vuole!
A questo punto ci aspetteremmo un miracolo forte, grandioso, la guarigione di un personaggio eccellente, magari un dottore della legge, un malato incurabile, di quelli che la scienza non sa dimostrare: invece no, 3 linee di febbre (forse sarebbe bastata un po’ di tachipirina). In realtà non conta tanto il segno ma ciò che ci sta dietro: non conta tanto il dito ma la luna indicata dal dito; chi ha orecchi, intenda sembra dirci, guarda tutto con gli occhi della fede e allora capirai. ‘La fece alzare, prendendola per mano: quel verbo ‘ alzare’ non indica chi si sveglia al mattino e scende dal letto ma ricorda la resurrezione, cioè la fece risorgere, le donò una nuova vita ’. A noi interessa il seguito: ‘ed ella li serviva’. I doni di Dio ci sono dati per metterli in circolo, per regalarli e spenderli per il bene degli altri e per il nostro bene, per imitare lui, il vero servo dell’uomo contagiato dal peccato.
Siamo noi affetti da una febbre antica ereditata dal paradiso terrestre, siamo noi ai margini, desolati schiavi del nostro egoismo, bisognosi di una mano amica che ci fa risorgere.
Anche il ruolo di Simone, Andrea, Giacomo e Gv è indicativo: loro accompagnano Gesù all’incontro con la donna, o meglio accompagnano la donna all’incontro con lui. Ci vuole una comunità attenta, che si prende cura, che presta attenzione e indica con la testimonianza che solo il Cristo ci può liberare e rialzare: siamo comunità dell’ascolto, della vicinanza, dei ponti, dell’accoglienza del corpo per raggiungere lo spirito? O siamo spenti, senza slancio, senza desiderio, senza orecchi e occhi attenti a cogliere le debolezze, i bisogni di ogni fratello? Una comunità che ha solo una cosa da dire e annunciare: siamo stati guariti da lui, dalla sua Parola, dalla sua mano che ci ha rialzato, ci ha rimesso in piedi e ha acceso una nuova speranza nel cuore. Solo lui ci può guarire nel profondo.
Verso la fine di questo brano Gesù si ritira in preghiera all’alba: ’Tutti ti cercano’ gli grida Pietro rimproverandolo! ‘Non vedi che hanno bisogno di essere guariti e risanati? Non vedi che vogliono applaudirti, non vedi che hanno bisogno di essere sfamati? ‘ Andiamocene altrove!’ Il Cristo non è prevedibile, non entra nei nostri schemi: scrive un’altra storia, la grazia percorre altre strade per raggiungere i cuori più sfiancati, più induriti, più immeritevoli. Va proprio là dove noi gli diremmo che non conviene, che non ne vale la pena, che ci abbiamo già provato noi, che non conviene gettare le reti ancora…ci abbiamo provato tutta notte!
Ma se ritornasse oggi questo nostro maestro, dove ci porterebbe, cosa ci chiederebbe, quale Chiesa troverebbe? Accanto ai disperati e desolati raccontando loro come siamo stati guariti da lui o ripiegati sui nostri comodi e interessi fingendo che siano gli stessi interessi di Dio?
‘Tutti ti cercano’: magari oggi tutti lo cercassero, anche solo per una famosa ‘benedizione’. Invece molti gli hanno girato le spalle, o si sono adagiati o non sperano più in niente; allora tocca a noi ricominciare col piede giusto, con un nuovo approccio ai ragazzi, alle famiglie, ai giovani, per introdurli all’incontro con lui!
Un amico mi raccontava di aver partecipato a un percorso per separati e risposati che stanno rivedendo la loro storia alla luce della fede: ripensare al passato con il suo bagaglio di ferite a volte non rimarginate fa male. Eppure quelle coppie si rimettevano in gioco, ripercorrendo a ritroso la loro avventura lasciandosi curare dalla Parola di Dio. Vedendo la loro determinazione, la passione, le lacrime e la voglia di lasciarsi plasmare da Dio, un prete disse una espressione che capita poche volte di sentire: ‘ Oh, ma questi si convertono davvero’ Non si era reso conto di aver fatto loro il complimento più bello in assoluto!
Questi si convertono davvero …. e lo fanno vedere e la loro fede è contagiosa e non c’è più alcuna febbre che faccia paura perché il Signore è con loro.
Nella canzone ‘Abbi cura di me’, Simone Critichi dice: ‘ Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro’ Basta mettersi al fianco invece di stare al centro. L’amore è l’unica strada, è l’unico motore, è la scintilla divina che custodisci nel cuore’.
Donaci, o Signore, la semplicità dello stare accanto a chi soffre soltanto dicendo loro: ‘ Cerca questo maestro: anch’io l’ho cercato; non sono stato io a trovare lui ma lui ha trovato me e mi ha fatto risorgere per iniziare a servire come ha sempre fatto lui.
Ci vuole lo stupore per accorgerci di Dio! La bocca aperta dei bambini, o i calli sulle ginocchia, non tanti dubbi, tante domande inutili, tante definizioni cervellotiche o risposte a memoria del catechismo. Ci vuole lo stupore! Per apprezzare un regalo, un incontro, una festa a sorpresa, una lettera di un amico, ci vuole lo stupore. Per ricordarti che un giorno una donna e un uomo innamorati hanno pensato a te, che ritornerà la primavera, che la vita ti ha già dato tanto, che hai ancora tante sorelle e fratelli accanto, che c’è più gioia nel dare che nel ricevere, che abbiamo un Dio che accetta la croce perché ci ama…, ci vuole lo stupore. Per andare dietro a questo Dio in cammino devi stupirti: chi non è più capace di stupirsi è già vecchio, prima del tempo, anzi, è già morto!
Stupisciti di questo giovane Rabbì che sconvolge i piani: non ha autoritarismo ma autorevolezza che è un’altra cosa: l’autoritarismo è quello di chi dice: ‘Devi ubbidirmi perché io sono il direttore, il professore, perché io ho studiato, perché il coltello dalla parte del manico ce l’ho io’; l’autorevolezza è quella di chi dice: ‘ Puoi farcela, vieni, andiamo insieme verso la meta, anche se cadi puoi sempre rialzarti, lentamente impari anche tu, ti chiedo di fare quella cosa per il bene tuo e dei tuoi amici!’ . Un altro paio di maniche! Gesù autorevole non predica sopra le teste, non chiede formule a memoria, non dice che non sei degno di entrare in sinagoga o in chiesa perché non sei dei nostri, non condanna come impuri quelli di un altro popolo; Gesù autorevole apre orizzonti, parla della vita, guarisce, accoglie, abbraccia lebbrosi e peccatori annunciando a tutti il regno di Dio.
Anche il cristiano può essere autorevole quando si mette in gioco, quando ci prova, tende una mano verso la Parola di Dio e l’altra verso i fratelli: non giudica, annuncia con la vita più che con le parole, prima di pensare se è un cristiano credibile, cerca di essere un credente!
All’inizio del Vangelo di Marco, all’inizio del cammino del discepolo, proprio quando hai deciso di seguire il maestro non c’è la folla ad applaudirti, né amici che ti incoraggiano, né pacche sulle spalle ma c’è il demonio! E non in un posto qualunque, no! C’è nella sinagoga e nel giorno di sabato, cioè nel luogo più sacro e nel tempo più sacro! Proprio dove non te lo aspetti! Il demonio non è all’inferno, non è nelle carceri o nelle trincee delle guerre, o nei luoghi della prostituzione o nelle cosche mafiose: il demonio è nel cuore di chi non si stupisce più, nello sguardo rassegnato di chi dice: ‘perché Dio non fa niente?’ il demonio è nel mio cuore, nel tuo cuore ogni volta che diciamo: ‘ Vado a Messa, non bestemmio, non faccio del male a nessuno: sono a posto!’ Il demonio sono io quando giudico il fratello, quando non ho il coraggio di lasciare le reti, quando mi fermo e non ho più voglia di seguire il Maestro, quando penso che in fondo tocca agli altri, io ho già fatto tanto: allora il demonio si è già impadronito di me, o meglio, io sono satana, come Pietro che vuole fermare Gesù mentre parla della sua missione. E si sente dire: ‘Vai dietro a me, satana!’
Ma c’è di più in questo Vangelo e in Marco: i demoni (al plurale) dicono: ‘Che cosa vuoi da noi? Sei venuto a rovinarci?’ C’è un modo di pensare a Dio come uno che viene a romperci le uova nel paniere, che viene a farci soffrire, che ci prepara la morte, c’è un modo di pensare a un Dio come a uno che ci impone regole ormai superate, che ci costringe ad amare chi non se lo merita, che mi obbliga a rispettare i comandamenti, ad andare a Messa, mi obbliga a fare quello che non mi va, insomma, viene a rovinare la mia tranquillità. Ecco c’è un modo demoniaco di pensare a Dio, quando recito le preghiere ma non divento io preghiera, quando dico: ‘Io non ho niente contro Dio solo non mi interessa’, quando penso che essere cristiani sia non fare il male anziché fare il bene, quando…. (continua tu)! Allora divento satana, della peggior specie perché penso di essere a posto: ma Cristo ha scaraventato giù dal loro posto i potenti, i re, i farisei, gli scribi dicendo che dovevano convertirsi e non pensare più come pensa satana! Cosa c’entri con me, Signore? In qualche parte della mia vita ti tengo volentieri fuori e ti grido: ‘Cosa vuoi? Cosa c’entri? Lasciami in pace, ho già tanti problemi! E non abbiamo ancor capito che lui non viene a darci il colpo di grazia, o altre tasse da pagare o a chiederci i sacrifici: viene a farci spiccare il volo, viene a regalarci tanti fratelli e sorelle, viene a riempirci il cuore di speranza, viene a donarci una vita piena, viene a dirci: ‘ Ricorda che ti amo, che sei mio figlio: per te andrei ancora in croce!’
O Signore, Dio amante dell’uomo, oggi voglio solo fare una cosa: dire a qualcuno, guardandolo negli occhi: ricordati che Dio ti ama. Solo questo, ma è sufficiente per rischiarare una giornata, per trasformare un lunedì mattina piovoso, con tante cose noiose da fare, con il mal di schiena, quando la tua squadra ha perso, in un tempo di grazia, di festa, in un dono inatteso, prezioso, un dono che non merito. Un sole che non tramonta mai! E perdonami perché a volte scelgo come dio, satana anziché te, Rabbì follemente innamorato di me.
Tempo e luogo non opportuni, non adatti per iniziare la predicazione, l’annuncio del regno, eppure Gesù parte! Giovanni è stato arrestato, sbattuto in prigione; la Galilea è piena di idolatri e popoli pagani, poco affidabili: eppure Gesù parte! La Chiesa di oggi è invecchiata, qualche scandalo, pochi preti, suore non parliamone, catechisti, razza in via d’estinzione: e Lui parte! da chi? Da te, da me, dal nostro Battesimo, dalle nostre barche, dai nostri fallimenti, da questa pandemia, parte dai nostri no, ma anche dai sì che comunque, a modo nostro, cerchiamo di dire. Per lui il tempo è compiuto, è il momento giusto, è ora di (ri-)partire!
Però ricorda che è lui che chiama, lui rilancia come e dove vuole; se parte da noi tutto avvizzisce, se parte dallo Spirito, tutto prima o poi germoglia. Le reti sono sue, il mare è il suo, i pesci sono i suoi: tu devi solo accorgerti che il tempo è compiuto, che è ora, che lui fa fiorire anche il deserto.
Qualcuno ci sta provando in Africa a far fiorire il deserto: si chiama ‘la muraglia verde’: il progetto di una striscia di vegetazione lunga 8.000 km e larga 15, un ‘oasi che parte dall’Oceano Atlantico e arriva all’Oceano indiano, per fermare il deserto, per dare un po’ di acqua, di verde, di speranza a popolazioni di Algeria, Burkina Faso, Benin, Ciad, Capo Verde, Gibuti, Egitto, Etiopia, Libia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan, Gambia, Tunisia. Facile dire: non ce la possono fare! Più arduo ma evangelico dire: ‘ Proviamoci! Ci vorranno molti anni, ma è l’unico modo per salvare il pianeta’.
Gesù ha fatto fiorire non il Sahara ma il nostro cuore: che a volte è più arido del deserto! Lui è quello del ‘subito’ e se vuoi seguirlo, tocca a te, a me dire ‘subito’ come i 4 apostoli: se tuo figlio si rompe una gamba, corri subito, se tua mamma sta male, corri subito, se ti invitano a una bella festa, corri subito, se vinci alla lotteria, corri subito! Se Dio passa nella vita, gli diciamo: ‘Aspetta, non ho tempo, domani…forse!’
L’unico che dice aspetta, nella prima lettura è Giona, il profeta! Gli abitanti di Ninive, dove va a predicare si convertono tutti, iniziando dal re: l’unico a puntare i piedi è proprio Giona, il profeta chiamato da Dio. Ma Dio gli fa capire che non si ferma e continua ad annunciare la Parola che prima o poi germoglia.
Anche Paolo dice che ‘il tempo si è fatto breve’, cosa aspetti ancora? Passa la scena di questo mondo: tutto passa, mentre noi vorremmo fermare il tempo! Tutto passa, tutto, ma c’è qualcosa che non passa mai, a quello devi ancorare la vita: non passa l’amore dato e ricevuto, non passa il bene che hai seminato, non passa questa Parola, non passa il desiderio di andargli dietro e di riconoscerlo vivo e presente, sempre. Non passa la sua chiamata: ‘Venite, vi farò pescatori di uomini!’
Da pescatori a pescatori di uomini! Gesù non cambia la tua natura, la tua passione, le tue capacità: le trasforma, le esalta, le sublima! Basta seguirlo subito, il resto lo fa lui. Conosce il tuo cuore e sa quanto c’è di buono in ognuno. Se vuoi, puoi restare solo pescatore, ma se lo segui, puoi diventare pescatore di uomini; puoi spiccare il volo.
Chissà cosa hanno capito Pietro Andrea, Giacomo e Giovanni! Avevano tutto: casa, amici, famiglia, lavoro. Eppure hanno lasciato e sono partiti: attratti non tanto da quel nuovo lavoro così strano ma dagli occhi, dallo sguardo, dalla decisione! Probabilmente avvertivano in loro una assenza, sentivano che c’era di più, che la loro vita non poteva giocarsi solo e sempre tra le sponde di quel lago ma tra le sponde del cuore di molti amici, fratelli, sorelle. ‘Riceverete 100 volte tanto in case, fratelli, sorelle, dirà loro Gesù: e questo l’hanno intuito dalle parole del Maestro!’
Prima le reti erano la loro vita, chissà come le curavano, le avranno comprate a caro prezzo, sudate…: dopo l’incontro con Gesù, non le considerano più, le abbandonano: per pescare uomini, quelle reti non servono!
E io, tu, che cosa lasciamo, cosa sei disposto a perdere, a lasciare? Ma non una volta per tutte quando ti sei sposato o consacrato o figli, o hai comprato casa: no, sempre! Cosa lasci dentro? Quali sono le tue reti che non ti servono più? Solo se lasci, trovi! Trovi la pace, trovi compagni di strada, trovi serenità, trovi speranza…trovi te stesso!
O Dio, vero pescatore, ho bisogno di lasciare qualcosa della mia vita per seguirti più leggero; donami il desiderio di convertirmi, di cambiare strada, di invertire qualche sentiero che va dalla parte sbagliata, qualche strada che non porta a te! Fammi capire che solo lasciando, posso trovare te, la tua pace, posso realizzare ciò per cui sono nato: donami il vuoto delle mie reti e della vita per essere riempito dalla tua presenza e dalla tua chiamata.
Anna è sterile, non può avere figli, come altre donne nella Bibbia: ma Dio interviene e arriva il figlio Samuele. Lei lo affida al sacerdote Eli come guida spirituale, nel tempio. Di notte Dio chiama Samuele, lo cerca: è Dio a fare il primo passo anche per te e per me, anche se non ci crediamo fino in fondo. Samuele si sveglia e crede che sia Eli a chiamarlo. Va da Eli e gli chiede: ‘ Mi hai chiamato? ‘
Accade anche a noi, o è accaduto: la vita ci chiama fuori, ci invita a rinascere, ci propone la felicità, una vita piena, una vita a colori….ma noi cerchiamo le risposte altrove, dentro di noi, andiamo dalla persona sbagliata! Anziché rivolgerci a chi mi ha messo dentro le domande! Accade anche a noi. La prima perla di oggi è questa: da chi vado per cercare le risposte fondamentali della vita? Prima o poi impareremo a dire: ‘Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta’
Anche nel Vg c’è una ricerca una domanda, forte come l’amore: ‘ Che cosa cercate?’ Gesù nel Vangelo da poche risposte ma pone tante domande: ‘Che cosa cerchi?’ Lui l’agnello di Dio inviato nel mondo in mezzo ai lupi, all’inizio del Vangelo pone ai suoi domande cruciali: Non chiede cosa fai? Quanti figli? Che lavoro? Quanti anni? Quelle sono le nostre domande, quelle che servono a non dire niente di noi, servono a tenere su la maschera! Gesù la toglie ai suoi e a noi la maschera! Chi sei? Cosa cerca il tuo cuore? Di cosa hai sete? Qual è l’obiettivo della tua vita? Non raccontarmi delle storie, quelle non mi interessano! Apri il cuore e Lui ti aprirà i tesori veri, i tesori di Dio! Gesù invece di ‘sistemare’ le persone, invece di blandirle, le sloggia, le mette in strada, le invita e ci invita a camminare, a lasciare qualcosa per diventare pellegrini come lui. Anche a Maria maddalena nel giardino dopo la resurrezione, Gesù porrà la stessa domanda: ‘Donna, chi cerchi?’ Stai cercando solo te stessa o cerchi me? Cerchi risposte che pensi di conoscere già oppure sei disposto a lasciarti sconquassare, sei disposto a partire, a lasciare il tuo comodo divano, le tue sicurezze? Sei disposto a ritagliarti qualche spazio per te, solo per te, in silenzio, al buio? Per sentire la vita che ti scorre dentro e per rispondere a quella domanda: ‘Che cosa cerchi nel profondo? Cosa cerchi nel tuo essere figlio, moglie, marito, single, genitore? Seconda perla: cercatori di vita!
Terza perla: ‘Venite e vedrete’ Il primo verbo è imperativo (o indicativo), il secondo è al futuro! Vieni a incontrarlo e poi vedrai il mondo e gli altri in modo diverso. A chi cerca domande scontate, imbalsamate, precostituite, risposte da manuali impolverati, Gesù invita ad aguzzare lo sguardo. Quale Chiesa vogliamo, quale Chiesa per i bambini, per i ragazzi? Una Chiesa: ‘quando è la Cresima? Una Chiesa: ‘I miei genitori non mi accompagnavano mai a Messa o all’oratorio: perché devo venire io con i miei figli?’, una Chiesa ‘preghierine prima di andare va letto?’ Una casa con 3 o 4 Bibbie rilegate, preziose ma mai aperte e piene di polvere? Una Chiesa: ‘bravo il don, una bella predica!’ una Chiesa: ‘chi si è visto si è visto’ dopo la Cresima. Una Chiesa: ‘ A Messa a Natale e Pasqua e i funerali’ Oppure una Chiesa fatta da donne e uomini che ci provano, che cercano, che si lanciano contagiare da una Parola nuova, da un Agnello, una Chiesa col cuore in mano, una Chiesa che sente il bisogno di Dio, una Chiesa ‘Fratelli tutti’, una Chiesa nel mondo non in sagrestia, una Chiesa che abbatte qualche barriera, una Chiesa che ha sofferto accanto ai torturati ai reclusi, nei campi di concentramento, una Chiesa innamorata , un cristiano innamorato di questo Agnello. Questa è la Chiesa che vogliamo raccontare ai nostri ragazzi perché siano i cercatori di domani!
C’è un’ultima perla: ‘le 4 del pomeriggio’. Nel Vangelo non si dice mai l’ora tranne l’ora della morte di Gesù. Giovanni cura i particolari e vuole dirci che quella è stata l’ora dell’incontro, l’inizio di un tempo nuovo, l’ora in cui tutto è iniziato! Non ti ricordi l’ora del primo abbraccio, l’ora in cui un amico ti ha invitato a una festa, l’ora della nascita di tuo figlio? L’ora della morte di tuo padre? L’ora del primo bacio? L’ora in cui hai intuito che quel Dio-Agnello ti toccava il cuore, come nessuno mai aveva fatto?
Sono già arrivate le 4 del pomeriggio per la tua fede? L’hai già incontrato? O forse ci stai arrivando, o hai un po’ di paura e tiri indietro l’orologio, o magari non ti interessa e non ti dice niente quell’appuntamento, o forse ci sei già arrivato alle 4 ma poi hai detto: ‘No grazie’. Oppure hai cercato quell’incontro e poi la tua vita ha spiccato il volo?
O Agnello di Dio, indicato da Giovanni Battista che un giorno sarai inchiodato alla croce per salvarci versando il tuo sangue. Come Samuele voglio dirti: ‘Parla che il tuo servo ti ascolta’. Come i discepoli voglio cercare il tuo volto, voglio venire e vedere le tue grandi opere e infine voglio fermare l’orologio della mia vita alle 4 del pomeriggio, l’ora in cui ti ho incontrato e qualcosa o tanto in me è cambiato. Insegnami ad amare la strada, la fatica, a non cercare facili compromessi o risposte preconfezionate: già il cammino è la risposta, il cammino dietro a te, per scoprire che tu da sempre mi correvi dietro, mi ‘facevi il filo’ come un ragazzo che spia quella ragazza e sogna di incontrarla per strada e sorriderle. Il tuo sorriso da sempre mi ha cercato; il mio forse deve ancora arrivare; la vera gioia è la certezza che tu non mi fai mai mancare il tuo!
“Tu sei il mio Figlio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Lo Spirito riconosce che quel figlio è il Messia, il Dio con noi, il Dio che accorcia le distanze. Gesù riceve il battesimo ma in realtà è lui che battezza il Giordano, inizia una creazione nuova, un tempo nuovo. Così inizia la cosiddetta vita pubblica: la voce lo trae dall’anonimato, dalla bottega di Giuseppe per inviarlo nel mondo a salvare, a donare, a servire, a stabilire una alleanza eterna come dice Isaia. Verrà riconosciuto ancora nella Trasfigurazione sul Tabor e poi in croce quando il centurione romano, (non un apostolo) dichiarerà: ‘Davvero quest’uomo era figlio di Dio’.
Verranno giorni però in cui questo figlio di Dio non verrà riconosciuto ma anzi rifiutato da chi lo vorrà buttar giù dal precipizio, verrà tentato da satana, deriso dalle guardie, insultato dalla folla, disprezzato da Pilato, tradito da Giuda, abbandonato nel Getsemani, rinnegato da Pietro. Le ha passate tutte: eppure lui ha sempre annunciato il regno di Dio, la nuova Alleanza, il perdono dei peccati, ci ha detto: ‘Ricorda che Dio ti ama’!
Oggi quel Figlio si manifesta ancora non in templi sontuosi, non in Cattedrali gotiche, non in eremi sperduti, nemmeno nei dogmi dei teologi ma in fila tra i peccatori: è lì che lo trovi se lo cerchi. Lo trovi tra i disperati di questa terra, lo trovi nelle famiglie distrutte, lo trovi nelle lacrime di chi ha salutato un proprio caro, lo trovi dove c’è una mano tesa, una porta aperta, dove qualcuno ha il coraggio di perdonare una offesa, lo trovi nel silenzio di una preghiera in famiglia. Ecco dove lo trovi: il problema è se io ho il desiderio di cercarlo davvero, oppure se ho gettato la spugna.
Si manifesta in fila con i peccatori che dichiarano il loro peccato e vogliono convertirsi, si manifesta nella mangiatoia per essere mangiato da chi ha fame di lui, si manifesta nella mirra dei magi per preparare il corpo per la sepoltura e la morte. Ecco chi è il nostro Dio che squarcia i cieli, ma si ferma davanti a un cuore che non lo lascia entrare! Non vuol forzare nessuno, lui.
Un mio amico, don Graziano, cappellano del carcere di Cremona scrive così: “Sono cappellano del carcere. Ogni giorno entro per rendere presente una Chiesa che porta il Signore anche lì dove pensi che non ci sia…Mi fermo a guardare i volti di qualche detenuto:
Vedo Giuseppe ha più di 70 anni, è in attesa del definitivo per aver commesso un omicidio. Questo crimine lo ha devastato. Ha capito di avere una colpa enorme e in carcere ha ritrovato il suo rapporto con Dio. Ha fatto esperienza della misericordia divina ma il peso della colpa continua a rimordergli la coscienza…Ogni domenica è in prima fila. Ha bisogno della Messa perché è l’unico momento in cui l’anima può respirare un’aria pura e salutare.
Vedo Giovanni: anche lui ha una certa età ed è esperto di carceri. Anche per lui la carcerazione ha segnato l’inizio di una vita nuova dove finalmente c’è posto per il Signore. …Non voleva crederci, non poteva permettere a sé stesso di pensare che Dio potesse perdonare tutto quello che aveva compiuto. Il peccato gli pesava sulla coscienza. Mi ha confidato che per questo motivo da 35 anni faticava molto a dormire la notte. Poi si è deciso a confessarsi. Da quel momento ha cambiato volto: è diventato sorridente e fiducioso nella vita. Legge sempre una lettura perché adesso non può fare a meno del Signore.
Vedo anche Bruno: è un veterano del carcere. Qualche tempo fa ha festeggiato metà della sua vita in galera. Ora ha 50 anni…Anche lui si è convertito in questo ambiente. Riesce a pregare regolarmente anche in cella sia da solo che con gli altri detenuti.
Al termine della celebrazione ci diamo un saluto…e inizia la processione di quelli che chiedono le cose più disparate: un aiuto economico, una telefonata ai parenti, una corona del rosario, un paio di scarpe. Per me è come se proseguisse la celebrazione della Messa. Spero che tu, detenuto, una volta uscito ti voglia ricordare di un Dio che ti si è reso visibile attraverso l’interesse di una Chiesa che entra in carcere”.
Noi di solito pensiamo: beh se lo meritano, con quello che hanno commesso! Io non ho fatto niente di male, dunque non ho nemmeno bisogno di confessarmi o di pregare come loro! Forse dovrei ragionare diversamente: innanzitutto grazie alla mia famiglia, amici, paese che mi hanno amato, protetto, aiutato e non esposto a comportamenti a rischio: qualcuno non ha avuto questa fortuna. Inoltre dovrei chiedermi: ma sono così sicuro di non aver bisogno anch’io di conversione? Va proprio tutto bene? Quale sapore ha Dio per me? Quanto lo cerco, come lo cerco? Mi sento un peccatore bisognoso del suo sguardo, della sua carezza, del suo perdono o va tutto bene così: Dio è come una buona crema in aggiunta alla mia torta: delicata la crema, da un tocco in più ma la torta è mia, l’ho fatta io, è buona anche senza la crema, oppure è lui che prepara proprio per me un banchetto di nozze come non ho mai visto?
O Signore, ti confesso che non mi piace tanto vederti lì al Giordano insieme a quei delinquenti, ladri, omicidi: ti preferisco quando calmi la tempesta dalla barca, quando cacci i demoni, quando sul monte Tabor mostri il tuo volto radioso, ti preferisco quando moltiplichi i pani e i pesci! Eppure proprio in mezzo a chi non merita niente tu vai a dire a loro e a me: ‘Ricorda che sei amato da Dio, ricorda che sono qui per donarti il suo perdono, ricorda che sei sempre figlio: Dio non ha scarti a fine produzione, non ti mette ai margini, non ti considera un ‘peso per la società’. Allora conviene anche a me un Dio così: conviene anche a me osservare quei peccatori iniziare a battermi il petto e mettermi in ginocchio perché è il vero modo per stare davanti a te.
Parte bene l’anno con gli auguri di Dio: non con un whats app, non con le luminarie, senza fuochi d’artificio, vietati quest’anno! Auguri alternativi: noi pensiamo ad avere fortuna, amici, soldi, salute naturalmente! Lui pensa ancor più in grande: ti augura una felicità senza misura, ti dice che la fortuna è stata nascere e avere una famiglia, ti augura mille amici ma soprattutto di farti amico quello là che è diventato quasi nemico o rivale, o ti è indifferente (che è ancor peggio), ti augura tanti soldi ma soprattutto la forza per non attaccarti troppo a ciò che possiedi altrimenti ne diventi schiavo! E salute per aiutare, per dare una mano, farti prossimo, stringere qualche mano e confortare qualcuno!
Parte bene l’anno con la sua benedizione: ‘Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace’: dice il libro dei numeri. Anche se qualcuno dicesse male di noi, siamo certi che Dio dice bene di noi, cerca la parte migliore di noi, ha occhi solo per i nostri gesti di bene e dimentica il male commesso. C’è la miseria, l’odio, l’emarginazione ma un giorno Dio andrà a stanarla dai meandri più bui del cuore. Intanto continua a dire bene di noi, anche del peggior farabutto su questa terra. La benedizione prima di qualsiasi rimprovero! Questo l’augurio più bello dell’anno: Dio ti sta cercando, Dio ti vuol trovare: non te lo perdere altrimenti sei perduto. Un Dio così ci fa venir la voglia di partire per il nuovo anno con il piede giusto!
Parte bene l’anno anche perché è la festa di Maria Madre che accoglie e dona dal parto fino alla croce di quel Figlio che è venuto non per pretendere o conquistare ma per donare e donarsi, sempre. Maria che chiamiamo Ma-donna, mia donna, mia e di ciascuno di noi, madre di Dio e madre nostra. Maria che custodisce queste cose meditandole nel suo cuore; lei insegna a noi a meditare e a custodire nel cuore tanti incontri nella vita, tanti affetti, tanti amici e fratelli, che ci hanno presi per mano e introdotto nella vita. Tante benedizioni da ricordare e meditare nel cuore: un po’ come una scorta di cibo in vista dell’inverno! Queste benedizioni ricevute da tanti amici dobbiamo custodirle e ringraziare ogni giorno per averle ricevute! Ma anche i pastori ci scuotono nel Vangelo di oggi: loro che partono ‘senza indugio’. I meno idonei, i meno probabili, i più lontani partono, si avvicinano, raccontano: un bambino bella notizia al mondo. È il momento per me, per te di partire senza indugio per diventare buona notizia che non siamo soli ma sempre parte della famiglia di Dio.
Parte bene l’anno anche in questi mesi così incerti, col fiato sospeso, con qualche interrogativo per il 2021: finirà la pandemia? Quando finirà? Quando torneremo non alla normalità ma a superare, a capire cosa è accaduto e soprattutto che cosa ci ha insegnato questo tempo. Maria custodiva queste cose meditandole nel suo cuore: anche noi abbiamo e avremo bisogno di meditare su cosa ha significato per ciascuno di noi la chiusura in casa, il senso di sgomento, come pure la solidarietà con chi soffriva, la stima per gli operatori sanitari, il rapporto mantenuto con gli amici autentici, la preghiera che a volte ci ha accompagnato.
Parte bene con il messaggio del papa in occasione della giornata per la pace: ‘ La cultura della cura come percorso di Pace’. Lui si è preso cura da sempre di noi: dagli albori dell’umanità. Si prende cura anche di Caino, anche di Erode, di Giuda, come dei tanti Caino dei giorni nostri perché il male serpeggia sempre in questo tempo. Fino alla fine del tempo! Ma il pensiero e la nostra preghiera vanno a quei profughi compresi donne e bambini fuggiti dall’Afghanistan che alla frontiera con la Croazia sono al gelo, con le ciabatte, qualche coperta e poco cibo: tocca a noi prendercene cura. Il pensiero e la preghiera vanno per l’avvocatessa cinese Zhang Zhan condannata a 4 anni di carcere per aver divulgato i suoi reportage da Wuhan in cui evidenziava ciò che non andava nella gestione della lotta al virus. Dimostrava che il governo cinese non ha fornito alla cittadinanza informazioni corrette.
Parte bene l’anno con questo desiderio di pace. Siamo un po’ delusi, confessiamolo. Tra guerre in corso, attentati, missili nucleari, terzo mondo sempre più povero non siano messi molto bene. Eppure è proprio ora c’è ancor più bisogno di una pace che parta dall’alto non da noi: pace con Dio ma pace con l’uomo, anche quello che non la pensa come me; pace da non lasciare ai grandi, ai politici, ma pace tra noi, tra la gente, nelle nostre strade e famiglie (la pace è una cosa troppo seria per appaltarla ai capi); la pace vera dipende da te e da me, dal mio frammento di pace e non di violenza che semino nel mondo (non è vero che non possiamo fare niente: i grandi cambiamenti sono partiti dalla gente, da chi si è fatto su le maniche, da chi ha guardato gli altri come fratelli); sogno un governo che nelle voci del bilancio indichi non più ‘spese per armamenti’ ma ‘spese per la pace’.
O Signore, Dio della pace, donaci lo sguardo di contemplazione di Maria, la concretezza dei pastori, donaci non un nuovo anno ma occhi, pensieri, cuore, mani nuove per fare in modo nuovo le cose di sempre. Tu che dici-bene sempre di noi, ci porti in palmo di mano, siamo preziosi come la pupilla dell’occhio fa’ che il silenzio forzato di stanotte, di questo tempo, e di questi giorni segni l’inizio di una gioia nel cuore, e di rinascita. Lo stupore per la tua venuta è la bella notizia che continuiamo a raccontarci, noi pastori del 2021.
Buon anno perché rifiorisca ogni desiderio e sogni infranti.
Si fa presto a dire famiglia: chiedetelo ad Abramo e Sara. Tanti sogni ma il figlio non arriva, l’età avanza, addirittura la vecchiaia. Ma ad un certo punto una Parola, una chiamata: ‘Abramo parti! Lascia la tua terra’. Una specie di secondo tempo in cui Jahwè gli chiede di diventare benedizione per tutte le famiglie della terra. Come per Maria e Giuseppe invitati a partire per accogliere la vita e la vita del Figlio di Dio; invitati a presentare il Bambino al tempio per offrirlo al Signore. Dio stupisce, fa rinascere, inventa partendo da una coppia, da un amore.
Abramo ascolta, accoglie, segue e partirà: poca poesia nella sua vita. Non giungerà lui nella terra promessa ma il suo popolo; inoltre quella terra sarà occupata dai Cananei e il popolo dovrà lottare per conquistarla (o meglio: Dio dovrà lottare a favore del popolo). Il momento cruciale della coppia Abramo e Sara verrà quando, alle querce di Mamre, accolgono 3 ospiti di passaggio, li accudiscono, li sfamano, e questi 3 personaggi misteriosi, che in realtà sono la Trinità, diranno a Sara che l’anno prossimo in questa data terrà in braccio un figlio! Proprio questa capacità di accoglienza da parte della coppia Abramo-Sara rende fecondo il ventre di Sara. Lei non crede all’inizio e riderà, ma sarà Dio ad avere l’ultima risata: il nome Isacco infatti significa proprio: ‘Dio ride, sorride’.
Il Vangelo ci descrive la presentazione di Gesù al tempio, rito di affidamento del neonato a Dio. In quell’occasione anche Simeone uomo giusto e pio e la profetessa Anna salgono al tempio a pregare: incontrano il bambino e gioiscono: ‘Ora lascia o Signore che il tuo servo vada in pace secondo la tua Parola, i miei occhi hanno visto la tua salvezza…’
Storie di coppie (Abramo e Sara, Giuseppe e Maria, Simeone e Anna anche se non erano sposati questi ultimi). Là dove c’è un amore, una speranza, dove c’è una disponibilità a farsi casa, futuro, a lasciarsi guidare dalle mani di artista di questo Dio, Lui riparte e crea salvezza! Dio non si ferma davanti a niente: soltanto chiede a noi, chiede proprio a noi di essere culla, casa, chiede alla coppia oggi di accogliere un dono, non di possederlo, chiede di presentarlo alla vita, chiede di non stringerlo a sé, chiede di mettersi a disposizione di un progetto. Coppia è parola in disuso oggi, non fa più parte del vocabolario della vita, più di moda essere single; eppure siamo nati tutti da un amore di una coppia che ci ha generato.
Questa giovane coppia si reca al tempio portando una offerta da poveri, due tortore: offrono anche il loro figlio, un dono inatteso per loro, un raggio di speranza per l’umanità. Dio sorride non solo per Abramo e Sara ma anche per Maria e Giuseppe perché attraverso di loro può raggiungere ogni cuore, ogni disperazione, ogni suo figlio!
Sulla soglia del tempio vengono loro incontro i 2 vecchi Simeone e Anna, ricchi di anni ma soprattutto di speranza: attendevano da tempo il segno che Dio sorride e dona ancora un futuro al popolo. Simeone prende in braccio Gesù e benedice Dio, compiendo il gesto del sacerdote. Il futuro, l’annuncio di speranza per il popolo è affidato a 2 anziani: Dio non si ferma e si serve di ogni soffio di vita per i suoi progetti di amore.
È la Festa della santa famiglia sì ma soprattutto festa della mia famiglia, di ogni famiglia, festa di un Dio che cerca famiglia, cerca casa; festa di ogni famiglia che vuol diventare santa. Che non vuol dire fare cose strane ma fare le cose normali con un cuore speciale, con uno sguardo speciale, quello di Dio.
Allora buona festa a tutte le famiglie: famiglie unite, famiglie con tanti figli o senza figli, famiglie aperte a nuove vite, famiglie barricate, intimorite, famiglie credenti e non credenti, famiglie gioiose o un po’ avvizzite, famiglie giovani o vecchie, famiglie che sanno farsi famiglia per ogni ospite di passaggio, famiglie che hanno sempre una sedia in più per accogliere qualcuno.
O Signore, Dio che ti fai famiglia come Padre Figlio e Spirito: ci insegni che l’amore va solo scambiato e donato: questo è l’unico modo per moltiplicarlo. Sei venuto nel mondo non in un tempio, con un rito religioso solenne, con angeli che ti portano giù dal cielo. No, sei venuto in una famiglia di ragazzi insospettabili, poveri e sorridenti, pronti a proteggere la vita. Fa’ di ogni famiglia una culla per accogliere la vita del figlio ma anche per accogliere ogni fratello, sorella che ha bisogno di incontrare una porta aperta, un sorriso, una parola di speranza.
Qualche giorno e ci siamo, manca poco. Presepe pronto, qualche regalo, gli auguri… Pronti al 25 dicembre? Soprattutto pronti a qualcosa d’altro?
Pronti a chiederci ancora: ma io lo voglio il Natale? Lo cerco? Ho voglia ancora di mettermi in gioco? Di stupirmi, di stupirci? O sarò tutto come l’anno scorso? Vuoi essere davvero pronto a Natale? Fai come Maria l’amata, la scelta, la serva. Fai come lei. Non è una ragazzina impaurita e frastornata ma obietta all’angelo e all’inizio punta i piedi: ‘Come è possibile? Non conosco uomo’ Spiegami, fammi capire: Dio cerca me? Ma sei sicuro e poi tu chi sei? Angelo? Cioè: cosa sta succedendo? Poi lo Spirito Santo…’ Nulla è impossibile a Dio!’ E il suo ‘Eccomi’: sì, accetto, divento ‘casa’, grembo, nido.
Invece Davide non era pronto sebbene volesse fare lui una casa a Dio: va dal profeta Natan e gli dice: ‘Natan, io abito in un palazzo e Dio in una tenda in mezzo all’accampamento? Non sia mai! Gli faccio un tempio! Natan tutto contento: qualche privilegio non guasta mai! Ma Dio prende Natan e gli dice: ‘Profeta vai dal re Davide e digli che non ho bisogno dei suoi templi! Digli di stare pronto ad accogliere le mie sorprese e di fidarsi un po’ più di me! Farò io una casa per accogliere mio Figlio: sarà una ragazza del popolo, non una regina! Verrà da un borgo sperduto e non da Gerusalemme; non un sacerdote della tribù di Levi ma una donna adolescente: che scandalo!
Che strano: il cristianesimo inizia non nel tempio ma in una casa! Alla solenne città di Dio, Lui preferisce un polveroso villaggio mai nominato nella Bibbia. Alle liturgie solenni dei sacerdoti, preferisce la preghiera silenziosa di una ragazza sconosciuta. Dopo la resurrezione, il Vangelo verrà rifiutato nella religiosa Giudea e accolto tra i pagani della Galilea. Dio entra nel mondo dal basso, sceglie le periferie. Il primo annuncio di grazia del Vg è affidato alla normalità di una casa, di una famiglia. Le cose più grandi accadono nel quotidiano, senza telecamere, interviste, notiziari, post su facebook, lontano dai luoghi del potere.
Sei pronto ad accogliere quell’imperativo? ‘Non temere’ non aver paura! Altro che un Dio che ci hanno sempre descritto con la bilancia in mano che pesa il bene e il male che hai fatto nella vita! Ce l’hanno sempre descritto così per farci un po’ paura, per intimorirci, per farci rigare dritto! ? Guarda che vai all’inferno! Eppure c’era tutto scritto nel Vangelo, era lì a portata di mano: perché la Chiesa si è fatta un altro Vangelo in tante epoche della storia? Perché tanta rigidità, perché tante condanne e discriminazioni, perché tanti popoli cristiani hanno fatto schiavi popolazioni africane? Perché la Chiesa è andata a braccetto coi potenti? Quale Dio aveva in mente? Quale Vangelo? Quale Natale? Dio entra nella storia dell’uomo non a gamba tesa ma con un regalo in mano: ‘Non aver paura, non temere ‘, Io ti offro un Figlio, una promessa, una Parola nuova: se vuoi, diventa casa, grembo, nido, fatti Natale, fatti braccia aperte per accogliere questo Dio nella tua vita.
Dio cerca madri, padri, fratelli amorevoli, ospitali: vuoi aiutare questo Dio a incarnarsi oggi nel mondo? Vuoi diventare casa, vuoi vivere una gioia nuova, diversa? Vuoi trasformare questo mondo? Parti dal ‘Non temere’ dell’angelo, parti dal ‘rallegrati Maria’, parti dal ‘Nulla è impossibile a Dio’.
Dio cerca qualcuno che stia accanto a quella fila di uomini donne, che hanno perso il lavoro, non a Nairobi ma a Milano: in fila per chiedere non un cesto natalizio decorato con stelle di Natale ma un pacco di alimenti ; Dio cerca qualcuno che ancora negli ospedali stringa una mano e faccia un sorriso e magari porti l’Eucarestia; Dio cerca madri, padri che la sera di Natale giri nelle città a portare conforto a chi dorme per strada; Dio cerca un vicino di casa che ti tenga i bambini mentre la mamma va a lavorare; Dio cerca chi ti saluta tutte le mattine e ti chiede come stai guardandoti in faccia; Dio cerca te, cerca me!
Sei pronto? Se oggi siamo qui, se sarà ancora Natale, se Cristo, Parola del Padre si è fatto carne, tutto nasce è sgorga da quel sì di Dio e di Maria: siamo nati da quei sì!
Oh Signore, Dio sempre pronto a rinnovare il tuo sì anche dopo il mio ‘no’: a pochi passi dal tuo Natale, desidero chiudere gli occhi; troppe luci disturbano! Rendimi pronto, in cammino, per strada, rendimi casa accogliente per ogni ospite indiscreto che non ha alcun diritto. E io che diritto ho di ricevere il tuo perdono, il tuo pane, il tuo Natale? Pronto a fare casa a chi non merita niente: allora sarà un Natale diverso, nuovo, allora sarò pronto a …non fare niente ma a lasciar fare tutto a te. Solo nelle tue mani sono al sicuro, al sicuro anche da me stesso, dai miei timori, dai miei rifiuti.
Buon Avvento, Buon ultimo passo verso il Natale. Un’ultima cosa: fammi venire la voglia di mettermi in ginocchio, di chiederti perdono, di tirar fuori qualche mio peccato non per essere degno di fare la Comunione (come ci hanno sempre insegnato) ma per essere pronto a rispondere al tuo invito per costruire un mondo nuovo, un presepe nuovo, un Natale nuovo!
‘Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta…’ È la domenica della gioia, del gaudio: è la gioia di Maria madre e serva, è la gioia di Giovanni nel deserto. È la gioia del mattino di santa Lucia, la gioia di chi sta camminando verso il Natale: un po’ blindati in casa, senza tante feste ma nessuno ci può rubare la gioia della sua venuta. Tanti progetti in questo tempo sono andati in frantumi: purtroppo diciamo, ma anche un po’ per fortuna: ritorniamo alla gioia, dell’anima, che nessuna pandemia ci può rubare!
Ancora Giovanni il testimone indagato, interrogato da sacerdoti e leviti che si prendono la briga di camminare due giorni nel deserto per vedere le credenziali di quel profeta straccione che grida nel deserto: chi sei? Tu chi sei? Che cosa dici di te stesso? Sei il profeta? Così lo vivisezionano. Quel testimone scomodo e fuori da ogni schema pone delle domande, degli interrogativi: che senso ha quello che fai? Perché non ti comporti come tutti? Sogno una Chiesa che fa nascere delle domande in chi la guarda; sogno una Chiesa che è testimone oggi di una luce e di una Parola: una Chiesa un po’ di più nel deserto delle periferie, delle nostre chiese un po’ vuote (e non solo a causa del Covid), una Chiesa profetessa di gioia mentre tutti annunciano guerre, omicidi, violenze. Una Chiesa, una comunità, un cristiano che suscita delle domande in chi lo guarda. O ci siamo persi per strada un po’ omologati, un po’ standardizzati, un po’ troppo simili a tutti, senza l’entusiasmo del primo sguardo, senza il cuore a mille per la prima uscita con quel ragazzo, quella ragazza, a 15 anni. Siamo Chiesa, sono un cristiano che fa restare a bocca aperta o che fa sbadigliare?
‘In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete’ risponde ancora Giovanni. In mezzo ai sacerdoti e in mezzo a noi: sta l’uno, l’unico che non conosciamo! Rischiamo di non conoscere proprio le persone e le cose che abbiamo sotto il naso; rischiamo di non conoscere il Messia, di non riconoscere il suo passaggio, la sua venuta! Avvento è desiderio di aspettarlo e riconoscerlo accanto, vivo ma anche assente! Una assenza che richiede la nostra presenza, il nostro esserci e prestargli voce, mani, piedi, occhi, cuore. L’assenza di Dio in realtà è dono perché ci purifica, ci scarnifica e ci fa attendere il ritorno, ci fa occupare la storia non da protagonisti, ma, come Giovanni, da ‘amici dello sposo’. L’unico modo per conoscerlo allora è quello di abitare questa assenza per renderlo presente e vivo in ogni deserto del mondo.
‘Io non sono’ ribadisce il precursore. Lui non è. Noi invece siamo. O crediamo di essere. Siamo quelli vincenti, siamo quelli che risolvono i problemi, siamo i vip, siamo quelli che inventano momenti speciali, siamo gli ‘influencer’, siamo quelli che cambiano la storia, siamo! Giovanni costruisce la sua identità sul lasciare il posto. Lui è solo voce che lascia spazio alla Parola. Lascia il primato, cede il passo. Deve venire Uno, non molti, Uno per tutti. Arte da imparare quella del tirarsi indietro, arte persa: ci piace troppo occupare spazio anche nella vita degli altri, ci piace troppo mettere al centro della nostra vita tante cose e persone: ci fanno sentire vivi ma ci rubano silenzio, ascolto, ci rubano l’essenziale! Per noi è sufficiente sembrare: sembrare giovani, sembrare forti, sembrare importanti e autonomi, anziché essere! Giovanni è ombra, è segno, è testimone.
O Signore, sposo tanto atteso. Noi viviamo sospesi tra la prima tua venuta e il tuo ritorno alla fine dei tempi; nel frattempo ci domandiamo chi siamo e come viviamo il rapporto con te. La tua assenza ci interpella e ci fa capire chi siamo, ci pone nel modo giusto in attesa del tuo ritorno: ci fa stare nella storia come voce, ombra, come chi scruta l’orizzonte in attesa del ritorno della persona amata. Lo ricorderemo come il Natale della pandemia, delle mascherine che ci tolgono molto ma mettono in evidenza gli occhi, lo sguardo, e gli occhi non mentono. Ma sarà sempre il tuo e il nostro Natale, un po’ sotto tono ma sempre tempo di salvezza. Ormai manca poco sorelle, fratelli: non al 25 dicembre ma ad accorgerci di quanto è essenziale quella Parola, quella luce, quella assenza che ci invita ad essere presenti nella storia di questo tempo di grazia!
Buon cammino, buon Avvento, buona domenica della gioia, buona attesa non che il mondo cambi ma che io mi converta per essere Natale proprio oggi.
I Vangeli dell’Avvento ci lasciano un po’ a bocca asciutta: niente di solenne, non Gesù che vince i demoni, niente miracoli, niente parabole sulla misericordia di Dio, tanto meno il grande dramma del calvario! Non ci portano nella grandiosità del tempio. Solo deserto, sabbia, cavallette e miele selvatico (ve li consiglio per il pranzo di Natale), l’acqua del Giordano e poi lui, Giovanni il precursore, il profeta vestito da straccione, grida che il tempo è arrivato! Preparatevi.
La venuta del Messia sembra iniziare col piede sbagliato, nel posto sbagliato con una squadra che non ha nessuna possibilità di vincere, con un amico di cui non ti puoi fidare, con una nuova start up dal bilancio già in rosso, ancor prima di aprire i cancelli.
Eppure è un inizio! Inizio di cosa? Chi inizia?
Marco ci sorprende così: parte dal lunedì mattina, dall’ultimo portinaio non dall’amministratore delegato, dal portaborse non dal primo ministro, dall’ultima catechista senza corsi di aggiornamento, non dal teologo di grido. Parte da me, da te! Da ogni servo che ci sta a trafficare il talento, parte con lo slancio di chi ha incontrato, visto qualcosa: Marco ha toccato con mano il Cristo attraverso la testimonianza degli apostoli, ha ascoltato la predicazione di Pietro e si è convertito.
È un po’ come qualcuno ti dice: ‘ Oh, devi andare in quel posto là: c’è una valle isolata, fresca, ruscelli, profumi, Montagne che ti sembra di toccarle con mano, e persone cordiali, e simpatiche. Vieni con me, ti porto. Vuoi? Là ho incontrato un amico che mi ha scaldato il cuore. Non è una bella storiella: mi ha cambiato la vita! In meglio.’
Ecco: Marco ci invita, ci chiama a vedere non quella valle, quel paesaggio, quel lago di montagna, quel museo, quel musicista, quell’artista: Marco ci invita nel deserto a seguire Giovanni, la voce, preludio della Parola che giungerà all’improvviso. Ci da una ‘bella notizia’: vieni, anche nel tuo buio, nella tua croce, dalla tua sofferenza, c’è un domani, una luce, non temere. Lui ci fa vedere il mondo con occhi nuovi!
E ci invita a prepararci! Certo prepara regali, pranzi, casa accogliente ma soprattutto prepara te stesso. Come? Comincia a colmare le valli della tua poca fede ad abbassare le montagne del tuo orgoglio, comincia da lì (ce n’è già a sufficienza). Comincia a ritagliarti un piccolo deserto nella tua giornata, nella settimana: la pandemia ci ha costretto al deserto! Eravamo impreparati, ci ha rinchiuso in casa ma poi forse abbiamo capito che nel deserto siamo più veri, più noi stessi, abbiamo ripreso a guardare dentro di noi anziché sempre gli altri.
Allora siamo all’inizio: all’inizio della venuta sua e nostra. Dio è sempre all’inizio, da capo, lui non conosce la parola ‘fine’, ‘è finita!’ E invita me e te a partire, a ripartire, a provarci, a non scrivere mai la parola fine.
Il tempo è poco, il Signore sta per bussare alla tua porta: sei pronto a farlo entrare o lo lasci volentieri fuori? ‘Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri’. Non c’è più tempo da perdere, rimboccati le maniche! Marco è concreto e immediato: preparati, stai pronto non a un’altra pandemia, ma a sostenerci, a star vicino a chi ha perso familiari e lavoro, perché toccherà a noi pensare anche a loro, far spazio, almeno non far finta di niente. È urgente muoversi, non addormentarci: l’Avvento viene a buttarci giù dal letto, a svegliarci e a invitarci a cogliere la sua venuta e ad aprire gli occhi su ciò che accade intorno. Dal deserto le cose si vedono meglio; capisci che anche un bicchiere d’acqua è tanto per chi è assetato di acqua e di amore! Dal deserto impari ad apprezzare tutte le cose che hai a disposizione sempre: privatene un po’ e poi le apprezzerai di più!
‘Consolate, consolate il mio popolo’, dice Isaia nella prima lettura, ‘ parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è finita’. Per i nostri fratelli che ci hanno lasciato la tribolazione è finita, Dio stesso li consola adesso; e consola anche noi ancora in cammino.
Vieni nel nostro deserto, Signore, squarcia le tenebre che ci avvolgono, insegnaci l’arte del preparare casa accogliente e cuore aperto a riconoscere i tuoi passi. Trasforma il nostro deserto arido in un giardino profumato e fiorito che sappia accogliere chiunque sfiori la nostra vita: allora sapremo ‘contagiare’ i nostri fratelli e parlar loro di un Dio sempre all’inizio, sempre pronto a ripartire dalle nostre cadute per rifare un mondo nuovo.
Un mio amico mi ha raccontato una cosa che mi ha lasciato esterrefatto. Direttore d’orchestra, musicista e suonatore di fagotto da giovane stava cercando uno strumento speciale, lavorato a mano da un maestro. Conobbe un costruttore di strumenti che ne aveva già costruiti molti. Di grande fama. Lo porta nel deposito dove sono appese le assi, un tempo abeti slanciati verso il cielo, profumo di resina che ti riempie polmoni e ti fa sognare foreste sconfinate. Il maestro li sfiora con la mano, li contempla, li annusa poi dice al mio amico: ‘ Vedi io tutti i giorni vengo qui, li guardo e aspetto: attendo il momento giusto, attendo che uno di loro sia pronto e mi chiami. È lui a dirmi che è pronto. Io sto solo in attesa, lo ascolto, poi lo prendo, lo lavoro e tiro fuori lo strumento che vi è nascosto dentro’.
Quel maestro viveva l’attesa, era in Avvento, proteso verso il momento giusto, opportuno per far accadere l’incontro tra lui e l’asse di legno: incontro che darà vita a un’opera d’arte!
Oso pensare che Dio sia quell’artista e che aspetti che io sia pronto a spiccare il volo: lui ha già volato prima di me, lui è il maestro di ogni volo ma sa attendere che io mi accorga di quanto sia bello volare, diventare un’opera d’arte nelle sue mani; lui mi aveva scelto come il maestro aveva scelto le assi da collocare nel deposito. Ma sa attendere che io alzi il capo, mi accorga della sua luce, e risponda a quel richiamo: ‘Vegliate, state pronti’. Per salvare il mondo questo Dio ha deciso di circondarsi di servi, di chiedere la loro collaborazione, di rischiare che si addormentino per strada e si mettano a giocherellare tra loro mentre la casa brucia: chi sa attendere veramente è solo lui, non noi!
Lui è pronto dall’eternità ma chi non è pronto sono io, addormentato, preso da mille affanni e preoccupazioni preferisco restare tranquillo nel deposito anziché diventare opera d’arte, preferisco piangermi addosso, fare la vittima e inveire contro tutto e tutti anziché accendere una piccola luce nel buio del mondo!
Lui mi chiama a diventare servo e portinaio, custode dei suoi tesori, con il suo potere: ma il suo è un potere diverso dal solito; è il potere di scegliere l’ultimo posto, il potere di servire il nemico, il potere di far fruttare quel talento prezioso, il potere di dar da mangiare, da bere, vestire, riscaldare, prendermi cura. Questo è il potere affidato ai servi! L’unico!
Avvento è il tempo del desiderio, dell’imparare ad attendere, del sentirsi protèsi verso un evento: non è il tempo che precede il Natale! L’attesa porta con sé 2 vantaggi: ci fa apprezzare di più l’evento atteso e ci rafforza, ci rende capaci di mantenere accese le lampade!
“Aspettare è una occupazione. È non aspettare niente che è terribile” (C. Pavese). Aspettare il desiderato, l’atteso; ma soprattutto aspettare che noi siamo pronti ad accorgerci della sua venuta!
‘Voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà…’: certo, non sappiamo quando ma sappiamo che ritornerà, ne siamo certi! L’unica cosa da fare è stare pronti, non addormentarci, sentirci in cammino, uniti tra noi, pronti a svegliarci perché il maestro ci trasformi l’opera d’arte meravigliosa che è racchiusa in noi.
Vegliare è un verbo che sfianca, che ti toglie la speranza! Ma tutto dipende dal nostro sguardo, tutto dipende da cosa osserviamo: se guardiamo il mondo, la gente che corre dalla mattina alla sera, le preoccupazioni di ogni giorno, allora ci cadono le braccia e diciamo: ‘chi me lo fa fare? Non ho tempo da perdere’. Ma se guardo nella direzione della sua venuta di un tempo, della sua venuta alla fine dei tempi, se guardo i germogli di bene che ci sono nel mondo, se mi nutro della sua Parola e del suo Pane, se nutro la speranza, se imparo a desiderare ciò che già possiedo e non a possedere ciò che desidero, allora vuol dire che mi sto preparando, sono in cammino, sono un servo umile, affidabile, pronto nel momento in cui il Signore passa.
La vera tristezza per l’uomo d’oggi non è quella di non avere occasioni ma di averle perse, di non averle viste, di non accorgersi del nuovo germoglio! Quando il Napoli di Maradona ha vinto lo scudetto qualcuno, pensando ai defunti, ha scritto sul muro del cimitero questa frase degna della fantasia napoletana: ‘Guagliò, cosa vi siete persi!’ Cosa ci perdiamo se sprechiamo questo Avvento ripiegati sulle nostre paure, anziché diventare servi in cammino!
Le cose più importanti della vita non vanno cercate: vanno attese! (Simon Weil)
‘Se tu squarciassi i cieli e discendessi…’ è il grido di dolore del popolo dopo la distruzione di Gerusalemme, del tempio, dopo la fine di ogni speranza, popolo schiavo a Babilonia! Se tu squarciassi non i cieli, Signore, ma il nostro cuore chiuso e il nostro sguardo spento, allora sarebbe Avvento, sarebbe desiderio, sarebbe tempo di rifiorire e diventare l’opera d’arte che tu hai pensato per me! Sarebbe attesa di uno sguardo nuovo sul mondo, sarebbe un tempo nuovo per attendere il ritorno tuo e il ritorno di noi tuoi servi.
Vuoi far sorridere Dio? Raccontagli i tuoi progetti! Dice un midrash (aneddoto) ebraico. Aggiungo: vuoi farlo piangere? Girati dall’altra parte quando qualcuno ha bisogno di te. L’importante è cercare di capire i suoi progetti!
La scena del Vangelo di oggi ci mette un po’ di ansia e inquietudine (come se non ne avessimo già abbastanza di ansia…); sembra che questo giudice implacabile ci aspetti al varco, nel momento della nostra morte per tirar su i conti e rimproverarci per le Messe perse, le preghiere e le processioni non fatte. Una specie di esame finale per spedirci all’inferno o in paradiso! Le barzellette si sprecano su questo arrivo delle anime alla porta di san Pietro.
Pecore e capre separate non perché le une brave e le altre no ma sembra per riparare dal freddo le capre sprovviste di pelo. Certo non ci fa un bell’effetto essere paragonati a pecore o capre: ma il senso è un altro.
Innanzitutto Dio ha la memoria corta, non è bravo a prendere appunti o a fare il back up dei file chiamati: ‘Preghiere, Messe, Comunioni di ogni cristiano, anzi fa apposta a dimenticare. A lui dei nostri peccati non interessa granché: non come i confessori di qualche decennio fa che chiedevano: quante volte? O meglio: dimentica ciò che abbiamo sbagliato, dimentica gli incidenti di percorso, dimentica le nostre cadute ma conserva bene nel cuore le occasioni in cui abbiamo stretto una mano, ci siamo presi a cuore quel disgraziato, abbiamo mantenuto i rapporti con quel parente scomodo, insomma abbiamo messo nel cuore i dolori e le sofferenze del primo che passava per strada o del collega che vedo tutti i giorni. Perché lì lo potevo vedere, accogliere, riconoscere!
E non dice: ‘Date da mangiare, vestite, accogliete quello là così ubbidite a un mio comando. No, lui dice: ‘fallo perché quel povero, quel disoccupato, quel mezzo drogato sono io! Quello è il mio volto, la mia storia, quelle pene sono le mie pene oggi, adesso. Vuoi salvarmi dalla croce oggi? Vesti, disseta, accogli, vai a trovare…. ama!
Dove lo trovi Dio oggi? In quel santuario famoso, dove tutti pregano e ‘tocchi con mano’ la fede? Nei miracoli, in qualche guarigione inspiegabile? In qualche bella Messa del papa o in una cattedrale gotica? Non ci sono segnali speciali, non un’impronta digitale o firma digitale o santi e angeli come sua segnaletica. Nell’uomo sfinito, in lacrime, affranto: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Un Dio che viaggia in borghese senza tappeti rossi né like sui social.
Dio è più semplice di quanto tu non creda : lo trovi nelle tue mani aperte, nel tuo pensiero di pace, nelle tue braccia spalancate, nel tuo portafogli un po’ più a disposizione, nel tuo sguardo che cerca quella scintilla di bene nel peccatore più incallito, lo trovi ogni volta che in questo periodo non ti barrichi in casa ma cerchi , ti lanci, chiami quell’amico, quella anziana là che vive da sola, fai un regalo al tuo vicino di casa che è andato alla casa di riposo, quando tieni i contatti con la tua associazione , il tuo gruppo .
Non so bene se l’argomento di queste letture sia paradiso o inferno, Giudizio finale? Una volta un amico mi ha descritto così il cosiddetto inferno: la nostalgia del bene che potevo fare e non ho fatto, il mangiarsi le unghie per i gesti di bene persi, sarà dirsi: ‘cosa mi sono perso!’ Era talmente vicino questo re, era a portata di mano e io credevo che fosse lontano, un Dio da studiare, un Dio come un esame da superare, altrimenti non sei promosso, un Dio da Messa alle 6 del mattino con mio nonno avvolto nel mantello, un Dio in qualche monastero di clausura…. Invece ce l’avevi sotto gli occhi e te lo sei perso: un po’ come quando uno non trova gli occhiali e ribalta tutta la casa, poi un amico gli dice: ‘Guarda che li hai sulla testa!’ ‘ Non me ne ero accorto’: ecco, siamo quelli che non si accorgono di quanto ce l’abbiamo accanto, dentro, vicino: basta chiudere gli occhi, donare, vestire, accogliere, far spazio, allargare il cerchio ma non a quello là che è già dei nostri ma a chi sai già che non potrà ricambiare il favore fatto! Nella mia buca non ci sarà dentro solo il mio talento ma tutti gli abbracci non fatti, le parole non dette, i fiori non regalati!
Allora quella apparente minaccia: ‘Via, lontano da me maledetti nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli…’ è come se Dio dicesse: ‘Sei andato via da solo, hai deciso tu, ti sei perso l’occasione di incontrarmi, di diventare vero uomo ma anche vero Dio nel mondo, hai perso l’inizio dell’eternità in ogni giorno della tua vita, hai rifiutato quel paradiso che avevi già in tasca, non ti sei accorto che gli occhiali non li avevi persi ma li avevi in testa!
Vuoi far sorridere Dio? Raccontagli i tuoi progetti! Raccontagli dove lo hai cercato, raccontagli le tue idee su inferno e paradiso o sul diavolo o vita eterna.
“Figli della luce e figli del giorno siamo”, ce lo ricorda Paolo; ‘non apparteniamo alle tenebre’. Ma prima dice anche: ‘e quando la gente dirà: ‘C’è pace e sicurezza!’ allora d’improvviso la rovina li colpirà”.
Anche noi pensavamo di darci da noi stessi pace e sicurezza, pensavamo che tutto dipendesse da noi e che non ci poteva capitare niente di male: naturalmente per ‘noi’ intendiamo noi occidentali, noi europei, noi italiani: nemmeno a pensarci agli altri 5 miliardi di persone sulla faccia della terra! Invece è accaduto e ora ci lecchiamo le ferite, magari incrociando le dita e con la paura del terzo servo del Vangelo. Oggi è la giornata mondiale del povero: ‘Tendi la tua mano al povero’ ci dice il papa. Loro, i poveri, sanno bene cosa vuol dire ‘pace e sicurezza’ perché ne sono privi e sanno che non se la possono dare da soli ma la invocano da Dio e magari da qualche nostro aiuto.
‘Figli della luce e figli del giorno’ non perché non può accaderci nessuna pandemia ma perché il padrone ha riempito le nostre mani e la nostra vita dei suoi talenti! Siamo nella luce e nel giorno, nonostante tutto!
Quel ragazzo ha del talento, diciamo; cioè ha dei numeri: è un bravo calciatore, musicista, un artista sopraffino… Ma stiamo attenti quando un termine del VG entra nel linguaggio comune: i talenti, unità di misura che corrisponde al valore di 15 anni di lavoro di un operaio qualificato, non rappresentano le nostre abilità, o capacità o ciò che sappiamo fare: il talento posto nelle mie mani è il suo Vangelo, il suo pane, il suo vino, l’appartenere alla comunità dei credenti, il vero talento è il Signore posto nelle mie fragili mani.
La domanda allora è: io a quale servo assomiglio? Ai primi due che trafficano e moltiplicano, insomma ci provano o al terzo servo che per ‘paura’ nasconde il talento sotto terra? Apprezzo quel dono e cerco di donarlo a mia volta oppure non mi fido degli altri, di me stesso e nemmeno del padrone che invece mi ‘affida’ ciò che ha di più prezioso, il Figlio? La paura ci paralizza, rischia di chiuderci in casa ancora in questi giorni, ci fa sotterrare sogni, affetti, speranze, gioie. Come le vergini stolte di domenica scorsa: addormentate, senza l’olio per far festa allo sposo! Invece il padrone ci prova sempre, si fida di me e di te, della Chiesa di oggi e scommette su noi donandoci il suo tesoro più prezioso, il Figlio: ma ci chiede di uscire nel mondo per regalare i suoi tesori, per far risplendere la sua luce ovunque. Il suo invito è una festa, la festa di questa vita e la festa vera nel regno di Dio.
È quel ‘prendi parte alla gioia del tuo padrone’ che ci fa venire la voglia di provarci, di commerciare i talenti, ci fa venir la voglia di buttar alle spalle ogni paura e ogni timore perché è troppo grande quello che mi è accaduto, è troppo bella la notizia di questo Dio che mi regala suo figlio, il suo amore, il suo sguardo di Padre per ogni uomo. È troppo bello averti incontrato, Signore: è questo il vero talento che mi fa alzare ogni mattina e tinge a colori la mia vita, mi fa prendere per il verso giusto le persone che amo e le cose, mi consola, mi rafforza e mi dà ancora speranza.
Invece a volte prevale in me la paura del terzo servo. ‘Sapevo che sei un padrone duro che mieti dove non hai seminato…’. Non c’è nulla nel Vangelo che giustifichi questa affermazione, eppure il servo lo considera un padrone severo e autoritario: ce l’aveva dentro, gli avevano sempre parlato di un padrone così, di un Dio così e allora non poteva pensare diversamente.
Ci hanno sempre insegnato che con Dio non si scherza e ‘devi’ tenerlo buono con i tuoi sacrifici e le preghiere: poi una volta diventati grandi abbiamo pensato che anche se non faccio sacrifici, non mi accade niente di male. Allora abbiamo detto: ‘A cosa mi serve questo Dio? Sto bene anche senza? Me la cavo da solo, e anche se non lo seguo non mi accade niente di male’. E abbiamo buttato la fede giù dalla finestra, chiudendo bene la porta, si sa mai che qualche nonna o mamma zelante corra ad aprire e la faccia entrare. Anche questo è un Dio a nostra immagine e somiglianza. Non il Dio di Gesù!
Non abbiamo ancora capito che Dio mi chiede solo di partecipare alla gioia, mi regala il suo regno, mi invita a nozze dove io sono la sposa, non un invitato qualunque, lui mi regala i talenti per farmi vincere le paure che mi serrano gola …e cuore! Non è uno che mi vende i suoi prodotti fa un contratto con me e poi chiede di rispettare tutte le clausole quelle scritte in piccolo, quelle che ti fregano: il suo contratto si chiama alleanza, matrimonio e lui vuole solo donarmi il più grande talento: suo Figlio!
O Signore, padrone che non tieni nulla per te, sai, voglio cominciare a prendere in mano la vanga e scavare dove l’ho sotterrato il mio talento e cominciare a seminare di più quella gioia che tu mi doni! In quella buca troverò anche tanti sorrisi non fatti, tante parole non dette, tanti incontri persi!
Allora conviene a me amarti con tutto il cuore, Dio così diverso da me, che butti alle spalle le mie paure e mi inviti ancora alla festa del tuo regno.
‘Ecco lo sposo’! Il cuore di questo brano sta tutto qui in questo grido che squarcia la notte: ‘ecco lo sposo’. Fermati lì a contemplare quell’annuncio , quella bella notizia di un ritorno inatteso, di un ritorno a casa del figlio dopo anni di guerra al fronte mentre tutti lo credevano morto; assomiglia quel grido ‘ecco lo sposo’, alle voci dei soccorsi che una persona sotto le macerie sente in lontananza; assomiglia tanto a una dichiarazione di matrimonio che un ragazzo fa alla sua ragazza, non in una festa affollata ma in cima a una montagna (un ragazzo che mi disse una volta : ‘ Don, ho deciso: il giorno del suo compleanno chiederò a Laura se mi vuole sposare, aspetto il momento giusto e mi lancio!’); assomiglia ancora ai salti di gioia dei bambini quando si incontrano per giocare…. Lo sposo c’è, lo sposo arriva, magari nel cuore della notte, ma arriva!
E noi cosa facciamo? e tu cosa fai? ‘Si assopirono tutte e dormirono’. Tu dormi, io dormo. Non conta quando arriva, conta quanto dormo o quanto sono sveglio, quanto sei pronto a lanciare quell’urlo nella notte, a correre incontro a quel figlio tornato dalla guerra, a buttare le braccia al collo al tuo ragazzo che ti chiede di sposarti, a quanto sei pronto a chiamare i soccorsi con un filo di voce mandando giù la polvere che ti serra la gola. Noi siamo quelli che spesso dormono: dormiamo e perdiamo l’occasione propizia, perdiamo l’olio, perdiamo la luce, siamo al buio dentro nel cuore, nello sguardo: siamo al buio quando perdiamo l’occasione di sorridere ancora a quello là, di regalare una coperta e magari qualcosa di più (perché regalare solo una coperta non ci costa nessuna fatica). Perdiamo l’occasione di pregare in famiglia, magari la domenica prima di pranzo o una sera prima di cena. Se ci addormentiamo, la vita ci scorre via e perdiamo il bello, ci perdiamo lo sposo ci perdiamo una vita nuova, donata, una vita da ‘beati’ come abbiamo sentito domenica scorsa.
Siamo bravi a lamentarci se lo sposo ritarda ma non altrettanto bravi nello stare svegli. In attesa. Una persona che ho incontrato qualche giorno fa mi dice: ‘Sono arrabbiato con Dio: perché non fa niente? In questa situazione? Perché si fa aspettare così tanto’? Ho risposto: ‘Lui ha già fatto tutto, è già venuto, ha già parlato: non è lui in ritardo: siamo noi che abbiamo perso le sue tracce!’
Però ci consola una cosa: lo sposo non si aspetta niente; sa già che le nostre palpebre si chiudono, che le nostre mani mollano la presa, che rischiamo di dimenticare, di non ricordare più che ci aveva promesso il suo ritorno; Lui conosce la nostra fragilità e le nostre promesse da marinaio ma continua a crederci, a sperare, a squarciare ancora la nostra notte e a regalarci la luce vera anche se le nostre lampade sono già spente.
Che cosa aspettiamo allora, qual è quel momento del ritorno dello sposo? Non è la fine della vita, non è un miracolo, non è nemmeno una apparizione: è l’oggi! È questo momento. Lo sposo arriva oggi, nelle occasioni più normali e insospettabili, lui ti aspetta quando c’è quando tu diventi il prossimo di qualcuno, il vicino a chi ha bisogno, il compagno di viaggio, il ‘santo della porta accanto’.
È tutta una questione di olio da conservare; la prima lettura la chiamerebbe sapienza da mettere nelle scelte di vita. L’olio, nessuno te lo può dare, lo devi conservare. Conservare lo sguardo del bambino, la gioia dell’innamorato, la speranza del ritorno dal fronte, la luce nella notte: nonostante il buio che ti circonda!
Certo che quella porta chiusa non ci piace proprio! Ma non aveva detto: ‘io sono la porta delle pecore?’ Il rischio c’è: allora cosa fai? Dai ancora la colpa a lui oppure cerchi di essere sveglio e di vivere una vita ‘accesa’ da quella luce? Una vita da risorti, una vita che risplende e diffonde la sua luce ovunque. Questa è la scommessa: in attesa non del Paradiso ma di cogliere i segni di un Dio che vuol trasformare la terra in un paradiso, nonostante questo buio, nonostante questa notte!
A volte mi chiedo: ‘Ma io ti sto aspettando, Signore? Mi manchi? Quanto ti cerco nella notte del mio peccato, nel mio no, nel mio rifiuto? Sono anch’io un po’ troppo addormentato? Donami ancora quell’olio per la mia lampada, donami di restare sveglio in questo tempo ancora difficile, in questo buio che sembra avvolgerci ancora per la seconda volta donami la certezza che tu, vero sposo, ritorni: fa’ che io sia in attesa non del tuo ritorno ma del mio bisogno di svegliarmi, di accorgermi che da sempre Tu mi stai aspettando.
‘Rallegratevi ed esultate’. Fate festa perché il Signore vi ha parlato, ti ha toccato il cuore, perché lui è il vero beato venuto tra noi per rendere beato anche te, anche me, anche il mondo, a sua immagine! Fai festa ogni volta che accetti di andare controcorrente, ogni volta che sei povero dentro, cioè bisognoso di Dio, ogni volta che non giudichi come fanno tutti, ogni volta che dici: ‘Tocca a me’, ogni volta che in un mondo sporco tu rimani puro nel cuore, ogni volta che ti sforzi di vedere il meglio negli altri e il marcio in tè, ogni volta che sei misericordioso, cioè col cuore misero e semplice, ogni volta che sei operatore di pace, non pacifico, e porti la pace in quelli che sono in lotta tra loro, ogni volta che ti batti per un po’ di giustizia!
Ma soprattutto rallegrati, esulta, fai festa perché le radici della tua vita non sono in quei soldi e beni che possiedi, nemmeno nella certezza del tuo lavoro, o nella carriera, ma nemmeno nel più bravo figlio, genitore, fratello, moglie, marito perché nessun essere umano può garantirti la felicità: rallegrati, fai festa perché meno trattieni per te, più doni e più sei libero; la felicità sta nel cuore ci dice il Maestro, ricorda.
Il Signore ti ripaga, non temere: ‘beato se sei mite, se non hai cercato di mettere gli amni su tutto, se non pretendi di dominare e controllare; allora erediterai la terra, proprio tu che non hai mai preteso ricompense, onori, e nemmeno un ‘Grazie’. Dio vede e ti ricompensa.
Se i Comandamenti sono i paletti che mi impediscono di uscire di strada per non farmi male, le Beatitudini sono il desiderio di camminare, di correre, sono la gioia del cammino, la speranza di giungere alla meta, sono mille compagni di viaggio che fanno festa con te.
I santi oggi ci invitano a questa leggerezza, a questo stile, a questo provarci: puoi essere santo oggi, qui, che non vuol dire senza peccato ma vuol dire in cammino, in festa perché il vero santo ti ha toccato il cuore e la vita; se vuoi essere felice qui e ora, seguilo, imitalo, e la tua vita avrà il suo profumo, il suo fuoco, e sarà un dono ricevuto e da regalare.
I santi oggi, e sempre, escono dalle nicchie per invadere territori insperati: invadere ogni tristezza, ogni delusione, ogni amarezza. Per provare a cambiare le carte in tavola di questo mondo un po’ spento, cupo, in crisi, e non solo per la pandemia!
I santi della porta accanto li chiama il papa nella Esortazione ‘Gaudete et exsultate’; sono i santi che non vedi, non vanno in TV (in TV ci vanno quelli di Forum e del grande fratello vip), che non fanno proclami e manifestazioni, ma sono vicini, accanto, puoi contare su di loro, ci sono sempre, e contagiano eccome se contagiano col loro sorriso, la decisione, la speranza che infondono sempre, capisci che hanno una marcia in più. Non sono super eroi, non hanno i super poteri ma hanno quelle caratteristiche descritte dal papa: ‘ sopportazione, pazienza, mitezza, gioia e senso dell’umorismo, audacia e fervore, in preghiera costante. Esultare vuol dire ‘saltar fuori’: non vuol dire che saltano fuori e risolvono tutti i problemi ma che ‘saltano fuori’ da una vita monotona, dal modo di pensare e vivere comune.
C’ è una parola strana ma significativa nell’Apocalisse: ‘Non devastate né la terra, né il mare finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte…’ il sigillo indicava una appartenenza, una proprietà, niente e a che fare con i nostri tatuaggi. Se un animale con un sigillo si perdeva, nessuno se ne appropriava perché era di un altro: il proprietario lo proteggeva. Il sigillo era una sicurezza! Anche noi abbiamo un sigillo sulla fronte, sul cuore, apparteniamo a Dio, nessuno può entrare, ci ha salvati, non apparteniamo a satana anche se lui ci prova sempre a rubarci: non dimenticare il tuo sigillo!
Carlo Acutis è appena stato dichiarato beato dopo la morte avvenuta a 15 anni per leucemia. ‘L’Eucarestia è la mia autostrada per il paradiso, diceva!’ Messa tutti i giorni, adorazione ma anche aiuto ai poveri, che conosceva e andava a trovare. Non ha fatto pesare a nessuno la sua malattia che l’ha portato via in soli 5 giorni. La mamma non era credente e poco prima di morire lui le ha detto: ‘Mamma non temere perché non resterai sola: 4 anni dopo la sua morte la mamma è rimasta incinta di 2 gemelli. Lei ha riscoperto la fede ed è la prima ‘miracolata’ da quel figlio…beato! I suoi amici, dopo la sua morte hanno detto: ‘E adesso noi cosa facciamo, come possiamo andare avanti senza di lui?’ Una sua frase celebre: ‘Tutti nascono originali ma molti muoiono fotocopie!’
In questi giorni andiamo al cimitero a pregare per i nostri defunti. Ci avete mai pensato? Prima c’è la festa dei Santi e poi i defunti: dobbiamo fare il pieno di speranza prima di pensare alla morte! Altrimenti ne restiamo schiacciati!
O Signore, un po’ delusi, disincantati, o festaioli ci perdiamo per strada credendo di risolvere tutto noi o lasciando che la vita scorra via senza capirci niente: oggi vogliamo rallegrarci perché tu ci regali un modo diverso di vivere, più leggero, più aperto, meno ripiegato sui nostri egoismi. Possiamo essere noi quei santi oggi, ogni volta che ci accorgiamo del tuo amore senza fine e lo lasciamo risplendere nella nostra vita.
Dio sceglie le persone più disparate per realizzare i suoi progetti, o meglio, sceglie quelle che noi magari riteniamo non adatte! Dio sceglie gli ultimi della lista, gli scarti, Dio ricicla ladri e prostitute e ladroni in croce per farli i primi cittadini del suo regno. Fa così anche con Ciro il grande re dei Persiani che i nostri ragazzi trovano nei libri di storia: lo prende per la mano destra, lo sceglie, per affidargli un compito importante: far ritornare in patria dall’esilio babilonese il popolo ebraico, per salvarlo, per riunirlo e per condurlo in seguito verso la terra promessa. E si serve di questo pagano, Ciro appunto: chi l’avrebbe detto? Quello che gli ebrei del V secolo A.C. avrebbero considerato un nemico, Dio lo chiama alleato per portare avanti la sua storia di salvezza!
Nel Vangelo Dio sceglie anche Cesare, l’imperatore romano, per realizzare i suoi progetti di salvezza!
Invece farisei ed erodiani non ci stanno e mettono in contrapposizione Dio e Cesare per mettere in crisi Gesù, per indurlo in errore, per farlo cadere in contraddizione! ‘È lecito o no pagare il tributo a Cesare?’ A loro non interessava tanto pagare o non pagare quella tassa, ma solo tendere un tranello a Gesù! Se avesse risposto: ‘paga la tassa’, allora sarebbe stato accusato di favorire i romani invasori; se avesse risposto di non pagare la tassa, allora sarebbe stato un sovversivo, un nemico dei romani , dunque punibile.
Dio e Cesare, Chiesa e Stato, Spirito e corpo: la questione però rimane. Non sempre noi cattolici abbiamo distinto bene i 2 ambiti: l’esistenza dello Stato pontificio per secoli dice che spesso abbiamo tenuto insieme le 2 cose, potere religioso e potere politico, facendo qualche disastro! Oggi le cose vanno meglio, anche se non del tutto risolte. Ma la risposta di Gesù ci mette sulla strada giusta.
Innanzitutto ‘rendete’: se rendi vuol dire che prima hai ricevuto! Renditi conto che hai ricevuto tanto: sei un po’ come gli invitati a nozze o come i vignaioli o i contadini che sono stati invitati nella vigna o alle nozze ma rischiano di non apprezzare il dono ricevuto. Hai ricevuto tanto, allora cerca di restituire! Non fare come quel servo perdonato dal padrone che a sua volta non perdona il secondo servo: rischiamo di essere anche noi così.
Tu restituisci: a Dio che cosa? A Cesare che cosa?
A Dio non un’immagine stampata su moneta ma l’immagine impressa nel tuo cuore! Rifai l’immagine di Dio in te, restituisci a Dio il suo volto nella tua vita; ridagli il primato nei tuoi pensieri, nel tuo sguardo, rifai la bellezza che c’è in te, non rovinarla. Non sciupare col peccato ‘l’opera d’arte’ di valore infinito che sei tu! Rimetti le cose a posto ma non per fare un piacere a Dio, altrimenti si offende, ma per salvare te e la tua vita. Se hai un’opera d’arte in casa la metti in cassaforte, la proteggi con una teca a prova di ladro, fai l’assicurazione, metti l’allarme. E allora perché non proteggi te stesso vera opera d’arte uscita dal cuore di Dio? Perché la rovini, ti rovini? Perché non la apprezzi, non ti apprezzi e non apprezzi la vita dei tuoi fratelli? Ridona a Dio il primato nella tua vita, per il tuo bene, non per fare un favore a lui!
Ma rendi anche a Cesare! Che cosa? Come? Cosa vuol dire? Ricorda che sei anche cittadino! Ricorda che sei parte di un popolo, di uno Stato, di un insieme di cittadini. Come vivi il tuo essere cittadino? Solo pagando le tasse, fermandoti al semaforo rosso? Mandando i figli a scuola? Andando a votare? O c’è di più? Ricorda che sei invitato a metterci del tuo: sei invitato a contribuire al benessere di tutti, sei invitato a guardare in faccia ancora il tuo vicino di casa, a collaborare attivamente con l’autorità. O stai solo alla finestra dicendo: ‘Io non faccio male a nessuno’. Sei invitato a fare il bene, a considerare ‘fratello’ quel cittadino come te anche se sbaglia qualcosa. Sei chiamato a farti su le maniche per ‘pulire’ il tuo ambiente, sei chiamato a far diventare l’ufficio la fabbrica, la piazza un luogo di pace, di serenità, sei
chiamato a collaborare, non a dire: ‘Non tocca a me’.
Siamo invitai a uscire dalla Chiesa, dagli spazi del sacro, per far diventare sacra la piazza, la ditta dove lavoro, la strada, l’ospedale, la scuola, i luoghi della politica.
Rendi a Cesare ciò che gli spetta senza confonderlo con ciò che rendi a Dio.
La recente enciclica ‘Fratelli tutti’ usa 2 parole forti: considera l’altro un fratello, è l’unico modo per incontrarlo davvero. E ‘tutti’: non solo quelli che scelgo io ma ricordiamo che siamo parte di un ‘tutti’, di un mondo, ogni uomo è nostro fratello. Il papa ci porta fuori, in territorio inesplorato: ci sentiamo forse a disagio, forse non protetti dalle nostre false sicurezze. Ma è il modo giusto per liberarci da schemi vecchi e superati. E’ un invito oltre che un dovere per noi leggere questa enciclica!
Grande è il Signore e degno di ogni lode, abbiamo pregato nel salmo; aiutaci a rendere a Dio e a Cesare: aiutaci a rifarci il look del cuore che è a tua immagine e somiglianza e rifare il look del mondo secondo il tuo progetto di bellezza per tutto il mondo. Tu sei venuto, sei stato con noi, sei morto e risorto per rifare il mondo, ogni uomo, ogni cuore a immagine del tuo, capace di amare senza misura.
Più che un invito a nozze, a volte a noi sembra che essere cristiani sia come una condanna ai lavori forzati, o un ciclo di farmaci indigesti da assumere, o un’interrogazione con quel prof che ce l’ha su con me, o a un’amicizia finita male, o …continuate pure voi.
Delle volte quel banchetto di nozze assomiglia proprio a qualcosa d’altro! Se poi ci mettiamo gli scandali del Vaticano, come quello recente, allora ti vien voglia di dire: No grazie, non vengo alla festa! Ho altro di più importante da fare; poi con la gente che gira da quelle parti, meglio stare alla larga!’ A volte penso alla sofferenza del papa in questi frangenti! Però lui ci sta sempre, al timone della Chiesa e deve sopportare, tempeste contrarie, scogli pericolosi, e qualche serpente non giù nel mare ma vicino a lui, a bordo, magari nella stanza dei bottoni!
In fondo il punto è proprio che spesso io dico, come gli invitati a nozze: ‘Ho altre cose da fare’: abbiamo sempre altro da fare! Già ma cosa hai da fare? Cosa occupa la tua vita? Quali sono le tue ansie, le gioie, le preoccupazioni, gli entusiasmi? O meglio come è il tuo cuore quando fai le tue cose!
Perché Dio non ti chiede di fare altre cose: ti chiede di restare lì dove sei! Ti chiede di fare il marito, la moglie (prima di fare il papà e la mamma, ricorda), ti chiede di stare lì al lavoro, di pagare quel mutuo, di occuparti dei tuoi genitori anziani, di fare le vacanze, di votare: non ti chiede di cambiare niente! Ti chiede solo, come è il tuo cuore, come ci stai, come ti senti chiamato, invitato alle nozze della vita: insomma sei felice di stare lì o no? Perché si capisce come sei e come ci stai! Si capisce eccome! Se ci stai perché non hai il coraggio di andartene, se ci stai con l’orologio in mano, se ci stai come un figlio, o come un invitato riconoscente! Ti si legge in faccia come ci stai nel tuo posto!
Tutto parte da quell’invito alla festa di nozze! Fai uno sforzo di memoria: prova pensare a quella vota in cui quell’amico/a, quel ragazzo, ragazza, quel gruppo ti ha invitato a una festa quando avevi 13,15, 18,20 anni e ti sei detto: ‘Oh, ma ha invitato proprio me! Perché, cosa vorrà da me? Che bello, come sono felice! Allora ti sei vestita bene, il profumo giusto, un po’ di trucco, tirato a lucido perché c’era quell’invito inatteso, speciale: da quello lì proprio non me lo aspettavo!
Con Dio è così e ancora meglio! Perché lui non è solo chi ti invita, ma è anche il festeggiato, e poi è la mensa dove mangi e poi è anche il pane e il vino a disposizione! Cosa vuoi di più dalla vita! Non solo: ma noi italiani, tra tutti gli invitati, abbiamo anche il posto privilegiato: noi siamo quelli che hanno cibo in abbondanza, acqua in abbondanza (e poi i ragazzi non bevono più nemmeno l’acqua), siamo quelli che il lavoro tutto sommato ce l’hanno, e una casa e una famiglia e altro ancora. Il 90% degli invitati al banchetto della vita non può godere di tutto ciò che possediamo noi! Ricordiamolo!
Eppure rischiamo di essere noi quegli invitati che non sanno apprezzare la festa di nozze del figlio del re! Lui vorrebbe addirittura metterci al posto della sposa (avete notato che non si parla della sposa?), non invitati qualsiasi ma addirittura la sposa di quel figlio. Ma noi non facciamo nemmeno gli invitati: c’è sempre qualche impegno più o meno importante, c’è sempre quell’appuntamento, c’è sempre quella telefonata, c’è sempre qualcuno che mi chiama. Tutto serve pur di rimandare quell’invito alle nozze: ‘troppa gente che non conosco, non mi fido (e non solo per il coronavirus) troppe mani da stringere, troppi saluti, e se poi mi chiedono qualcosa in cambio?. Meglio le mie festicciole private in 4 amici, sempre quelli, ci raccontiamo più o meno le stesse cose: qualcuno non lo sopporto più ma meglio non rischiare una festa con tanta gente! Le nostre belle case ci proteggono ma ci separano, ci rinchiudono, ci impediscono l’incontro: tranquilli ma soli! Poi ci lamentiamo perché nessuno si preoccupa per me! E ci perdiamo tanti sorrisi, tanti sguardi, tanti incontri, ci perdiamo le nozze di quel figlio con me, ci perdiamo l’abbraccio di quel padre e quel regno dove davvero puoi sentirti a casa.
Una volta in una parrocchia abbiamo inventato la festa del vicino! Una cena da fare in un cortile, in una strada, sotto un portico: ciascuno portava qualcosa da mangiare, una preghiera iniziale e la cena. Tanti hanno rifiutato quell’invito, meglio non compromettersi, poi saltavano fuori vecchie ruggini, altri ci hanno provato e qualcuno ha ripreso a parlarsi dopo anni di ‘gelo’ (non ricordavano nemmeno perché non si parlavano più).
Se ti senti invitato a una festa che non meriti, allora sarai grato e riconoscente e poi lo racconterai a tutti: ‘Vieni anche tu alla festa! Si sta bene, ci sono tanti amici.‘. A volte invece escludiamo qualcuno da quella festa, ma non ne abbiamo il diritto di tagliar fuori qualcuno dalla festa della vita perché quella festa non è la mia o la tua! Siamo solo invitati; non hai il diritto di escludere chi non è come te, chi non è dei tuoi, chi non la pensa come te, persino chi ti ha fatto uno sgarbo: perché quello sgarbo è comunque poca cosa rispetto all’amore del re che ti vuole niente meno che accanto a suo figlio!
O Signore, tu sei colui che invita e colui che serve a quella festa; e io ho la sfrontatezza di dirti di no! Fa’ che indossi l’abito della festa che non è l’assenza di peccati ma avere un cuore grande come il tuo! Questo è il distintivo del cristiano: un cuore grande come il mondo per trasformare questo mondo nelle nozze di tuo figlio con me, con te, con ogni fratello.
Non ci basta mai questa Parola, non ci basta mai il tuo sguardo di Padre, non ci basta mai quell’invito a stare nella vigna: non ti chiede quanto lavori ma quanta voglia hai di starci, quanto desiderio di essere anche tu in festa come lui, quanta voglia di invitare altri a gioire con lui. Eppure, questa parabola p scarna, dolente, cupa: sembra un film senza il lieto fine che ci piace tanto: ‘E vissero tutti felici e contenti!’ Non va a finire così. O meglio….
Alla prima impressione, noi diremmo a quel padrone che ha sbagliato le previsioni, ha calcolato male e si è fidato troppo dei suoi contadini, ha esagerato nell’affidargli la vigna e loro se ne sono approfittati! Come un buon padre di famiglia che affida i suoi beni, una attività ai figli che se ne approfittano, prendono tutti i beni, consumano e scappano via.
Allo stesso modo diciamo a Dio: ‘Guarda che hai calcolato male, ti sei fidato troppo degli uomini, hai dato loro tanti amici, al popolo di Israele una legge, i profeti, una terra promessa e addirittura tuo figlio: guarda come ti hanno ripagato! Un Dio tradito, un Dio spogliato della sua potenza? Un Dio sfrattato dalla sua vigna? Un Dio dalle mani bucate? No, un Dio che conosce il cuore dell’uomo e decide sempre di fidarsi di lui.
La tentazione dei contadini è sempre quella della Chiesa nel corso dei secoli e la tentazione nostra: vogliamo mettere le mani su tutto! Voglio comandare, voglio aver sotto controllo, voglio fare le cose e le persone a mia immagine e somiglianza! Che sia la vigna, che sia quell’amico, quel gruppo, quel lavoro, quella parrocchia, quel figlio, quel matrimonio; ci deve essere il mio marchio! Punto! Non c’è storia che tenga! Ho ragione io! Questo è il nostro dramma, il nostro stile: mettere il padrone della vigna alla porta, fargli capire garbatamente che non lui ci interessa affatto e mettere le mani noi su tutto.
Subito noi ci scandalizziamo perché il padrone sembra uccidere i vignaioli assassini del figlio: in realtà significa che loro stessi hanno decretano la loro condanna. L’accento invece è posto sul figlio, su quel figlio donato dal Padre come il bene più grande, l’ultimo tentativo di salvare: le prova tutte questo padre, persino il sacrificio del Figlio! Ma perché? Cosa ci guadagni? Gli chiedo io. Chi te lo fa fare? Un figlio? Cosa c’è di più prezioso di un figlio? Eppure, lui non si ferma e chiede al figlio: ‘Vuoi provare a conquistare il cuore dei contadini? Vuoi conquistare il cuore di questa umanità? Vuoi far vedere loro quanto li amo? Vuoi accettare anche la croce per far innamorare gli uomini di noi, della nostra famiglia, della Trinità? Vuoi figlio con me, partire per un viaggio senza ritorno? Quale genitore direbbe così a un figlio? Solo un vero Dio, il nostro Dio è capace di tanto amore!
Il no dei contadini, il no dell’uomo lascia il posto al sì di Dio, al sì del Figlio: accetto Padre se me lo chiedi tu. Non so cosa mi accadrà ma so che questa è la strada giusta perché me la indichi tu! E io mi fido di te, Padre.
Non ci stiamo volentieri in questa parabola, ci va stretta, giriamo volentieri canale per non finire questo film, preferiamo qualcosa di meno indigesto e che ci lasci dormire tranquilli! Ma lui, Dio sta lì sulla croce, non scappa via anche se potrebbe farlo e mi indica una via , un sì, mi indica la sua vigna e mi chiede di reinventare la storia, di scrivere un’altra parabola, con un'altra conclusione di ricominciare da capo e diventare un contadino che lavora , ci sta volentieri, con qualche brontolamento ma che almeno ci prova a non fare disastri e a seguire questo padrone.
Non temere cristiano, anche se spesso la Chiesa nel corso della storia ha minacciato soluzioni drastiche come quella proposta da sacerdoti e anziani, ‘quei malvagi li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri’, tu dormi sonni tranquilli: l’unico a lasciarci la pelle è quel figlio in croce che muore al tuo posto. Paga lui per te e non ti chiede niente in cambio. È lui la pietra angolare scartata da te ma che il Padre ha posto alle fondamenta, a sorreggere tutto il mondo. Stare in quella vigna allora non è per te una condanna ai lavori forzati ma è partecipare a una festa, una danza, un privilegio a cui ti ha chiamato: fai della tua vita una risposta gioiosa a un Dio disposto a donarti ancora suo figlio, per te, solo per te, per salvare solo te.
Piace proprio tanto a Gesù la vigna, gli piace raccontare le situazioni ordinarie della vita, le fatiche, le gioie, i rifiuti e le speranze. Gli piace soprattutto osservare il cuore di chi c’è nella vigna, chiedergli perché è lì, perché ci sta, perché non se ne va via, che rapporto c’è con gli altri operai o figli che siano.
‘Che ve ne pare?’ Chiede a me e a te: che te ne pare? Mi chiede come la penso , mi chiede se ci sto nella vigna, se mi piace o se ci sto col piede alzato, o un piede dentro o un piede fuori, se ci sto aspettando la paga e lavorando il meno possibile, se ci sono dalla prima ora o dall’ultima ora del giorno, se ci sto per criticare chi non lavora come me, se ci sto con la testa ma non con il cuore, se ci sto facendomi bello e bravo davanti al padrone ma poi fregandolo e schivando il lavoro, oppure se ci sto brontolando e pestando i piedi ma poi , spinto dal rimorso, mi faccio su le maniche.
È la storia dei 2 figli del Vangelo, li abbiamo ascoltati. Noi subito pensiamo: certo vorrei essere un terzo figlio che dice sì e poi lavora davvero. Questo figlio piacerebbe al padre e piacerebbe anche a noi essere così.
Ma non raccontiamocela soave: sudare e lavorare non è che ci piaccia tanto, c’è da spaccarsi la schiena e poi ci sono gli altri non così simpatici, poi io cosa ci guadagno? E via di questo passo. Meglio tirarmi fuori, guardare da lontano la vigna, poi io ho già fatto tanto, che lavorino un po’ gli altri; da fuori si vedono meglio le cose e posso anche criticare o comunque aspettare che incomincino gli altri e poi, forse, andrò anch’io nella vigna!
Istintivamente ci paragoniamo a uno dei 2 figli: mi chiedo a chi assomiglio di più: se quello che dice di sì, col sorriso, un po’ ingessato, vestito bene, di buona famiglia (uno che consiglieremmo come fidanzato o marito a una figlia) ma che poi ti bidona; oppure se assomiglio di più al secondo che, come un adolescente, punta i piedi, brontola, vuol sempre l’ultima parola, ma alla fine c’è, si sbatte, si fa su le maniche e parte.
In realtà quei 2 figli convivono entrambi in me: ci sono tutte e 2 le anime nel mio cuore, nei miei occhi, nelle mie mani, nel pensiero. Li ho dentro tutti e 2 e di volta in volta lascio prevalere l’uno o l’altro.
Qual è la soluzione? Il padre dice che preferisce il secondo: anche a noi è più simpatico, come il figlio prodigo che scappa via e poi ritorna; ma Gesù non vuole le nostre belle risposte preconfezionate. Lui cerca il mio, il tuo cuore. Ci chiede di avere i suoi stessi sentimenti, come dice Paolo ai Filippesi: ‘ Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo: egli pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio essere Dio, ma svuotò sé stesso assumendo la condizione di servo’. Tutto parte dai sentimenti che hai verso qualcuno: se hai sentimenti di amicizia verso qualcuno che ti chiede un favore, gli dirai di sì; ma se non hai sentimenti di amicizia, e quello ti chiede un favore, magari anche pagandoti, gli dirai di no.
Quali sono i tuoi sentimenti verso questa vigna, verso i tuoi amici, verso questo Gesù, verso la sua Parola, verso questo Padre un po’ fuori di testa ma che ti chiede: ‘Che te ne pare?’ ed è sempre più innamorato di te?
Può anche darsi che ladri e prostitute abbiano sentimenti più intensi dei miei, può darsi che qualche spacciatore che ha capito i propri errori si converta meglio di me, può darsi che un ladro cambi pelle e capisca gli sbagli e dimostri un affetto inaspettato. Vedo già qualche sogghigno dietro le mascherine!
Ma siamo sicuri che il nostro modo di essere cristiani sia il massimo? Siamo così sicuri che siamo al nostro posto? Che il nostro partecipare o no a Messa, che il mio pregare o no in casa, che il mio leggere da solo o in famiglia il Vangelo, che il modo di dialogare con chi non la pensa come me, che il mio rapporto con gli altri sia del tutto limpido e assomigli a un eventuale terzo figlio che dice sì e poi va a lavorare?
Ascoltiamo chi ha conosciuto e aiutato prostitute, ladri, spacciatori, delinquenti, traditori che hanno cambiato vita: ogni istante per loro è diventato un dono, ogni sguardo un regalo, ogni parola amica, un sollievo. Forse noi diamo troppo per scontato: famiglia, serenità, tranquillità, pace sociale, cibo assicurato, casa in ordine, e non siamo mai contenti!
Diamo persino per scontato questo Dio che viene a cercarci a tutte le ore del giorno, che ci chiama figli, che ci propone una vigna, una casa, un mondo nuovo, che ci propone di collaborare con lui per un mondo diverso! Che ci chiede di imitare quel Figlio che si è fatto servo per amore nostro! Ricordalo: ‘i ladri e le prostitute vi passeranno avanti nel regno di Dio’. Gli avanzi di galera gli hanno creduto e noi restiamo alla finestra a guardare, a commentare, ad andare avanti come se Gesù non fosse venuto tra noi….
O Signore quando in televisione sento la notizia di qualcuno che ha combinato qualcosa di brutto, partono accuse, giudizi, insulti: tu invece scommetti anche su di lui e sei disposto a chiamarlo nella vigna e magari lavorerà più e meglio di me. Fa’ che non mi adagi nelle mie sentenze verso qualcuno perché magari un giorno, davanti alle porte del tuo regno me lo troverò davanti, in prima fila perché si è convertito e ha creduto in te: invece, io sarò dietro gli ultimi perché non mi sono schiodato dalle mie 3 Ave Maria, dalla Messa ogni tanto, quando posso, (perché sai, non ho tempo), dalla mia Bibbia impolverata sullo scaffale, da quel messaggio mai partito dal cellulare verso quell'amico da perdonare, dal mio conto corrente un po’ striminzito, è vero, ma che mi permetteva qualche euro regalato in più.
Quella classifica finale non la stabilirò io, Signore, ma solo tu: e tu non guardi in faccia nessuno ma premi chi ha creduto, chi ha cambiato pelle, chi si è pentito e si è commosso fino alle lacrime pensando a un Dio che lascia il suo cielo e si fa servo di ogni delinquente, ladro o assassino.
Non so che impressione fa a voi questa parabola, certo merita di ascoltarla e rileggerla più volte per entrarci dentro, per trovare il mio posto, per nascondermi in quella vigna, o lavorare con i contadini o per osservare quel padrone che corre dalla piazza alla vigna a chiamare gli ultimi!
Ce l’ha detto anche Isaia: ‘Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino’. Perché potrà giungere il momento in cui Dio non si fa più trovare; allora cercalo adesso intanto che è a portata di mano! Però cercalo davvero! Cercalo dove è lui davvero, non dove tu pensi che sia. È un po’ come quando cerchiamo in internet una canzone che conosciamo già: la ascolto, la canto, mi piace, so già come va a finire, ma…niente di nuovo! Cercare Dio è come cercare una canzone nuova, mai sentita: cerca di gustare nuovo ritmo, melodia, nuove sonorità, nuovi accenti, un testo inedito. Ecco il nostro guaio, cechiamo un Dio a nostra immagine, che sia come noi, che la pensi come noi, che metta a posto le cose come faremmo noi se fossimo Dio; un Dio che ci da ragione, che ci conferma e dice che tutto sommato sei un bravo cristiano! Ecco questo è il Dio che ci piace tanto! Ma non è il Dio di Gesù!
Accade la stessa cosa nel Vg: gli operai cercavano un padrone giusto, che ricompensa in base al lavoro fatto; e come dargli torto? Chi ha lavorato 10 ore deve ricevere 10 denari, chi ha lavorato 1 ora sola, un denaro: lo capiscono anche i bambini! E poi dov'erano tutti gli operai quando il padrone è andato a cercarli all'alba? Erano ancora a letto! Anche gli operai che hanno lavorato tutto il giorno dovrebbero ringraziare e basta: hanno ricevuto quello che il padrone aveva promesso; l’accordo è rispettato.
Allora come la mettiamo? Perché il padrone da a tutti la stessa paga? Perché non è giusto? Perché dice: ‘Amico, non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene’.
Tocca a noi cercarlo là dove lui vuole condurci, non dove io penso che lui ci sia! Oggi ci porta in quella vigna a chiedere agli operai: ‘Ma tu perché sei venuto a lavorare? Solo per i soldi? Hai preso il tuo, perché ti lamenti? Ma se per te quella vigna è qualcosa di più, allora dovresti ringraziare il padrone che ti ha chiamato, che ti ha cercato, che ti conosce, che non fa differenze, che pensa più al tuo cuore, alla tua gioia che non a quanto hai lavorato. Un padrone che si prende cura, un padrone che assomiglia più a un padre, una vigna che assomiglia di più a un giardino, una casa, una famiglia.
Perché tu marito, moglie sei lì? Per difender i tuoi diritti o per imparare ad amare? Tu figlio perché sei lì in casa, per uscire al più presto e farti la tua vita o per costruire la famiglia? Tu perché sei lì a scuola, al lavoro, in parrocchia, in quel gruppo, per portare a casa lo stipendio, per dare una mano, per fare il minimo indispensabile, perché me l’ha chiesto il parroco, per far vedere che sono bravo o sei lì per qualcosa d’altro?
A pensarci bene Gli operai che hanno lavorato tutto il giorno dovrebbero dire al padrone : ‘ Per favore ricompensa di più quelli che hanno lavorato un’ora sola perché si sono persi la gioia di essere qui con te, si sono persi il tuo sorriso, la tua approvazione, si sono persi la fragranza dei grappoli appena colti, si sono persi la rugiada del mattino, si sono persi l’entusiasmo del lavorare per un vino eccellente, prelibato, si sono persi il ritorno a casa stanchi ma felici: è più quello che si sono persi rispetto a quello che hanno guadagnato! Ricompensa di più loro!’
E tu cristiano perché sei nella vigna della Chiesa? Perché mi hanno sempre insegnato così, perché mio figlio deve ricevere i sacramenti? Perché così ascolto una parola buona? Perché sono stato battezzato? Oppure perché ho bisogno di questo Dio. Perché mi nutro della sua Parola, perché mi aiuta nelle scelte della vita? Perché il suo Corpo mi nutre il cuore e mi insegna ad amare come ha fatto lui? Perché ci sono tante sorelle, fratelli con cui fare un tratto di strada? E ci sto senza mormorare come hanno fatto gli operai; senza mormorare se l’altro non viene, se non c’è, se non ci sta! Si è perso qualcosa, si è perso il bello!
Padrone della vigna, Signore; anche a me chiedi: “Forse ti dispiace che io sia buono? Ti dispiace che io guardi più al cuore che a contare le ore di lavoro? Forse ti lamenti perché non sono come vorresti tu?”
No, Signore, non mi dispiace, e non mi lamento perché ho capito come è il tuo cuore, perché mi hai chiamato a stare con te, perché so che verrai a cercarmi ancora, anche quando si sarà fatto molto tardi perché tu ci provi sempre con ogni peccatore, lanci sempre le tue reti e nel tuo cuore c’è sempre posto anche per un operaio ritardatario, brontolone, insoddisfatto come me!
E qui casca l’asino! Finché si tratta di venire a Messa, ogni tanto, ci siamo; finché si tratta di dire qualche preghiera o fare ogni tanto un’offerta, ok! Magari vado anche agli incontri per il Battesimo o per fidanzati o per la catechesi di mio figlio. Ma adesso si va sul pesante! Infatti di solito crediamo che il perdono non rientri nel menù del buon cristiano. ‘Quello là non merita niente; dopo tutto quello che gli ho fatto, guarda come mi tratta: e dovrei perdonarlo?’ Ma il pezzo forte è l’espressione: ‘Perdono ma non dimentico’.
E qui il nostro bravo cristiano battezzato, chierichetto fin quando era più alto del parroco, che non manca mai alle processioni, non dice parolacce e fa la comunione e a Natale e a Pasqua, depone le armi e pensa che quella cosa lì del perdono non lo riguardi, oppure che ‘certe cose’ non si possono perdonare’! D’altro canto lo dicevano anche Bud Spencer e Terence Hill: ‘Dio perdona, io no’.
Una considerazione: chissà perché ricordiamo ogni piccola offesa ricevuta, ogni sgarbo, ogni male, ma il bene ricevuto lo ricordiamo un po’ meno, o non diamo così tanto peso! Chissà perché!
Certamente nell’immaginario collettivo, chi perdona è il debole, chi china il capo, chi non ha coraggio per imporsi, chi non si fa valere: ma questo nel Vangelo non c’è! Questo è il nostro Vangelo: Gesù la pensa diversamente.
Gesù crede che l’unica terapia per salvare il fratello sia perdonarlo, metterlo nel cuore (vedi domenica scorsa); la vera, l’unica risposta sia il perdono! L’unica terapia d’urto per salvarci non dal Coronavirus ma da una vita spenta, in bianco e nero, sia quel perdono che Dio ti concede. E l’unico modo per perdonare il fratello (non l’avversario, lo straniero, il nemico) sia ricordare quanto siamo perdonati da Dio, quanto lui ci porta nel suo cuore. L’unico modo per cercare di perdonare è quello di ricordare che il nostro debito verso Dio e i fratelli corrisponde a quei diecimila talenti del primo servo, circa il PIL di un anno dell’Italia, mentre il mio fratello mi deve pochi spiccioli, poca roba, ma di fronte alla durezza del mio cuore, sembra qualcosa di infinito!
Tutto dipende da dove guardi: ‘ Se guardi la brutta faccia di chi ti ha fatto del male, non riuscirai mai a perdonarlo; se guardi il volto di Gesù, allora potrai farlo; tutto dipende da dove guardi tu, da dove è rivolto il tuo pensiero, tutto dipende dalle tue orecchie, se ascoltano la gente o ascoltano la Parola di Dio!
Una volta durante l’incontro sul perdono del percorso in preparazione al matrimonio, ho chiesto che cosa si può perdonare nella coppia, e ho proposto alcuni casi, chiedendo l’opinione dei ragazzi. ‘Si può perdonare la dimenticanza del compleanno? Risposta: sì. L’elenco continua: l’anniversario di matrimonio? Si può perdonare una parola offensiva, si può perdonare un:’ Non capisci niente, non credevo fossi così’, E pian piano alzo il tiro: ‘Allora ditemi: un tradimento si può perdonare? E tutti in coro: ‘No, scherziamo, lo uccido, la uccido, basta è finita, certe cose non si perdonano e via così? Salta su una ragazza non giovanissima e dice: ‘ Se accadesse a me gli direi vieni a casa, parliamo, facciamoci aiutare e vediamo cosa ABBIAMO SBAGLIATO ‘. È continua: ‘Perché io ho vissuto la separazione dei miei genitori e so cosa vuol dire’. Silenzio in sala, tutti sconvolti! Io l’ho ringraziata e ho detto: ‘Ciao a tutti, avete capito: l’incontro è finito’.
Non crediamo che l’uomo, la donna forte sia quella che è autonoma/o, che non sbaglia mai, che non ha bisogno di nessuno, come a volte pensiamo: la donna forte, l’uomo forte è quello che cerca di allacciare relazioni forti ma sa che queste relazioni spesso vanno in crisi, a causa del cuore dell’uomo; e quando vanno in crisi c’è bisogno del perdono per rigenerare, rinascere, per ripartire nel modo giusto, con maggior chiarezza. Il nostro modello è Gesù e il suo perdono: noi diciamo che noi non siamo Dio. È qui che sbagliamo: ricevendo i sacramenti, dal Battesimo in poi, noi siamo Dio, siamo Dio in terra, Dio in cammino, Dio vivo, Dio risorto e possiamo vivere come lui. Solo gustando e apprezzando il suo perdono, possiamo donarlo con gioia.
La vendetta, il rancore, l’odio avvelenano la vita, non solo di chi non è perdonato ma anche di chi non perdona! E quando sei avvelenato, muori dentro, muori nel cuore.
Donaci Signore il coraggio di guardare verso di te, verso il tuo cuore ricordando quanto siamo perdonati da te, e iniziando finalmente a perdonare di cuore a mio fratello!
Lo sapeva già Gesù che i problemi ci sarebbero stati, che andar d’accordo non è roba da poco, che nonostante le buone intenzioni, e nonostante la sua testimonianza, i discepoli si sarebbero trovati a fare i conti con calunnie, giudizi, pettegolezzi, falsità: ‘ Se il tuo fratello commette una colpa contro di te…’ I tempi sono passati ma il cuore dell’uomo no. A volte ci lamentiamo di quanto accade oggi ma l’intera Bibbia, da Caino e Abele in poi ci descrive i rapporti spesso burrascosi tra gli uomini e anche tra i cristiani!
Come è difficile andare d’accordo, come è difficile non puntare il dito e non giudicare, come è difficile guardare l’altro in modo diverso, non come un estraneo, come un avversario, come un antagonista ma come un fratello; ecco la parola chiave di questo brano: fratello! ‘Se un tuo fratello pecca contro di te…’ Non dice: se un avversario, un ladro, un delinquente ma un fratello: ricorda che è un fratello! Perché fratello? perché vi conoscete, vi frequentate? No! perché figlio dello stesso Padre! Solo riconoscendo che abbiamo un Padre comune, possiamo dire di essere fratelli: ma se tolgo quel Padre, allora diventiamo estranei, lontani, avversari, nemici. Se tolgo le fondamenta la casa non sta in piedi.
E se lo considero fratello, allora lo saprò ammonire prima a tu per tu, poi con un altro, poi con la comunità; non lo calunnierò alle spalle, non lo giudicherò ma lo salverò mettendolo nel mio cuore: l’unico luogo dove posso metterlo è il mio cuore: per il suo bene e per il mio bene!
Ma scusate: perché siamo al mondo? Cosa ci sto a fare qui? Qual è il mio obiettivo principale, al di sopra di tutti gli altri? Quello di fare una famiglia d’accordo e poi? Sposarsi e poi? Crescere i figli e poi? Una vita serena e poi? Il Vangelo punta in alto! Il tuo obiettivo è quello del Cristo: salvare un fratello mettendolo nel tuo cuore! Salvare quell'amico, quel figlio scapestrato, quel parente scostante, quel collega che ti volta le spalle, quella famiglia con problemi economici e non solo. Trasformare il male in bene, non accusare o parlare alle spalle ma legare in terra per legare in cielo, legarlo a te, fargli capire che qualcuno si preoccupa per lui! Che ti sta a cuore! Non fermarti a metà: punta in alto dove vedi il mondo e gli altri (e te stesso) in modo diverso.
E se ho subìto un torto, istintivamente penso subito alla vendetta: ‘Te la farò pagare prima o poi’ Invece dovrei dire: ‘Ho ancora molto a disposizione, se uno mi ha tradito, ho ancora mille altri fratelli con cui continuare a costruire’. Chi sa ricominciare e tessere ancora i rapporti è il vero forte, il vero tenace, il vero figlio di Dio.
E non dimenticare che anche tu domani potresti aver bisogno che qualcuno ti metta nel suo cuore! Potresti aver bisogno di un consiglio, di un amico, ma anche di qualcuno che ti dica in faccia che stai sbagliando, che quella non è la strada giusta, qualcuno che ti faccia da specchio e ti dica amorevolmente che potresti fare meglio, che comportarti così fa male a tutti: siamo connessi col tutto il mondo ma sempre più soli nella nostra privacy, nei nostri appartamenti muniti di antifurto, nelle nostre password; abbiamo bisogno di fratelli e sorelle, abbiamo bisogno di imparare a trasformare un estraneo in ‘sorella-fratello’!
E se non ascolta nessuno, sia per te come il ‘pagano’, cioè come qualcuno da amare ancor di più, qualcuno a cui annunciare ancora il Vangelo!
In questi giorni di cammino, di pellegrinaggio da La Verna ad Assisi, abbiamo cercato di sentirci incammino non solo con i piedi ma col cuore, con l’anima, con la preghiera ( grazie a chi ci ha accompagnato spiritualmente); ci hanno colpito la tranquillità degli eremi, isolati, dove vai a ricaricarti per scendere poi nella valle, ci ha colpito qualche pellegrino solitario che faceva più fatica di noi con costanza e fede da vendere, ci hanno colpito le monache ( quelle dei biscotti per intenderci) felici, anzi radiose, senza tante parole ci hanno parlato di Dio, ce l’hanno fatto sentire, ci hanno aperto uno spiraglio di pace e paradiso; sembrava ci dicessero : ‘Smettila di correre, di rincorrere un impegno dopo l’altro, l’essenziale è dentro di te , cercalo, non nasconderlo sotto la coltre dei tuoi affari, tira fuori quel Dio che è nel profondo della tua anima! E ti parlerà, perché lui parla, eccome! Alcuni incontri nella vita ti parlano di qualcosa d’altro, ti spalancano un mondo, ti svelano un segreto: e ti invitano a cercare qualcosa d’Altro, cercare l’Altro da te!
Francesco d’Assisi, pellegrino del mondo, donaci il tuo sguardo di pace, donaci la fede per guardare l’altro come un fratello come hai fatto tu con il lupo con i briganti che hai convertito, con la testimonianza verso i poveri e lebbrosi. A noi basta seguire qualche tua orma per ritrovare il coraggio di mettere un fratello nel cuore per aiutarlo a diventare sé stesso: tu la chiamavi ‘perfetta letizia’, noi semplicemente, desiderio di seguire e imitare il Signore Gesù.
Nei primi secoli della, Chiesa sono accaduti fatti di grande significato che ci aiutano a capire l’oggi. Alcune feste, ricorrenze, o simboli di religioni pagane, grazie al Cristianesimo assumevano un nuovo significato, erano trasformate dal messaggio di Cristo per raccontare la fede di un popolo. La festa del Natale è nata così: la festa pagana del sole vincitore sulle tenebre è diventata la festa del vero sole dei cristiani, la festa di chi ha creato il sole come spiegavano i primi credenti! Le tombe pagane nelle catacombe romane da ‘ultima dimora del caro defunto’ erano trasformate dalla fede nella resurrezione nella ‘ dimora di passaggio verso l’eternità’. Per non parlare della trasformazione del matrimonio diventato monogamico grazie alle lettere di san paolo e via di questo passo.
Oggi assistiamo al processo contrario: alcune feste, in particolare l’Assunta, rimangono nel calendario come festa religiosa ma di religioso rimane ben poco: Ferragosto ha eroso spazio all'Assunta trasformando completamente il senso di questa festa. Ma potremmo dire lo stesso della Pasqua, un po’ meno del Natale….
Tempi duri? La fede non c’è più? Dio non serve più? La Chiesa tanto meno? Sembra che l’Assunta non trovi posto in terra, talmente siamo pieni di frenesia, impegni, divertimento, lavoro, ansie… Ciascuno tiri le proprie conseguenze. Un credente cerca solo di lasciarsi guidare da qualcosa d’altro, da una parola ‘altra’, da un modo ‘altro’ di guardare la realtà, il mondo, le cose, gli avvenimenti.
L’Apocalisse ci parla del drago con la coda che trascina un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra: il drago sta per divorare il bambino. Il drago del male continua a spegnere le stelle in cielo, anzi a toglierci la visione del cielo. Le luci delle nostre feste sembrano riempirci occhi, e cuore, sembrano dirci che non abbiamo bisogno di nessuna stella e che il mondo finisce qui a cento metri dalla nostra testa. Le stelle invece ci parlano di qualcosa d’altro: ci parlano di infinito, di grandezza (loro) e piccolezza (nostra), le stelle ci invitano a guardare in alto, in verticale e non solo in orizzontale come facciamo sempre, le stelle ci parlano di Altro, dell’Altro. Quante volte hai portato tuo figlio in montagna o in un luogo buio, senza inquinamento luminoso a contemplare le stelle? Maria ci invita oggi a osservare quel due terzi di stelle su cui il drago non ha potere, a custodirle nel cuore, a contemplarle per inebriarci di infinito. Se non ti innamori delle stelle, della vera stella, ogni bagliore, ogni fiammella, ogni luccichio da niente, ti sembrerà una galassia!
‘La donna fugge nel deserto’ dice ancora l’Apocalisse: la vita inaridisce se non trova le proprie sorgenti nel deserto. Ogni tanto (meglio se ogni poco) abbiamo bisogno di ritirarci in un piccolo deserto per ritrovare noi stessi, per spegnere qualche luce inutile e qualche rumore fastidioso, per vincere ogni drago!
Maria oggi ci invita a guardare ancora il cielo a sentire la nostalgia di quel cielo che qualcuno ci vuol rubare, Maria ci ricorda che la nostra meta ultima è il cielo, che il nostro corpo come il suo è destinato all’incontro vero con Dio, Maria ci invita oggi a danzare la vita e a cantare come lei il Magnificat, l’inno dei vivi, dei vivi per sempre, dei risorti, degli innamorati delle stelle e di chi le ha create.
Maria, donna vestita di sole, il tuo sorriso oggi ci affascina e ci fa ardere di desiderio di incontrare tuo Figlio: siamo ancora in cammino, attratti dai nostri miraggi e frastornati dalle nostre festicciole. Riempici il cuore della tua stessa felicità per vivere già da risorti oggi, adesso, sui sentieri scoscesi della banalità come sulle altezze vertiginose dell’amore di Dio.
Ci vorrebbe un miracolo! Un bel miracolo per guarire mio nonno, mio fratello, per farmi avere quel lavoro, per far cambiare idea a quella persona, per fermare le guerre… Ci vorrebbe un miracolo! Peccato che Dio non la pensi così: a lui non piacciono i miracoli, anzi lo disgustano; lo disgustano soprattutto quelli che chiedono un miracolo, aspettando che Dio risolva il problema, altrimenti, che Dio è?
Gesù ci parla ancora del regno, il regno di Dio. Di Dio perché è suo, non nostro, noi siamo ospiti. Di solito quando siamo invitati a una festa, dobbiamo esibire l’invito scritto, personalizzato, come per i matrimoni; oppure portiamo il gelato, una bottiglia di vino, la torta, perché ‘non bisogna presentarsi a mani vuote’ ci ha sempre insegnato la mamma, il papà, la nonna! Con Dio no: lui ci fa entrare solo a mani vuote; il biglietto di invito da esibire sono le mani vuote! Se portassimo qualcosa, vorrebbe dire che cerchiamo di sdebitarci, di ‘pagare di tasca nostra’, di pareggiare i conti: vorrebbe dire che siamo li per dare, non per ricevere! Ma nel suo regno noi veniamo solo per ricevere! Siamo i pellegrini che arrivano stanchi e assetati e bussano chiedendo che la porta si apra, qualcuno ci dia il benvenuto e ci offra da bere! Nel suo regno si riceve, e basta: Dio è gratis! Facciamo una gran fatica ad accettare l’idea di un Dio che ci chiede solo di …ricevere! Troppe volte la Chiesa ha messo tasse, tariffe, timbri, etichette, e chiesto regali! Quando c’è di mezzo il denaro, non è più un dono di Dio anche se ci mettiamo sopra la sua etichetta: Dio rifiuta tutte le etichette! ‘ Voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro…comprate senza pagare vino e latte’ ci ha ricordato Isaia.
Il nostro Dio ha delle pretese, sì certo, mille pretese! Pretende che ci rivolgiamo solo a lui nella preghiera, pretende che non abbiamo timore o vergogna di chiedergli perdono, pretende che bussiamo alla sua porta di giorno e di notte gli chiediamo le cose più strampalate, pretende, ancora, che le nostre mani siano vuote e che non crediamo di ricompensarlo con i nostri regali pensando: ‘Guarda come sono bravo, Signore, faccio anch’io qualcosa per il tuo regno!‘ Sì, il nostro Dio ha mille pretese!
Al centro del brano c’è il pane, pane gratis, pane inaspettato, il suo pane e la sua Parola: cosa ne abbiamo fatto del pane che è Cristo, lo cerco, ne sento il bisogno? A volte sembra che abbiamo rovesciato le tentazioni di satana a Gesù nel deserto: ‘ Di’ che questo pane fragrante, buono, appena sfornato, questo pane per una umanità affamata diventi sasso’; di che cosa mi nutro? Che pane do ai miei figli, ai miei amici? Do i sassi che predica il mondo o do il pane fragrante della Parola di Dio? Do la mia parola o la Parola che non passa?
Ma il brano ci parla di un’altra cosa: Il nostro mondo, spesso, inganna, ci inganna, facendoci credere che la nostra fame si placherà con poco. Basta acquistare ciò che la pubblicità ci propone. E ci sono persone che passano la vita a tormentarsi nell'invidia perché non hanno fama, like, lussi, vacanze in luoghi esotici. Dio ci ha messo nel nostro cuore il desiderio, ecco l’altra parola chiave di oggi. Per trovare la perla preziosa della sua amicizia, il tesoro nel campo, per diventare buon grano e non zizzania. Per desiderare il pane della sua Parola, accoglierlo e spezzarlo!
Anche noi, a volte, ci accontentiamo delle piccole e temporanee sazietà che la vita ci offre. Pensiamo di soddisfare i nostri desideri perché siamo riusciti a realizzare qualche sogno. Quanto è difficile suscitare fame in chi ha la pancia piena! La fame di senso, di felicità, di pace a chi si accontenta delle piccole (legittime) gioie che la vita ci offre! Anziché cercare la perla preziosa ci accontentiamo di qualche fondo di bottiglia. Il primo passo verso la conversione è la consapevolezza del desiderio di felicità profonda che portiamo nel cuore, è mettere a fuoco che il desiderio infinito che portiamo in noi può essere riempito solo dall’infinito che è Dio.
‘ Fin che la barca va, lasciala andare’ diceva una canzone di qualche anno fa! Un tempo la barca della Chiesa, della fede, del Cristianesimo andava avanti da sola, senza tanta fame, perché lo facevano tutti, perché eravamo in tanti, per forza di inerzia, senza porsi tante domande, perché pochi si dicevano ‘non credenti. Oggi la barca si è fermata, in secca! Ci vuole una bella spinta per rimetterla in movimento, ci vuole una piena nel fiume: ci vuole ancor più fame e sete di Lui, del suo amore! Ci vuole un desiderio più grande, più forte! Ci vuole qualcuno ancora innamorato di Lui!
Sì, Signore, ci vorrebbe un miracolo! Ma non quelli che piacciono a noi, quelli che risolvono le cose in un momento (altrimenti che Dio è?). Lui li ha già fatti i miracoli che ci servono! Il vero miracolo è farci tornare un po’ di fame, un po’ di desiderio delle cose che contano, di ciò che non passa, di un pane che mi nutre non per qualche ora ma per sempre, di un pane che mi da gli anticorpi contro ogni male; il miracolo è quello di capire che non ho bisogno di miracoli: Il miracolo vero è sentire fame e sete di Te, del tuo regno, del tuo sguardo, del tuo abbraccio di Padre.
Innanzitutto, la scoperta: scoperta di un tesoro trovato nel campo, scoperta di una perla di valore, scoperta di una rete piena di pesci in modo inatteso. Scoperta: cosa hai provato quando hai sentito quando hai scoperto che quello là apparentemente antipatico, si è rivelato sincero con te? Cosa hai sentito quando hai scoperto che quella ragazza poteva diventare la tua ragazza e è nata una storia che magari ti ha portato al matrimonio? Cosa hai sentito quando ti è stato detto cha aspettavi un figlio? Si è aperto un mondo, una gioia incontenibile, una sensazione indescrivibile: qualcosa di mai provato prima.
Chissà se riusciamo a pensare almeno per un momento alla nostra fede come una scoperta, come un mondo che si apre, come lo stupore di aver trovato quell’amico, quel ragazzo, quella ragazza, quel figlio in arrivo, quel panorama stupendo che ti attira e non vorresti più andar via. Chissà se riusciamo a non pensare alla nostra fede come un peso, un dovere, un sacrificio: ‘bisognava alzarsi alle 6 per andare a Messa a fare il chierichetto, bisogna confessarsi per fare la comunione, bisogna andare a catechismo per ricevere i sacramenti…’ E via di questo passo! Quante volte abbiamo sentito o detto queste cose!
Cosa abbiamo fatto diventare il cristianesimo? Tante norme, tante regole, tanti doveri, ma per che cosa, per chi? Per Dio, per fare i bravi, per andare in paradiso? Questa è la morte del Cristianesimo, e infatti vediamo alcuni risultati!
E’ come se uno dicesse a suo figlio : ‘ Caro figlio mio sposati pure ma sappi che matrimonio vuol dire non esser più libero di fare ciò che vuoi, non avere più soldi a disposizione per te, non poter uscire con gli amici come fai adesso, non poter dormire domenica mattina tranquillo; poi devi lavare i piatti , fare la spesa, andar d’accordo con i suoceri… Ecco : quel figlio ci pensa bene prima di sposarsi : così se facciamo vedere che questo Dio, questo Gesù , questa Chiesa, sono cose per vecchi, per preti e qualche catechista zitella, che è una medicina amara da ingoiare per star bene, ma una volta guarito la butto via, allora certamente quel ragazzo, imitando i genitori, butterà via la fede una volta ricevuto quel sacramento. E speriamo che quel figlio da grande dica a sua volta al figlio: ‘ Figlio mio, io non sono credente, non chiedo per te nemmeno i sacramenti perché non ne capisco il senso: cerchiamo un adulto nella fede, un amico che ti possa accompagnare a ‘scoprire’ chi è questo Dio, e suo figlio Gesù, cos ‘è questa Chiesa, cosa è questa perla preziosa comprata a caro prezzo, cos’è quel tesoro trovato nel campo, cos’è quella rete piena di pesci.
Quanto vale quella perla in cui sei inciampato, quasi per caso? Dopo averla trovata, l’hai osservata bene, ti sei informato da un amico, magari da uno che se ne intende, poi ti sei innamorato e infine l’hai comprata! Hai avuto il coraggio di vendere le altre tue perle, di valore, importanti, non fondi di bottiglia.
Hai fatto 2 conti e ti sei detto: ‘ne vale la pena? Parto!’ Non è stato un peso, ma un guadagno conquistare quella perla, cioè accogliere un figlio, sposarti, pagare la pizza a un amico, trovare quella casetta, un nido per la tua futura famiglia!
Pensando al regno di Dio annunciato da Matteo: ti pesa cercarlo, ti pesa pregare, ti pesa ascoltarlo? O è una gioia, una ricchezza, mi fa star bene, mi fa vivere in modo diverso, dipinge la vita a colori. Mi da un po’ di gioia questa Parola, questo Dio? Questa Chiesa?
Il contadino è ‘spinto dalla gioia’: la gioia vera ti spinge, ti affascina, ti fa piantare lì tutto per partire, per iniziare quel viaggio fuori o dentro di te, ti fa scoprire nuovi orizzonti.
Chi si converte non si lamenta per ciò che ha perso ma fa festa per ciò che ha ritrovato; è certo di averci guadagnato! Non dice: ho venduto, ma ho trovato un grande tesoro.
O Signore amante dei nostri campi sterili senza tesori: donaci la gioia di lasciare per trovare il tesoro prezioso dell’incontro con te, con i fratelli. Non farci rimpiangere le cipolle d’Egitto delle nostre festicciole scontate e dei nostri quattro amici e basta; fa’ invece che sogniamo la terra promessa delle perle della tua Parola e il tesoro che è vivere con te nel cuore. Gioia vera, gioia che affascina e ti fa partire senza rimpianto per ciò che hai lasciato.
Una sera della settimana scorsa un signore cinquantenne del Bangladesh stava vendendo le sue rose sulla Darsena a Milano: tutto il giorno con rose in mano sperando che qualcuno, mosso da generosità e dal desiderio di fare un regalo a un’amica, moglie, fidanzata, metta mano al portafogli. Mentre camminava, 2 ragazzi lo prendono e lo gettano nel canale, con le rose! Chissà se in Bangladesh imparano a nuotare da bambini… Il tipo si è salvato, è uscito senza lamentarsi più di tanto. Sta di fatto che due ragazzi italiani, per divertirsi e fare qualcosa di diverso in una serata estiva, prendono una persona e la gettano nel canale: uno che stava lavorando per mantenere la propria famiglia.
C è ancora molta zizzania in giro, c’è ancora poco grano che spunta a fatica, si fa largo tra le zolle e genera pane, calore, vita. La zizzania cresce da sola, non serve fatica, te la trovi lì senza sapere chi l’ha seminata; il grano ha bisogno di cura, attenzione, ha bisogno della pazienza del contadino, di terra buona, di acqua fresca. Il bene ha bisogno di cuori capaci di seminare speranza, accoglienza, fiducia: c’è bisogno di mani aperte pronte e a seminare, di gesti di misericordia, c’è bisogno di chi diventa buon grano sparso nel mondo anche se rischia di essere sopraffatto dalla zizzania dell’indifferenza, del male, del peccato.
Da dove nasce la zizzania? ‘Mentre tutti dormivano, venne il nemico e seminò la zizzania in mezzo al grano e se ne andò’. Quella zizzania non è solo negli altri ma è anche nel nostro cuore, nella nostra vita: ce la ritroviamo lì dall’oggi al domani, senza sapere da dove viene! ‘Mi stupisco di me stesso, non pensavo che avrei mai fatto quella cosa lì, che sarei arrivato a questo punto!’ mi ha detto una volta un amico, cioè, ‘non pensavo di trovare tanta zizzania nel campo della mia vita’!
La scommessa è quella di essere buon grano, lievito che fa fermentare la pasta, granello di senape che diventa arbusto, albero, foresta.
Ma di fronte alla mia zizzania imprevista o voluta, di fronte alla mia voglia di sradicare tutto compromettendo anche il grano, il nostro Dio che cosa fa? Osserva con benevolenza, non cerca di strappare la zizzania ma attende pazientemente il tempo del raccolto: al momento opportuno saprà bruciare il nostro male e far crescere nel mondo il grano del suo amore. C’è uno sguardo sereno, lungimirante in questo seminatore, come in quello di domenica scorsa che non guarda tanto alla fragilità di oggi ma al raccolto di domani; sa attendere la crescita del bene anziché inveire contro il male, non si scoraggia se il frutto tarda ancora ad arrivare.
Questo seminatore, come quello di domenica scorsa che gettava ovunque i suoi semi, ha uno sguardo libero e liberante: non fa coincidere la nostra vita con i nostri peccati ma con i piccoli germi di bene che seminiamo. Non conta i difetti e non ci dice: ‘potresti fare di più, con tutto quello che io ti ho donato, non sei stato capace nemmeno di produrre alcuni frutti’. Lui guarda al futuro e ti invita a ricominciare a far lievitare il regno di Dio intorno a te, tra i tuoi amici, a germogliare nuovi alberi anche se hai solo un piccolo seme di senape, ti invita a non strappare da te e dagli altri la zizzania del male anche se la tentazione è forte: il male va tolto dalla radice’ diciamo noi. Lui invece dice: ‘anche la peggior radice curata, amata, irrigata a dovere può donare frutti succosi e dolci per dare a tutti fiducia e speranza’!
Il nostro Dio non ingaggia battaglie nel cielo contro satana, magari con la spada che ha in mano il nostro patrono san Michele: ma vuole vincerlo nel nostro cuore, nel terreno che gli preme di più, quello del cuore!
Vogliamo fermarci Signore e ascoltare i ‘gemiti inesprimibili’ del tuo Spirito nel nostro cuore: con te siamo al riparo da ogni zizzania che infesta i nostri pensieri e i nostri gesti e anche dalla presunzione di essere giudici che decidono di estirpare il male negli altri (non in noi): donaci ancora il tuo seme, la tua Parola che ci salva e ci insegna ad esultare solo per il fatto di essere chiamati a stare nel campo del tuo regno.
“Le sofferenze del presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata…” ricordiamolo, è la promessa di un innamorato che sussurra: ‘Non ti lascerò mai, ci sarò sempre per te!’
Nel Vangelo Gesù ‘si sedette in riva al mare ’: un Dio che si ferma, respira il profumo del mare, ringrazia il Padre, e contempla. Non ha programmi, calendari, mete da raggiungere: quando non abbiamo niente da fare andiamo in crisi, ci sembra che ci manchi la terra sotto i piedi, allora ci inventiamo un hobby, per riempire il tempo’: Gesù sa fermarsi, ascoltare, ascoltarsi. Quanto siamo capaci di fermarci e contemplare anche solo il bagliore dell’alba, spighe ondeggianti al vento, le nuvole che si rincorrono in cielo, l’orizzonte definito dal crinale dei monti, farfalle che si confondono con i colori dei fiori? Fermati e contempla!
Gesù parla in parabole per entrare nella vita dei suoi: sa bene che molti assomigliano più al terreno sassoso, ruvido, sterile ma non demorde e prova sempre a seminare, comunque! Non vuole raccolti perfetti ma terra fertile, terra che si lascia irrigare, plasmare, capace di fecondare quel minuscolo seme, insignificante ma che contiene una forza grandiosa: la vita! Sembra uno sprovveduto o almeno irrazionale questo seminatore che sperpera seme prezioso: in dialetto, alla sera davanti a un bicchiere di vino gli diremmo che deve imparare il mestiere, che spreca tempo e denaro, che non combina niente e che alla fine del mese non ne porta a casa tanti! Ma lui più che aspettare con ansia e con la falce in mano il tempo del raccolto, contempla i primi germogli e gioisce anche solo per quella spiga cresciuta in mezzo alle spine! Chi l’avrebbe mai detto? Chi l’avrebbe mai detto che quel carcerato si sarebbe rifatto una vita? Che quei ragazzi avrebbero ‘tirato fuori di casa’ quel loro amico troppo solo? Che quella coppia in crisi si sarebbe riconciliata? Chi l’avrebbe mai detto che qualcuno dopo la pandemia avrebbe riscoperto di più la fede e la preghiera? Chi l’avrebbe mai detto che quel ragazzo mezzo disgraziato avrebbe formato una famiglia così bella?
Chi l’avrebbe mai detto che avremmo avuto un Dio che scommette su ogni peccatore e, come dal terreno più arido di questo mondo sa tirar fuori spighe di speranza, di perdono, di bellezza?
Ecco fratelli, di fronte a questa pagina di Vangelo, di fronte a questo seminatore, di fronte a questo Dio o giri pagina, o dici: Sbagli tutto’ , o ‘Chi te lo fa fare’? oppure lo segui, lo contempli , lo spii di nascosto come Zaccheo sull'albero, ti lasci affascinare e inizi finalmente a….portare frutto: non importa se 100, 60, 30 ! Sai che lui non conta quante volte l’hai dimenticato ma gioisce per la sola volta che l’hai amato.
Scrive padre Ermes Ronchi: “Lo sguardo del Signore non si posa sui miei difetti, su sassi o rovi, ma sulla potenza della Parola che rovescia le zolle sassose, si cura dei germogli nuovi e si ribella a tutte le sterilità.
E farà di me terra buona, terra madre, culla accogliente di germi divini. Gesù racconta la bellezza di un Dio che non viene come mietitore delle nostre poche messi, ma come il seminatore infaticabile delle nostre lande e sterpaglie. E imparerò da lui a non aver bisogno di raccolti, ma di grandi campi da seminare insieme, e di un cuore non derubato; ho bisogno del Dio seminatore, che le mie aridità non stancano mai”.
O Signore, seminatore cosi diverso dai miei aridi calcoli, fa’ che come i discepoli ti sappiamo seguire, sappiamo osservare le tue mani aperte per gettare i semi anziché le nostre chiuse a stringere per non perdere; a volte siamo come le folle che ascoltano e non comprendono perché non ti vogliono seguire: troppo avidi di misurare il profitto invece di annusare il profumo delle spighe. Troppo tristi nel contare quelli che non vengono a Messa o snobbano gli incontri invece di cercare di contagiare il mio amico che può diventare terra buona nella sua famiglia, in quell'associazione, in oratorio. Seminatore sprovveduto, rendici terra fertile, accogliente, irrigata; rendici donne e uomini nuovi che contemplano la tua generosità nel gettare il seme e diventano terra buona nel campo del mondo.
Innanzitutto, l’asino! Il re annunciato da Zaccaria cavalca un asino, un puledro: ‘esulta Sion perché il tuo re annuncia gioia e pace a tutti.’ Ve l’immaginate Putin o Trump che fanno le loro parate arrivando su un asino? Che scandalo, eppure sarebbe un segnale. Chi è grande davvero non ha bisogno di tappeti rossi, sfilate, eserciti, consensi da tutti, centinaia di giornalisti e tutto il resto. Anche la Cina non è da meno, infatti annulla tutti i diritti a Hong Kong, dimostrando di sentirsi forte: il cammino del Vangelo è ancora lungo. In compenso alcuni Paesi europei, come il Belgio, stanno riconoscendo i propri errori durante la colonizzazione del Congo e di altri Paesi africani.
Il nostro re addirittura si stupisce! Sì, si stupisce di un Padre che predilige i piccoli. Preferisce i piccoli, gli ultimi, chi non è fotografato da nessuno, chi non ha guardie del corpo al seguito, né sarà mai seguito da nessun canale TV. Lui sceglie i piccoli perché loro riconoscono quando qualcuno vuol loro bene: i piccoli fiutano, capiscono al volo perché sono abituati ad essere rifiutati e a stare all’ultimo posto; quando qualcuno li guarda e li ascolta e si mette dalla loro parte, capiscono al volo, senza proclami, senza premi Nobel, senza dichiarazioni ufficiali.
Non è certo un bel momento, per Gesù. Giovanni Battista è in prigione, le folle se ne sono andate, quelli che sembrava accogliessero con entusiasmo l’annuncio, si sono manifestati addirittura contrari; tutto sembra andare a rotoli!
E Gesù cosa fa? Protesta, accusa, se la prende con chi lo abbandona? No. Loda, ringrazia ammira il Padre perché sceglie i piccoli. Lo ringrazia perché gli insegna a preferire gli ultimi, i piccoli, i senza diritti, senza volto, senza seguito, senza dignità! A chi preferisce un asino!
Un Dio che cambia direzione alla storia, un Dio che ribalta le nostre logiche, un Dio che sfugge ai nostri piani e ai nostri progetti. Anche noi impariamo a guardare le cose, la vita, le tristezze, le sconfitte, le stanchezze della vita con questo sguardo nuovo, che ribalta le cose, che non si arrende, non dice mai la parola fine, ricomincia dai piccoli, dai senza volto, senza storia, senza fiato, senza!
‘Venite a me voi che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro’! Stanchi perché delusi, perché la vita ti presenta il conto, perché i nostri ingranaggi si arrugginiscono, stanchi perché è finito il lock down e il ritmo è più frenetico di prima; infatti sembra che dobbiamo recuperare lavoro, vacanze, divertimento, movida, e corriamo più di prima. Qualcuno si è accorto che stavamo bene a casa, costretti a fermarci! Non c’è la pandemia adesso a fermarci (anche se non è ancora finito tuto) ma dobbiamo decidere noi di fermarci, di darci tempo, silenzio, ritmi umani, tempo alla famiglia, a noi stessi, tempo all’ascolto, tempo al ristoro vero che solo questo re ci può dare!
È tempo di un nuovo lock down in cui accorgerci che dobbiamo imparare a vivere, a non correre sempre, a non lamentarci, a non litigare, a scoprire il bello ancora in un amico, un collega strafottente, un genitore anziano, un marito che si dimentica il compleanno della moglie, o una moglie che pulisce la casa cinque ore al giorno! È tempo di cose nuove, sguardi nuovi, parole nuove che vengono solo da lui! Impariamo ancora ad amare, ad amarci, ad amarlo, soprattutto a lasciarci amare.
C’è un giogo pesante, quello del ‘DEVI’: devi essere competitivo, devi essere smart, simpatico, alla moda, propositivo, deciso, devi essere giovane o giovanile, sano! E c’è un giogo leggero, quello del ‘PUOI’: puoi liberarti, puoi farcela, puoi essere piccolo, puoi ascoltare, puoi inventarti un lockdown positivo, puoi imparare a imitare questo Dio che cavalca un asino. A te la scelta: il nostro re ti indica la strada con il dono della sua vita.
Amare di più o amare di meno: si può amare Dio più di un genitore, un figlio, marito, moglie? Non sono una suora, un frate, un prete io! Ho la famiglia. E allora si conclude dentro di sé: ‘ Chissà cosa vuole questo Dio? Chi lo capisce? In fondo basta non far male a nessuno, amare la mia famiglia, quando posso vado a Messa, dico anche le preghiere, porto mio figlio a catechismo… cosa devo fare di più?’.
Un Dio non in concorrenza: sembra che il Vangelo la metta sul piano della concorrenza: ‘O compri da me o vai da un avversario’. Dio non ha antagonisti o alternativi: Dio è dalla parte dell’uomo, di ogni uomo, dalla parte di chi sa dare anche solo un bicchiere d’acqua a un ‘piccolo’ a uno che non ha amici, fratelli. Dio ha una sola parte.
Un Dio fondamenta della casa: non primo o secondo piano, non porte o finestre, nemmeno condominio o villetta. Lui sta sotto, sostiene, ama e serve. Non vuol sapere cosa costruirai sopra di Lui: ti offre le sue fondamenta solide, come la roccia. Se vuoi, fidati: pensa che potrà esserci uno scossone, un assestamento, anche un terremoto: avrai bisogno della sua roccia. Se vuoi lui c’è!
Un Dio amante fino alla croce che ti offre lo stile del suo amore: ‘Se vuoi ama tuo figlio, tua moglie, tuo fratello, i tuoi amici come amo io, fino alla croce? Se vuoi amare, donati, ama oltre il punto di non ritorno, ama quando non capisci più il perché, ama guardando la mia croce, ama ancor di più quando l’altro non se lo merita, quando ti chiude la porta in faccia, quando ha tagliato i ponti, ama quando ha consumato l’ultimo tradimento, quando ti dice che sei un fallito! Più fallito di un Dio in croce che cosa c’è? Ama quando hai bisogno della sorgente di riserva perché hai finito l’acqua e l’oasi è lontana: lì hai bisogno della mia acqua. Ama quando gli altri ti diranno che non ne vale più la pena, che lei, lui non ti merita, che hai diritto a rifarti una vita e non devi farti calpestare. Il versetto ‘Chi ama padre o madre più di me non è degno di me’ significa proprio questo : Dio non è un concorrente tra tanti, Dio è fondamenta, Dio è chi ti rida speranza quando i tuoi amori vanno in frantumi, quando non ci capisci più niente ma anche quando credi che tutto il mondo finisce alla porta di casa tua, e ti rinchiudi nel tuo mondo, quando rischi di stringere troppo le persone che ami fino a soffocarle, a non farle crescere, a non liberarle, pensando di proteggerle invece le soffochi e le rendi a tua immagine e somiglianza.
Se Dio è a fondamento della tua casa e del tuo cuore , allora costruisci un rapporto libero e liberante e avrai il coraggio di dire al tuo amico: ‘ Mi sono sentito tradito da te’, o a tuo figlio: ‘ Non ti approvo ma sei grande a sufficienza per fare le tue scelte’ o a tuo marito: ‘ E’ cambiato tutto nel nostro rapporto , faccio fatica ma decido di amarti ancor più di prima’.
Si può anche amare da egoisti, si può pensare solo a sé anche portando a casa lo stipendio e non sgarrando mai, si può mettere al centro il proprio ombelico, il proprio stomaco, la propria testa, i propri organi genitali e vivere da bravi egoisti: il rischio c’è, eccome!
Solo il nostro Dio ti propone un amore da Dio, un amore esagerato, un amore che perde la testa e quando tutti ti dicono di mollare, lui continua più di prima, anzi, meglio di prima!
Un Dio che conta i capelli del capo e i bicchieri d’acqua dati ai piccoli , perché lui cerca e predilige i piccoli: e ci chiederà conto di alcuni ‘piccoli’ che non vogliamo vedere : i lavoratori stagionali nelle baracche in Campania sottopagati, a 40 gradi; le ragazze nigeriane prostitute sulle nostre strade; i poveri invisibili costretti ad andare alla mensa Caritas per tenere i soldi dell’affitto, chi esce dal carcere o dalla comunità di recupero e cercano di ricominciare.
‘Chi accoglie voi, accoglie me.’ Un Dio da accogliere: pensiamo troppo ad accogliere gli altri e poco ad accogliere lui nella nostra vita, la sua Parola, le sue fondamenta, Lui al centro per far ‘girare bene’ la nostra vita: l’alternativa è mettere al centro noi, le mie idee, il mio amore a corto raggio pronto a scricchiolare ad ogni soffio di vento o assestamento del terreno o ad ogni dissidio affettivo, familiare.
‘Chi perde la propria vita, la trova’. Sembra un paradosso. Perdere non significa lasciarsi sfuggire la vita o non tener niente per sé, bensì dare via esagerando, senza tanti calcoli. Come si fa con un dono, con un tesoro, un regalo per quell'amico, o meglio ancora per quel nemico.
La nostra vita è ricca solo di ciò che abbiamo donato a qualcuno: chi è il ricco? Chi sa donare e donarsi! Chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca, non perderà la ricompensa. Quale ricompensa? Dio non ricompensa con cose, Dio ricompensa con sé stesso: è questo il tesoro più grande. La vera ricompensa per noi è stare con Lui, sceglierlo come fondamenta, come sorgente, come acqua viva.
Si fa presto a dire: ‘Non aver paura’. La paura ci paralizza, ci taglia le gambe, ci toglie il fiato, ci blocca: la conosciamo tutti la paura; quella del buio da bambini, ho paura di affrontare quell’amico prepotente, paura di affrontare quel prof, quell’esame, paura di iniziare ad andare in bici, di arrampicarci in montagna, paura di ammalarci, paura di scelte importanti nella vita. Non serve descriverla: basta vivere per trovarci a fianco la paura! In questi mesi abbiamo dovuto convivere con la paura.
Anche il grande Napoleone Bonaparte aveva le sue paure! Sapete di cosa aveva paura? Non ci crederete: aveva una paura della Madonna! O meglio aveva paura della Madonna , di Maria e in particolare di un versetto dell’inno del Magnificat là dove dice : ‘ Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili’ e poi ‘ha disperso i superbi…’ Aveva talmente paura di quei versetti che gli ricordavano che Dio sta dalla parte degli umili e non dei potenti come lui, che decise di sopprimere la festa dell’Assunzione, il 15 agosto perché ‘offuscava la festa del suo compleanno’! Quelle parole lo inchiodavano alle sue responsabilità. Il grande Napoleone! A ciascuno le proprie paure.
Gesù apre nuovi orizzonti: ‘Non abbiate paura’ o meglio abbiate paura di chi vi fa un male diverso: non male al corpo ma male allo spirito, all’anima! Abbiate paura di ciò che vi ruba il cuore, la pace, la serenità, l’amicizia con Dio: abbiate paura di chi vi condanna una vita vuota e senza senso, di questo abbiate paura. Gesù vuole rafforzare i suoi, facendo capire che il vero male che ci separa e ci allontana da Dio e dai fratelli è quello che deturpa l’anima e rovina il cuore. E che cosa dobbiamo temere allora:
- Temi chi ti accarezza troppo, ti sorride un po’ troppo, chi ti dice troppe volte che sei bravo e non ti fa mai capire i tuoi difetti (le pubblicità: prima ti promettono sconti e vantaggi, poi vai in negozio e scopri che è tutto falso)
- Temi chi vuole assicurarti protezione, privilegi, appoggi, conoscenze perché poi ti usa, e ti frega.
- Temi chi ti fa sentire troppo importante, si dichiara d’accordo con te, chi ti mette sul piedistallo (a volte mettiamo un po’ troppo sul piedistallo i nostri bambini, ragazzi dicendo che sono bravi a fare questo e quest’altro); stiamo attenti perché dobbiamo soprattutto correggerli!
- Temi chi ti dice: ‘Ma sì, che problemi ti fai? Non vedi che fanno tutti così? Che il mondo è dei furbi? L’importante è non farsi beccare? Poi lo Stato non merita niente, la politica non parliamone: allora che problemi ti fai….
- Temi chi annacqua il Vangelo, la fede, dicendo che anche i preti non sono dei santi, i Vescovi, il Papa è pieno di soldi, che cosa fa il Papa per il terzo mondo? Lui sì che dovrebbe… Temi chi non ti parla mai del regno di Dio, del paradiso e dell’inferno, temi chi ti dice di godertela qui perché poi non si sa! Temi chi dubita di Dio ma non di sé stesso: temi quelle persone!
- Temi chi ti dice: le chiese ormai sono vuote e dopo la Cresima, dopo il Battesimo, dopo il matrimonio non ritorna più nessuno!
Di questo abbi paura: quando qualcuno (molti) non credono in una vita nuova, diversa, illuminata dalla Parola di Dio.
Il segreto è trovare chi mi aiuta a superare le paure: ‘la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare’, canta Jovanotti! Abbiamo tutti qualche vertigine da superare: allora dobbiamo affidarci alla guida giusta che ci insegna dove mettere i piedi come comportarci, come fidarci di lui e anche di noi stessi.
‘Voi valete più di molti passeri’ insiste Gesù , io mi prendo cura di voi, non ti perdo di vista; non ascoltare chi ti dice che non puoi farcela, che non sei capace , non ascoltare chi ti dice che non ce la fai a formare una bella famiglia, che non vali niente, che non vale la pena impegnarsi, che il prossimo vuole solo imbrogliarti , che il mondo fa schifo ed è pericoloso, che la Chiesa è ormai finita, morta…. ; meglio stare a casa e non immischiarsi con niente e con nessuno!
Invece tu impara a fidarti delle persone giuste e di chi ti fa volare in alto: di chi ti ricorda che vali più di molti passeri, che lui si prende cura dei suoi e conta persino i tuoi capelli, che Lui vuole salvare il tuo corpo e la tua anima già oggi adesso, perché il suo regno è già qui.
C’è qualcosa di peggio del perdere la vita! Sciuparla, gettarla via, non combinare niente di buono, pensare troppo al corpo e niente all’anima: questo è peggio. Stai pensando all’anima di tua moglie, di tuo marito, dei tuoi figli? Dei tuoi amici? Li aiuti a nutrire l’anima? E la tua anima come la curi, la nutri? C’è qualcosa e qualcuno che vuole ucciderti l’anima: è un’epidemia silenziosa, subdola, strisciante, ma abbiamo le armi della fede, della Parola, abbiamo il suo Corpo e il suo Sangue; nulla ci fa più paura!
Per tre mesi non abbiamo ricevuto il Corpo del Signore: chiusi, isolati, anche sofferenti. Non abbiamo potuto celebrare la Pasqua! Qualcuno ha davvero sentito la mancanza; qualcuno mi ha chiesto: ‘Ma non è proprio possibile? Se vengo solo io, in chiesa, quando non c’è nessuno, io non sono contagioso’ Qualcuno non ci ha pensato, qualcuno ha detto: ‘Meno male che non si può uscire, così mia mamma non mi stressa! Qualcuno si è sentito ancor più unito a tutta la Chiesa, qualcuno non ha messo in lock down anche l’anima. Invece qualcuno si è spezzato per i fratelli, qualcuno è diventato Corpo del Signore. Io come ho vissuto l’intimità con la Trinità in quei giorni? Come mi sono spezzato? Come ho seguito la Messa in streaming? (con l’aspirapolvere in mano, mentre cucinavo, mentre rispondevo ai messaggi sul cellulare?). Eucarestia è starci dentro, Eucarestia è pensare: ‘tocca a me’, Eucarestia è spezzarsi, Eucarestia è dire grazie nella vita in ogni istante! Eucarestia è sentirsi corpo, parte di un tutto, collegati sempre soprattutto quando devi stare a distanza.
Adesso che si può celebrare, cosa accade? Forse è meglio una domanda di riserva! Forse facciamo ancora fatica a uscire, un po’ di paura… Forse un po’ di …diciamolo, poca fede, lo sappiamo, e lo sa anche lui! Forse quel pane non ci affascina più o non ci affascina ancora; forse pensiamo di non averne bisogno, forse non ho ancora incontrato un amico davvero affamato di quel pane, che mi trasmetta la fame di quel corpo, forse ero affamato e adesso non più. A ciascuno la propria fame! Però facciamoci la domanda: io quanta fame ho del suo corpo? Quanto lo penso, quanto mi dà forza? Quanto lo celebro, non solo a Messa ma dalla fine della Messa, all’inizio della prossima!
Corpus Domini è la festa del contagio: sì, hai capito bene, contagio. Parola terribile, che ci ha fatto tremare, gli scienziati ci stanno lavorando, per capire come avviene, in quali ambienti, da dove è partito… Il cristiano è esperto di contagio , quello buono, quello vero: è il contagio iniziato da quel corpo, da quel sangue , il contagio dei primi martiri, il contagio degli apostoli che hanno convertito, hanno fatto vedere un modo nuovo di pregare , di vivere, una nuova fede , non una religione: adoravano non con incensi, sacrifici di animali, offerte di cibo agli dei: i primi cristiani liberavano gli schiavi, amavano davvero la famiglia, aiutavano le persone sole, si incontravano a celebrare il giorno del Signore, rischiando di venire catturati e torturati dai romani. Ma contagiavano, diffondevano il virus dell’amore senza misura, della gioia, del dono, della fame di quel pane di vita. Corpus Domini è la festa del contagio!
‘Nella notte in cui veniva tradito, Gesù prese il pane, lo spezzò…’ Non so se vi è mai successo di essere traditi da un amico, un fratello, marito, moglie: una cosa pesante insomma! Se ci è capitato di essere traditi abbiamo scaraventato in terra quello che avevamo in mano, siamo diventati furiosi, abbiamo imprecato e se avessimo tra le mani chi ci ha tradito, chissà cosa gli faremmo, poi abbiamo detto: ‘Ah sì? Adesso te la faccio pagare io!’ Ma Dio-pane no, Dio lascia fare, non si oppone: un Dio debole diciamo noi; un Dio paziente, pensa lui. Un Dio in attesa del germoglio, un Dio che si spezza, prima ancora che l’uomo lo spezzi, un Dio che si dona come pane, un Dio che prova misericordia perché sa che chi tradisce è il vero debole, chi tradisce ha il cuore chiuso, chi tradisce non ha capito il senso della vita!
Io sono il pane vivo disceso dal cielo! Dice il Vangelo.
Che cosa manca al nostro celebrare? Alle nostre Messe? Alla nostra comunità? Al nostro oratorio? Mancano gli amici, mancano il poter aprire l’oratorio? Mancano i soldi??? No, Manca la certezza di quel ‘vivo’, la certezza che quando ci troviamo, Lui è vivo! Come il sole, c’è sempre; come la memoria di un a persona cara, morta in questo periodo, ancor più viva; vivo come noi adesso, vivo come un bambino che scalpita nella pancia della mamma.
Dio si inventa come un Dio accanto, dentro, pane per il mio cammino, acqua per la mia sete, vino per la mia gioia, amico per la mia solitudine, speranza per la mia disperazione, vita per la mia morte!
Innanzitutto, cosa non è la Trinità: rompicapo, astrusità, definizione filosofica, roba per ‘addetti ai lavori’, mistero che ci schiaccia e ci fa sentire insignificanti, nube (quella di Mosè) che impedisce di vederci chiaro e ti fa perdere il sentiero!
Detto questo, vi aspetterete il secondo punto: cosa è la Trinità! Ciascuno dirà a sé stessa cosa è questa Trinità.
Io preferisco proporre degli sguardi, delle intuizioni, indicare orizzonti.
Primo orizzonte: riparti dalle relazioni. Trinità è relazione, famiglia, incontro. Forse abbiamo capito quanto bisogno abbiamo di altri, di amici di movida nuova, di festa vera. Pian piano ne usciamo; ma non è automatico! Anche senza toccarci, darci la mano, possiamo essere in COMUNIONE (ecco la parola chiave): Nick Vujcic nato senza braccia e senza gambe ha capito ben presto che non sarebbe stato come gli altri e che non poteva abbracciare i suoi genitori, gli amici, né moglie e figli ma ha imparato ad abbracciare il loro cuore. Trinità ci insegna ad abbracciare il mondo: questo mondo, questo paese, questo vicino di casa, questo collega!
Secondo orizzonte: niente come prima! Ci stiamo dicendo che c’è bisogno di NOVITA’: nella politica, economia, sanità, ecc. Anche nella Chiesa c’è bisogno di novità. Il nostro Vescovo ci sta dicendo che le nostre comunità, il nostro modo di essere cristiani deve cambiare:
- Da una pastorale dell’organizzazione ad una pastorale delle relazioni, dell’ascolto, della condivisione dei vissuti;
- Da una pastorale centralizzata ad una pastorale che valorizza la famiglia, i genitori, ogni battezzato.
- Da una pastorale vissuta in proprio, ad una pastorale che si apre alle collaborazioni e al dialogo con tutti quanti hanno a cuore le persone, il creato, il bene comune;
- Da una pastorale fondata sull’efficienza ad una pastorale che si pone a fianco delle fragilità.
Terzo orizzonte: noi abbiamo un’immagine di un Dio tenebroso, un Dio dei morti, un Dio da cimitero, se va bene un Dio da pregare quando le cose vanno male. Inquietante, giudice severo e impietoso. Dio invece si racconta, parla, a Mosè e al popolo di Israele come un Dio misericordioso, che non si arrabbia, che non se la lega al dito, ricco di amore. Un Dio carezza che scommette su di noi, che ci invita a seguirlo per salvarci.
Dice Gesù a Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. No, dice Gesù: Dio non è chiuso nella sua perfezione, non sta bene nel suo lock down, ma ci vuole incontrare, si dona, si offre per noi.
Quarto e ultimo: fase 3!
Da qui ripartiamo: dalla fase 3! È la fase trinitaria: ripartiamo da un Dio che si fa in 3!
Invece adesso rischia di iniziare la guerra del vaccino: vuoi vedere che adesso le case farmaceutiche, i governi litigano per arrivare per primi al vaccino? Vuoi vedere che ci siamo già dimenticati i medici cubani arrivati da noi? Vuoi vedere che inizia un’altra guerra fredda della corsa al mio vaccino? Nel dolore questo virus ci ha avvicinati di più, ci fa sentire più fratelli i brasiliani che hanno superato noi nel numero dei morti! Anche la corsa al primo vaccino ci fa scannare! Gli Stati parlano già di mio e tuo: c’è la corsa comprare le case farmaceutiche e gli scienziati che stanno studiando!
No, noi non ci stiamo, noi non vogliamo entrare in questa logica: qualcuno pensa: ‘Ma io cosa posso fare?’ Tanto: puoi cambiare modo di pensare, di vivere, e se siamo in 10, 100, 1000 a cambiare, cambieremo il nostro piccolo mondo! Noi abbiamo la Trinità, noi siamo nella famiglia di Dio! Abitiamo a casa sua, ci difende, ci protegge, come voi proteggete i vostri figli, genitori, fratelli: ecco Lui fa così con noi, anzi molto di più! Ripartiamo da questo Dio innamorato di noi!
Ragazzi: cos’è la Trinità? Quando ti innamori, quando non capisci più niente, quando vedi solo lei o lui! E la sogni, lo sogni di notte! Dio ci sogna giorno e notte, ci incoraggia, ci cerca, piange ancora per il nostro peccato, accetta ancora la croce, solo per noi. Questo è Dio Trinità: il Padre l’amante; il Figlio, l’amato; lo Spirito, l’amore!
Innanzitutto, lo Spirito: oggi a occhi chiusi sentiamo questo soffio, questo invio, questo vento che ci risveglia, ci dà un respiro nuovo, una energia nuova. Anche se a volte abbiamo ancora paura e vediamo l ‘altro come un potenziale nemico, uno da cui allontanarci perchè può contagiarci. Nonostante ciò, vogliamo iniziare, riprendere ad essere Chiesa nuova, spinta fuori, come un animale che esce dal letargo, come la mamma che spinge fuori i cuccioli nel mondo nuovo da esplorare.
Così la prima Chiesa, arroccata sulla difensiva, viene lanciata fuori e nel mondo, in mezzo ai pericoli: infatti Giovanni dice che il buon pastore ‘ conduce fuori le pecore’. La nostra Chiesa tentata, oggi come allora, di arroccarsi e chiudersi ancora impaurita: ‘ Siamo pochi, non disperdiamoci; sono sempre di più gli indifferenti, i lontani o addirittura i contestatori su questa mia Chiesa; stiamo tra noi, gli altri se vogliono ci cercano: abbiamo già tanti problemi. ‘ Come un gruppetto di amici che stanno bene tra loro e non vogliono compromettersi con gli altri: se viene quello là, io non ci sto!’ La Chiesa delle origini non si è leccata le ferite ma è guarita curando le ferite del mondo, le ferite del cuore, le ferite degli altri che chiamava fratelli!
La Chiesa è nata con le porte aperte, con lo zaino in spalla, con il sorriso del primo giorno di vacanza, con lo slancio di una bella notizia: ‘Sei guarito, dopo mesi di terapia intensiva!’
Una Chiesa che non ti aspetti: qualcuno la vuole sulle difensive, pronta a difendere i propri diritti, invece si sono ritrovati una Chiesa nuova, lontana dai luoghi del potere, libera, capace di annunciare e denunciare, non invitata alla festa, ma accanto a chi soffre, ma chi è senza patria, senza dignità, a chi è senza!
A Pentecoste non vogliamo più essere distanti! Lontani fisicamente sì, ma non distanti: oggi come i discepoli, vogliamo anche noi ripartire per far nuove tutte le cose, per far nuovo questo paese, questo tempo post pandemia, questo post lock down. È il soffio dello Spirito che ci fa essere nuovi, che ci fa uscire in cerca di chi fa fatica, ci fa costruire un nuovo rapporto tra noi, ci fa accontentare di più di ciò che siamo e abbiamo, ci fa essere un po’ più leggeri. Vogliamo essere la Chiesa che respira aria nuova, e fa respirare aria nuova, non contaminata; credenti che chiedono solo di poter diffondere lo Spirito Santo avuto in dono.
‘Io con te non scherzo!’, dice un ragazzo alla sua fidanzata proprio in questo periodo: ho avuto altre storie ma con te è diverso, sento dentro qualcosa di nuovo, una energia, una forza, una voglia di novità, con te mi sento un uomo nuovo!’ È quello che lo Spirito santo dice oggi a noi: ‘Con te, cristiano, io non scherzo, faccio un patto, una alleanza, un matrimonio con te. Se vuoi inondo la tua vita, ti parlo, ti suggerisco, ti conforto, ti do la sapienza, ti faccio vedere il mondo con occhi nuovi; io con te non scherzo!’
La Chiesa è morta o è viva a Pentecoste? È morta? Imbalsamata, in freezer? Da spolverare quando c’è un bel Battesimo o le Cresime o il matrimonio? Speriamo basta funerali! E poi dimentichiamo la Chiesa, lo Spirito, la preghiera, la Messa? è viva? In ascolto? Nelle case? Là dove un battezzato si sente mandato nel mondo, non conta quanti siamo, non conta i posti vuoti ma cerca di riempire il proprio posto, a fatica. Chiesa dove un dottore o infermiera ha pregato accanto a un ammalato: chiesa leggera come un seme portato dal vento a diventare un nuovo albero una nuova vita!
‘Tu dai respiro ad ogni vivente, senza il tuo respiro muoiono’ dice un salmo: quanti amici, fratelli, non trovavano respiro in questi tempi: abbiamo bisogno del respiro di Dio nel cuore per portare a tutti il soffio del tuo amore.
‘Non vi lascerò orfani’ ci aveva detto Giovanni domenica scorsa; oggi realizza nella sua Ascensione al cielo ciò che ci aveva detto: prima era vicino, accanto, da ora è dentro, nell’anima, nei passi, negli sguardi, nel modo di affrontare il mondo e la storia.
Chissà che cosa hanno capito gli apostoli e le donne ancora nel dubbio! Ma perché ci abbandona? Non ci vuole più bene? Lo abbiamo forse deluso? Niente di tutto questo, apostoli, state tranquilli. Conosceva già i vostri dubbi, lo sapeva da tempo eppure come l’agricoltore saggio non demorde, dissoda il terreno, lo innaffia, si prende cura di voi, dei suoi amici, della sua Chiesa. Lui non dubita di noi mentre noi continuiamo a dubitare di Lui.
Mentre loro non si fidavano ancora e non credevano in lui, lui si fida, crede in loro, crede in noi e ci affida il suo gregge. Come uno che affida a un amico la casa piena di opere d’arte, o uno che parte per lavoro e starà via dei mesi e dice: ‘Ti affido ciò che ho di più caro la mia famiglia i miei bambini, mia moglie, abbi cura di loro, mi fido di te!’ È questo il nostro Dio: si fida, ci lascia i suoi tesori più preziosi, da proteggere e custodire. Conosce il loro cuore e sa che è un cuore che ama, anche se in modo imperfetto: ci vorrà il dono dello Spirito, il Consolatore; ci vorranno tanti dubbi, ci vorrà la delusione di vedere che pochi accoglieranno la Parola annunciata dai discepoli, ci vorranno tante sconfitte prima di vedere il seme germogliare. Ma non importa: la Chiesa è sua, non nostra, lo Spirito è suo, l’anima è sua non nostra, il mondo è suo, non nostro, ricordiamolo! Quando mettiamo il nostro marchio sulla Chiesa, sugli altri, sulla storia, allora incominciano i guai: quando lasciamo fare a Lui, tutto si aggiusta e ogni cosa va al suo posto! Invece Questa la novità sconvolgente del nostro Dio: lui ha fede in noi, ci prende sul serio,
‘Andrà tutto bene’ abbiamo scritto alle finestre, sui balconi, sulle nostre case: questo è il cuore dell’annuncio del Risorto! Andrà tutto bene; non perché non vi succederà nessun imprevisto, non perché tutto filerà liscio, non perché andrà secondo i vostri piani, non perché non ci sarà più alcuna epidemia a falciare la vita di tanti fratelli, non perché tutti vi ascolteranno e vi diranno che siete bravi ma perché i vostri nomi sono scritti nei cieli, perché tutto finirà nel suo abbraccio, tutto sarà rinnovato dal soffio dello Spirito. Ecco perché ‘andrà tutto bene!’
‘Io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo’. Non ci lascia soli, mai. Da queste parole comprendiamo cosa sia l’Ascensione! Gesù non è andato lontano o in cielo, ma si è fatto più vicino. Se prima era accanto, a fianco dei discepoli, ora sarà dentro di loro, negli occhi, nello sguardo, nel cuore.
La festa dell’Ascensione ribalta il mondo, le cose, ribalta il nostro concetto di Dio! È la partenza di Gesù invece Lui dice che sarà ancor più presente. Nelle nostre partenze c’è sempre un po’ di tristezza; nella Ascensione non c’è tristezza ma serenità: ‘ Perché state a guardare il cielo uomini di Galilea…’ Anche noi siamo sgomenti come i discepoli della Scrittura.
Ma come? Proprio ora che i discepoli avevano capito chi è Gesù, dopo il grande spavento della croce, proprio ora che si poteva vincere davvero contro tutto e tutti, proprio adesso si ritrovano da soli. Proprio ora che, in questi mesi mi sono avvicinato alla fede? Proprio adesso che ho riscoperto il gusto della preghiera, mi spostano il prete? Il catechista? Proprio adesso, il mio fidanzato mi lascia, quando ne ho più bisogno? Proprio adesso i miei amici mi voltano le spalle? Proprio adesso il lavoro non va bene? Se finalmente capissimo che Dio ci tratta da adulti! Che non scherza, che ci affida i suoi tesori, che ha fede in noi e ci riprova sempre! Lui ha il coraggio di scommettere su noi per farci uomini e donne nuovi, santi nel mondo d’oggi! Invece di restare a traino, rimorchi trascinati, che aspettano il suono delle campane, aspettano un messaggio per fermarsi a pregare, aspettano il video per il mio gruppo, o aspettano di vedere chi si iscrive alla gita, al campionato, al campo estivo…: poi, forse, vengo anche io! Locomotori, non vagoni; in cammino, non sdraiati; risorti, non morti. Protagonisti nella Chiesa, non ‘utenti’.
Se a Pasqua il nostro sguardo è rivolto a Gesù risuscitato dal Padre, nella ’Ascensione, lo sguardo è sull’uomo, sulla Chiesa, su noi ai quali Dio affida il compito di essere il volto di Dio nel mondo. Dio ribalta tutto, ribalta i cuori, ribalta l’uomo, ribalta persino sé stesso!
Un mio amico qualche giorno fa mi ha detto: ‘Non illuderti: dopo questa epidemia, tornerà tutto come prima, ci dimenticheremo della preghiera, di starci vicino, di sostenerci di più! Passerà tutto!’ Non so cosa pensate voi! Io penso che sia già tutto cambiato dalla Ascensione: tutto è partito dalla luce ritorno di Gesù al Padre e a volte noi ne intuiamo qualche scintilla. Ascensione non è pretesa che gli altri cambino. Ascensione è proposta, invito, slancio e rilancio. È già la fase 3: convivere col virus del peccato e sentirci rinnovati dal coraggio della fede, inviati a diventare portatori sani del vaccino dello Spirito Santo in noi.
Innanzitutto, grazie al Consiglio pastorale che mi ha dato molti spunti per questa omelia.
Si riapre con tanta apprensione: qualcuno dice che non abbiamo mai chiuso! La preghiera è continuata, forse più di prima; la Chiesa non è andata in lockdown ma si è semplicemente trasferita nelle vostre case, tra i balconi dei condomini, nelle notti sferzate dalle sirene delle ambulanze, nei messaggi che ci siamo inviati distanti ma ancor più vicini, sui volti sofferenti degli operatori sanitari mentre stringevano la mano di qualche ammalato. La Chiesa c’era e c’è, nonostante qualcuno pensi il contrario. Come Pietro nella seconda lettura: ‘pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi’: abbiamo cercato di rendere ragione e tenere accesa la speranza nel buio della notte che stiamo attraversando.
Quel ‘Se mi amate’: inquieta ed entusiasma contemporaneamente! Inquieta per il ‘se’; il ‘se’ del dubbio perchè Gesù sa che noi siamo quelli del dubbio, anche dopo aver toccato con mano il suo dono. Entusiasma perché all’inizio non può esserci altro se non l’amore folle di Dio per noi (non il nostro per Lui). È più difficile amare o essere amati? Bella domanda: quando amiamo ci sentiamo noi i protagonisti, ma quando siamo amati ci sembra di essere deboli, bisognosi, nudi! E lasciamo che sia lui protagonista. Ma questo è il senso dell’appartenere a Dio: pendiamo dalle sue labbra, dal suo cuore, ci sentiamo in intimità con Lui: chi è innamorato sa a cosa mi riferisco. Questi giorni ci hanno isolato e spogliato ma ci hanno anche collegato con il mondo, ci hanno fatto capire che la Chiesa è più grande della nostra parrocchia ma anche più piccola perché si è trasferita nelle nostre case, sul tavolo della cucina, sul divano, nel lettone!
Confesso che mi viene un po’ di orticaria quando mi imbatto nel termine ‘amore’ (anche quando lo abbreviamo in ‘amo’): troppo abusato, troppo storpiato, malinteso: preferisco vederne i frutti, le conseguenze, preferisco vedere mani spalancate, volti rigati dalle lacrime, occhi sorridenti, piedi pronti a partire verso un amico, portafogli aperti per sostenere chi ha bisogno. Il nostro Dio vola alto ma ha i piedi per terra!
Con finestre e porte chiuse abbiamo fatto come gli apostoli chiusi nel Cenacolo, e sentiamo che quello Spirito ci anima, ci unisce, ci ha fatto sentire ancor più vicini coloro che improvvisamente non abbiamo potuto toccare. Lo Spirito di verità che rimane in noi: il Paracleto, l’avvocato, il difensore silenzioso e fraterno che si sedeva accanto all’imputato mentre tutti lo accusano (il Diritto giudaico non conosceva la figura di un avvocato difensore, ma prevedeva questa figura che affiancava l’imputato). Una presenza amica, al di sopra delle parti. Abbiamo bisogno di questo Difensore, Compagno di viaggio non solo nella tragedia di questi mesi ma nello scorrere dei giorni, quando siamo trascinati nel vortice del non senso.
Già, ci siamo domandati anche questo nei giorni che lentamente ci lasciamo alle spalle: che senso ha tutto ciò? Che senso ha la mia vita in quattro mura? Che senso ha tutto il giorno con le solite facce, le solite pulizie di casa, i soliti compiti, il solito lavoro da casa, ogni giorno uguale all’altro in una monotona ripetitività? Giovanni ci risponderebbe: ricordati che ‘Non siamo orfani: verrò io da voi’. Non sei orfano, non sei solo! Da qualunque letto di terapia intensiva, nell'abbandono in cui molti amici e familiari sono stati segregati, nell'isolamento dei nostri nonni, non siamo orfani: questo Spirito supera le chiusure perché entra nel cuore, ti da un senso, ti invita a confidare, a capire che siamo vincenti quando non facciamo niente e ci lasciamo invadere dal suo soffio, dalla sua dolcezza, dal fiorire come di una primavera dell’anima!
Siamo pellegrini dispersi senza te, Spirito Santo: alla deriva in balìa degli eventi della vita, felici quando va o ‘andrà tuto bene’, disperati quando le cose precipitano; donaci la fiducia di appartenere a te, fa’ che non ci sentiamo mai orfani, ma nelle tue mani qualunque cosa ci accada, seguendo te via, verità, vita. Liberi dalla frenesia, attenti a cogliere nel nostro intimo i tuoi passi: solo sentendoci amati da te potremo imparare a nostra volta ad aprire mani e cuore verso ogni fratello.
‘Non sia turbato il vostro cuore: abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me’. Ci vuole una vita per imparare a non essere turbati e ad aver fede in lui Via, Verità, Vita’; stiamo uscendo dalla paura, ce l’abbiamo ancora un po’ negli occhi e nel cuore. Paura della malattia, dell’ignoto, paura di morire, di restare soli, ogni paura è una piccola scheggia che ti trafigge, ti lascia un segno nel corpo, ma, se ci pensi bene, ti fa apprezzare tutto il resto del corpo non toccato da nessuna ferita: ti fa ringraziare per i momenti in cui non avevi paura ma anzi la vita ti sorrideva. E ti farà apprezzare ancor di più il tempo in cui sarà passata quella paura! Qualche racconto di chi si è salvato in questa epidemia, ci fa venire la pelle d’oca, ci fa venire un po’ di paura, ci paralizza, ci dipinge il mondo di nero.
Gesù ci aiuta a convivere con le paure, a guardarle in faccia, a digerirle, ad abbracciarle e ad immergerle in qualcosa d’altro che per noi si chiama incontro con il Padre, lo Spirito, il Figlio. Ogni abbraccio è anticipo, promessa di quell’infinito abbraccio nel cuore di Dio! Lo sapeva Cristo che il momento decisivo non sarebbe stata la croce ma questo incontro in cui lui insegna a convivere con la paura: tempo di rinascita, tempo di speranza, tempo in cui bisogna riprendere la via!
Li aiuta dicendo loro e a noi: “Io sono Via, Verità, Vita”.
Via non meta: ci piacerebbe di più se avesse detto: ‘Sono la meta, il punto d’arrivo: se ti impegni ottieni il premio e sei a posto!’ Che da l’idea di qualcosa di sicuro; parti da qui e arrivi là. E ti poni le solite domande: Quanto ci impiego? Quanto costa? Quanti km? Quanti sassi, quante cadute, quante vesciche? Quanti amici, quanti nemici? No, lui non parla di meta: altrimenti, una volta arrivato alla meta cosa fai? “Basta, ho finito, torno a casa”. No, lui ti chiede di abitare la strada, ti chiede di essere cammino, passi ritmati, ti chiede di essere un buon compagno di viaggio, di gustare i profumi, il sole, la pioggia, ti chiede di perdere tempo e orizzonte: solo se pensi al cammino e non alla meta allora sei un vero pellegrino, non turista.
Verità non opinioni: ormai tutti hanno la verità in tasca, tutti fanno tendenza, tutti dettano legge, tutti difendono la propria verità. Tutti si ergono a sentenziare, confondendo perle preziose con fondi di bottiglia. Un Vescovo ha detto: Passeremo i primi cento anni nell’aldilà a ridere. Sì, a ridere delle nostre disgrazie, delle nostre arrabbiature, dei nostri difetti, dei nostri sbagli, delle volte in cui ce la siamo presa per niente: perché Dio svelerà la Verità su di noi, sul mondo, su di lui. E ci diremo ‘ Come sono stato scemo quella volta là, quante occasioni ho perso’. Ma lui non ce la farà pesare, non ci dirà: ‘ Te l’avevo detto e non mi hai ascoltato!’ Lo capiremo da soli affascinati dal suo sorriso, per i primi cento anni!
Vita non morte: tempo di vita questo, tempo di rinascita, meglio di resurrezione. Il vero pellegrino percorre ancora le nostre strade, il bel pastore ci chiama e ci invita uno ad uno, il risorto ci chiama alla vita. Ci chiama a vivere in pienezza ogni istante che ci è donato, pensando ai nostri compagni di viaggio che non hanno più questa possibilità. Ma che sia vita donata, effusa, regalata come ogni mamma sa bene. Vita nelle nostre case, vita dopo la morte, vita di chi in questi giorni è solo ma sente intorno a sé tanti fratelli che si prendono cura di lui. Vita che respira dentro di noi, Spirito che ci anima e ci suggerisce strade nuove.
‘Mostraci il Padre e ci basta!’ Guardiamo a te, crocifisso, risorto e ti supplichiamo: ‘Mostraci il Padre e ci basta’! Ci basta quel Padre buono, quel volto rugato in attesa del ritorno del figlio prodigo, quell’abbraccio che perdona ogni colpa, ci basta pensare a un Dio Padre che dona persino suo Figlio per far diventare noi suoi figli! Ma qualcuno oggi chiede anche a noi: ‘Mostraci il Padre e ci basta!’ Tu, cristiano, fammi vedere quanto ami quel Padre, quanto ami quel Figlio in croce, quanto ami quel tuo fratello che invece vorresti odiare: senza il tuo sguardo, cristiano, qualcuno oggi non potrà vedere il Padre! Hai una grande responsabilità: dipende da te se oggi qualcuno lo riconoscerà come Via, Verità, Vita.
In cammino alla ricerca dei suoi, dei due di Emmaus, di Tommaso e di noi! È già in cammino il Signore, vivo, anche se a volte lo cerchiamo ancora tra i morti. Getta per primo non la spugna ma la rete, chiama le pecore, le conosce una per una
Ogni pecora ha un nome, una storia, un volto! Ciascuna è preziosa: si chiamano Giuda, Zaccheo, Nicodemo, il ladrone, sono io, sei tu, pecore disperse, testarde, che non riconoscono la voce. Più una pecora è lontana, più il bel pastore corre alla ricerca, alla caccia per portarle via da lupi e mercenari.
Porta per entrare e uscire: entrare nel cuore, uscire verso i fratelli. Lui entra in noi per la via principale, quella del cuore: il mercenario entra per altre strade in modo meschino da traditore; entra attraverso gli occhi, attraverso le nostre paure, i nostri dubbi, il mercenario demonio non è interessato a noi ma al nostro orgoglio, al nostro egoismo e porte da lì per raggiungere il cuore. Il buon pastore non lancia trappole, ma lancia un invito: ‘Seguimi’.
Dice qualcosa di forte, apparentemente incomprensibile: ‘Le conduce fuori’: in uscita direbbe papa Francesco. Ma come fuori? Perché? Stiamo così bene qui, al sicuro, senza i pericoli? Fuori non ci capiscono, non sono dei nostri, ci sono ‘gli altri’.
Ma lo ascoltiamo o no questo pastore? O inventiamo ancora una volta Lui sa che siam o più sicuri ‘fuori’, nel mondo, fuori dai nostri schemi precostituiti, fuori dalle nostre idee, fuori dai recinti che abbiamo costruiti, fuori da una Chiesa un po’ ripiegata su sé stessa, più pronta a definire confini e regole che a lanciare messaggi di speranza. Ci sorprende ci stupisce , forse ci scandalizza questo pastore che sembra preferire il figlio prodigo e la pecora perduta: gli diremmo che non si fa così, che bisogna curare i buoni ed eliminare le teste calde, ma lui continua a indicarci la strada verso Emmaus, verso la Galilea dei pagani , continua a percorrere la strade di chi si è perso, di chi oggi cerca non risposte ma fratelli , compagni di viaggio ,a mici, qualcuno che aiuti a risorgere!
Non è forse che questi giorni ci possono far capire chi è questo pastore, quanto gli stiamo a cuore? Non è che ci invita a uscire da casa rinnovati? Un po’ più attenti alle cose che contano di più? Più ‘leggeri’, più riportati all’essenziale, più fuori da un modo vecchio di essere credenti, fuori da qualche schema di troppo, più capaci di osare, di uscire verso i fratelli per dir loro che lo abbiamo incontrato, è vivo, è accanto, è avanti, è fuori, ci aspetta!
Che pastore sono io? Sono un pastore determinato e appassionato? Mi stanno a cuore quelle pecore? Le penso? Mi preoccupo oppure dico: ‘ Se hanno bisogno mi cercano; io non ho bisogno di loro!’ Invece questo pastore non dorme di notte finché l’ultima non sia tornata a casa! Cerco di imparare dal cuore del vero pastore?!
E Che pecora sono?
Un Vescovo ha detto: ‘Dopo questi giorni terribili dovremo cambiare qualcosa, molto: ‘Meno organizzazione e più relazione’. Più incontro, più ascolto, più prenderci a cuore: forse la distanza di questi tempi ci fa sentire il bisogno di una nuova vicinanza!
È lui il vero buon Pastore. Lui cerca guardiani e cani. Testimoni innamorati che lo aiutino a condurre, lasciandosi condurre.
Cerchiamo di essere così: fratelli catechisti, educatori, insegnanti, genitori, allenatori, preti, vescovi. Guardiani e cani che odorano di pecora, che le conoscono per nome, che puzzano un po’. Guardiani e cani che si inventano l’impossibile, in questi tempi, per esserci, per ‘uscire’ verso, per incontrare anche solo al telefono, con un video, con un messaggio. A volte saremo incoerenti, a volte scontrosi, forse perderemo la pazienza, non importa.
Siamo, però, innamorati di Lui. Per far innamorare il mondo e ogni fratello.
Ogni volta che mi imbatto nel vangelo di Emmaus è sempre una emozione, una riscoperta, una nuova carezza, un dono di un incontro, un risveglio dopo un lungo inverno o una malattia! Emmaus ti viene incontro per rialzarti, per ricominciare un nuovo giorno, per dirti, ‘sei risorto, adesso! Cosa fai ancora nel tuo sepolcro!’ Così Emmaus è il paradigma della nostra vita e della pandemia che viviamo in questi giorni.
In cammino: il pellegrino di Emmaus è sempre avanti, sempre in Cammino, sempre pronto a indicarci il cammino, la strada! Non per forzare il passo, non per convincere, non per dimostrare qualcosa, ma perché lui è la via, la strada, il sentiero. Non importa dove sei arrivato; l’essenziale è camminare! In questi giorni camminiamo tra poltrone, divano, cucina, sala: ma possiamo camminare con lo sguardo, verso quel vicino di cui non mi sono mai accorto, verso quel libro che non ho mai iniziato, verso quel pensiero di pace e serenità che non ricordavo più.
Disperazione: i due delusi e disperati fuggono. Una storia così di quel Cristo ci ha amareggiati. Si fa presto a dire ‘speranza, abbi fede’. Lui rallenta il passo, li ascolta, cura le ferite senza pensare alle proprie. ‘ Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi?’ Gli occhi non tradiscono, parlano chiaro: gli occhi dei due sono spenti incapaci di vedere la luce, perché il cuore era nel buio! Come sono i tuoi occhi, spenti o accesi; pieni di vita anche a 90 anni o chiusi anche nei giorni radiosi della gioventù? Occhi dietro occhiali protettivi, sopra le mascherine, occhi sorridenti per infondere speranza, occhi chiusi di chi sta soffrendo, occhi nuovi di chi ha già iniziato oggi a costruire il domani.
Tempo di ri-cordare: è il tempo di rimettere nel cuore gesti, parole, volti, profumi, emozioni. Guardiamo tutto con occhi avidi, occhi che vogliono capire, impossessarsi, dominare e ‘gestire’. Siamo vittime del nostro sguardo pesante, di un modo vecchio di guardare le cose: impariamo ancora a contemplare, non a giudicare il passato! I due ricordano, ascoltano, si lasciano guidare da questo pellegrino che scalda mani, cuore, occhi! Finalmente capiscono proprio quando non ci capiscono più niente! Solo nel cuore capisci il senso della croce, della corona di spine, del ‘ Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato’, solo nel cuore capisci il ‘ Vegliate un’ora sola con me’. Solo col cuore e nel cuore capiremo questi giorni e questo tempo: solitudine che ti fa pensare a quell’amico d’infanzia, isolamento che ti ricorda com’è bella una partita di calcio con gli amici, malattia che ti fa apprezzare gli anni in cui stavi bene e ogni risveglio come un dono inatteso. Dovremo ricordare tutto ciò: il bello verrà quando e se ricorderemo tutto ciò che viviamo ora oppure lo dimenticheremo, distratti, ripiegati su noi stessi, violentando ancora la natura, dimenticando questo Dio viandante per noi.
‘Resta con noi’. Il ricordo si fa intimità, gratitudine, pace nel cuore: è la quiete dopo la tempesta, è il bisogno di un incontro, un abbraccio, bisogno di casa e di famiglia! Il profumo del pane riempie non solo le stanze ma l’anima, perché è un pane da spezzare, da donare, da condividere a tavola: non è mio, è nostro! Pane spezzato come la vita: o la spezzi o non serve a niente! Resta con noi ti diciamo, pellegrino nei sentieri della nostra anima, resta con noi anche se noi spesso non siamo con te. Resta nelle nostre case piene di fratelli , di volti, di gioia ma anche di litigi: insegnaci a riappropriarci della nostra casa , dei nostri sentimenti , dei miei tempi , resta con noi in questo tempo negli ospedali, nel silenzio dei cimiteri deserti , resta con noi quando usciremo dalle nostre case per ritornare all’ Emmaus della nostra vita ordinaria come i due discepoli, nuovi, più leggeri, più purificati, più ricondotti all’essenziale, più desiderosi di dire a tutti : ‘Ci arde il cuore nel petto’ dopo averlo incontrato ed ora lo annunciamo con la nostra vita.
Molti non credono che ‘andrà tutto bene’, qualcuno scuote la testa: non sarà certo facile! Potrà andare tutto bene se ci mettiamo del nostro, se non ci spariamo addosso gli uni gli altri, se deponiamo le denunce già pronte nei cassetti degli avvocati, se ciascuno rinuncerà a una piccola comodità, se ci sentiamo un po’più italiani, europei, credenti, se dialoghiamo di più americani e cinesi, bianchi e neri, governo e cittadini, tra un partito e l’altro, tra Stato e regioni: insomma se siamo risorti, se ci lasciamo inondare dal profumo del pane della locanda di Emmaus e diventiamo noi pane spezzato per il mondo.
È Pasqua, è ancora Pasqua negli occhi, nel cuore, nella paura degli apostoli chiusi per paura, rinchiusi come noi in questi giorni che comunque sono giorni pasquali che ci parlano di resurrezione, di rinascita, di ‘passaggio’ ad un tempo migliore! E Gesù viene, non si fa attendere! Viene non per insegnare, o per rimproverare, o per accusare, viene per perdonare, per donare la pace, quella che i discepoli non avevano più, o non avevano ancora. Delusi, impauriti, soli: proprio in quei cuori affranti lui c’è!
Con Lui la Pace c’è: nei cuori dei nostri fratelli ammalati, in chi si prende cura di loro, in chi diventa operatore di pace, Lui c’è!
‘Per favore dai una carezza a mia mamma, come se fosse la mia: forse sarà l’ultima carezza’, così un figlio che chiede a una educatrice in una casa di riposo un ultimo gesto alla madre morente. Pace vera proprio nella tempesta. ‘Siamo accanto, siamo il vaccino contro la solitudine per questi anziani’ dice ancora l’educatrice: sempre più tecnologici, sempre più connessi, sempre più soli! Nel buio di questi giorni basta una sola carezza, per accendere tanta speranza.
‘Detto questo soffiò e disse loro: ‘Ricevete lo Spirito santo’. Gesù dona il vento dello Spirito che anima la Chiesa, la rende viva, le permette di affrontare le sfide del tempo e del mondo; come tanti fratelli in qualche ospedale hanno ricevuto il soffio dell’ossigeno per poter continuare a vivere e tornare a casa salvi!
C’è un gran via vai nella stanza dove si trovano i discepoli: le donne che ritornano e annunciano, i due di Emmaus che l’hanno incontrato, i dieci apostoli, e ora Tommaso; otto giorni dopo: non il sesto giorno , quando l’uomo è stato creato, non il settimo, il giorno del riposo di Dio quando contempla la creazione , ma nell’ottavo giorno, quello del Risorto , il giorno in cui Lui fa nuove tutte le cose, e noi.
Tommaso entra in scena: deciso, volitivo, un po’ testardo ma in ricerca; non si accontenta di un racconto ma vuole un incontro. Ha bisogno del maestro e il suo dubbio, spesso frainteso, in realtà nasce dal bisogno di vedere e toccare, il maestro per iniziare a …risorgere!
Cristo accoglie i ritardatari, gli ultimi, coloro che perdono la strada, che brancolano nel buio: il ladrone in croce (chissà se era veramente buono) ne sa qualcosa! Ti scandalizza ancora questo Dio che anziché premiare i buoni, corre giorno e notte in tutti gli angoli a salvare i cattivi? Tommaso non cerca le ferite di Gesù ma gli espone le proprie ferite, i propri tradimenti, la sua poca fede! Prima di arrendersi alla luce, occorre sentirsi nel buio totale: lì, nel tuo buio ti raggiunge Cristo luce del mondo.
Il Signore non si lascia nemmeno impressionare dalle parole maldestre e presuntuose di Tommaso: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mano nel suo fianco, io non credo’. Gesù guarda oltre, guarda il cuore che cerca, che desidera, che non è in pace e Lui si fa Pace, quella vera.
Alla fine, perché Tommaso dice ‘Io credo’? Perché tocca le piaghe? Perché vede i fori nelle mani? No! Tommaso si converte perché… si è sentito atteso, ha capito che era nel cuore del maestro, perché Gesù ritorna apposta per lui, si arrende alle sue richieste, è un Dio povero, che si mette a disposizione dei nostri dubbi, in balia del nostro rifiuto, pronto a farsi crocifiggere ancora perché ci ama, da folle! Tommaso non ha trovato ‘il posto dei chiodi’ ma ha trovato un cuore in attesa, che aspettava l’ultimo dei 12 che non lo aveva ancora incontrato! Dopo aver ‘perso’ Giuda, Gesù non voleva perdere anche Tommaso!
Mi riconosco tranquillamente in Tommaso nel dubbio, nella ricerca, nel bisogno di vedere e toccare non il suo sangue, o il segno dei chiodi ma sentire e vedere questo Dio diverso da me, questo Dio a disposizione, questo Dio che si piega alle richieste di Tommaso, questo Dio che con cancella i segni della morte, li mantiene e li fa risorgere.
Era quello il Signore che Tommaso voleva incontrare, lo sapeva che il Maestro era così, non si era sbagliato! Allora non ha più bisogno di altre prove, gli basta quello sguardo docile e quelle parole: ‘Tommaso, metti qui il tuo dito e guarda le mie mani… non essere incredulo ma credente’. Guarda un Dio che aspetta un figlio che si è perso, un Dio che è sempre alla ricerca di un amico, un Dio che attraverso quelle ferite sempre aperte, mostra la gloria di Dio, il punto più alto dell’amore per l’uomo. Su quella carne l’Amore ha scritto il suo racconto, la sua storia, il suo desiderio di un cuore da amare.
Didimo è chiamato Tommaso, gemello: forse di Gesù, forse aveva un fratello gemello: oso pensare che sia fratello mio ogni volta che dubito, che mi perdo, che cerco un vero incontro, che cerco delle prove e trovo un cuore di Dio che sanguina ancora per me!
Mi piacerebbe oggi chiedere a ciascuno di voi: cosa ti manca in questi giorni? Cosa ti manca di più? Qualunque cosa, Fosse anche una pizza, un gelato, quell’amico, un giro in bici! Ditevelo, forza: cosa ti manca di più? (A me mancate voi, i vostri sguardi: non è tanto bello celebrare davanti a un computer e a banchi vuoti)
Poi una seconda domanda: cosa ci sta insegnando questa storia che stiamo vivendo? Mi piacerebbe sentire le vostre risposte: io sto imparando a fermarmi, a non correre, a non preoccuparmi troppo di cosa fare’ ma a ritrovare un po’ di serenità, di pace! A capire cosa è essenziale nella mia vita e ciò che è di più, superfluo. A tener fuori ciò che non mi aiuta, a non rincorrere una cosa dopo l’altra!
Il cappellano del cimitero di Brescia ha chiesto a un bambino: Fammi un regalo, un bel disegno così quando sono triste, guardo il tuo disegno e divento allegro, mi passa tutto! Il bambino gli ha disegnato una mucca in cielo che vola sopra le stelle. Ecco oggi il disegno per tirarci su ce lo fa Dio, ce lo dona lui! Ci disegna un mondo nuovo, ci disegna la primavera, ci disegna un cuore nuovo, ci disegna come saremo dopo, una volta passata un po’ questa situazione, ci disegna nuovi, a immagine di suo Figlio risorto e ci dice: ‘Ecco come diventerai, ecco chi sei! Ecco come sono i fratelli morti in questi giorni, sono risorti, senza più dolore, senza epidemie, senza la morte. Non temere: ecco il tuo volto cristiano.’
Qualche scrittore che parlava dei primi cristiani nel III-IV secolo diceva che i nuovi battezzati nella notte di Pasqua si riconoscevano subito senza che nessuno dicesse di aver ricevuto il Battesimo: bastava guardarli in faccia e tutti capivano che erano diventati cristiani! Nuovi, fatti nuovi!
Qualcuno ha detto che quest’anno non c’è la Settimana Santa, non c’è Venerdì Santo, non c’è Pasqua! Non so cosa pensate voi, ma per me c’è eccome! Anzi oserei dire che questa, anche nella sofferenza, nel dolore è una Pasqua speciale! Sì speciale:
È Pasqua nella Via Crucis del personale sanitario che risale il Calvario dei reparti CoVid-19 con l’angoscia nel cuore per salvare anche un solo paziente. È Pasqua per i medici con il camice bianco portare la croce dolorosa delle persone contaminate?
È Pasqua per tanti scienziati che sudano acqua e sangue, come al Getsemani, per trovare un trattamento o un vaccino.
È Pasqua per tanti volontari che portano cibo e medicine a tutti noi, a casa.
Perché un Dio in croce, perché proprio lì, perché, quando chiunque cerca di evitare ogni croce, quando ogni re scenderebbe dalla croce, perché Dio la sceglie, la abbraccia, la sopporta? Lui lo sapeva che tanti uomini nella loro vita avrebbero portato una pesante croce, ingiusta, esagerata, incomprensibile, una croce infinitamente dolorosa! Allora un altro dio, sapendo questo, cosa avrebbe pensato? Avrebbe detto: ‘IO che sono dio, tolgo ogni croce, la anniento, la elimino dalle spalle dell’uomo. Vinco io tutte le guerre, tutte le paure, tutti i virus, così faccio vedere al mondo chi è il più forte: mi basta poco. Così tutti mi seguiranno, saranno dalla mia parte: allora non avremo nemici, solo alleati perché tutti avranno paura a schierarsi contro un dio così potente. Andrà tutto bene, direbbe questo dio (come vediamo scritto sui nostri balconi), solo pace, niente dolore, guerre, violenza, superbia!’.
Ci piacerebbe tanto un dio così: in fondo è quello che piaceva agli apostoli: ma quando Gesù ha iniziato a parlare di sofferenza, di abbandono, di croce, di morte, uno per uno se ne sono andati tutti! È facile seguire il più forte: ma quando quel forte diventa debole, allora gli amici spariscono!
Eppure, anche se facciamo fatica a capirlo, solo così Dio si rivela per ciò che è, solo donandosi in croce ci mostra chi è veramente, non in altro modo! Qualunque altro gesto ci avrebbe rivelato un altro dio, diverso, magari più forte, più potente, più dio secondo noi ma non sarebbe stato il Dio di Gesù, il Dio amante dell’uomo, il Dio servo, il Dio fragile, indifeso che sceglie l’ultimo posto per stare accanto agli ultimi della terra e annunciar loro per primi la salvezza. Solo la croce ci toglie ogni dubbio su chi è il vero Dio! Solo la croce è sulla vetta della montagna dell’amore: non esiste vetta più alta! La croce è la prova oltre ogni nostro perché; è la vetta dove Dio diventa l’amante di ogni uomo in croce.
Il nostro Dio la abbraccia quella croce; lui il male non lo elimina, lo supera, lui la morte non la cancella, la vince; lui la croce non la toglie, la trasforma! Lui passa in mezzo alla storia, alla storia dell’uomo e dal di dentro la ama, la accoglie e la trasforma; ogni male fatto ad ogni uomo, anche al più perfido, fa sanguinare il cuore di Dio perché ciò che è contro l’uomo, è anche contro Dio. La croce, ogni croce, nelle mani di Dio diventa occasione di rinascita, di speranza, di resurrezione: con il suo consegnarsi in croce, il nostro Dio ci fa capire che l’amore vince ogni cosa, vince tutto, vince ogni male, non tanto quello fuori dell’uomo, ma quello che parte dal cuore dell’uomo, dal nostro cuore. Il nostro Dio vince dal di dentro, come e più di un amico, un fratello che in una famiglia che litiga si mette in mezzo e aiuta a riconciliarsi; come uno che, tra due parti in guerra, si mette in mezzo, ascolta tutti, si compromette, mostra la faccia e fa dialogare le due parti pe r trovare un accordo; come un medico, armato di maschere e camice gira tra reparti infetti e paga di persona per salvare vite umane; come quella giornalista che raccoglie prove sui crimini dei mafiosi, e scrive, denuncia, accusa, fa nomi e cognomi e rischia la vita sua e della sua famiglia per creare un mondo nuovo, una città in pace e liberare dalla schiavitù una città intera. Solo un amore da Dio, solo un dono da Dio, solo un vero Dio può vincere tutto e donarci la vera libertà, quella del cuore. Questo è il nostro vero Dio che paga di persona e dalla croce ci dice che solo l’amore vince: il resto sono le nostre idee, il nostro modo di vivere, la nostra immagine di Dio. Non la sua.
Le braccia di Gesù inchiodate e distese per abbracciare il mondo, sono le porte del Paradiso spalancate per sempre, sono un cuore innamorato di noi, sono il perdono dato a Giuda, chiamato sempre uno dei dodici, a Pietro, a Pilato e a tutti noi. Sono l’inizio di un mondo nuovo! L’alleanza che Lui fa con ogni dolore e ogni male per trasformarlo in occasione di bene. Perché l’amato nasce dal cuore trafitto del suo Creatore e capisce che la vita è solo dono, servizio, è mani e cuore aperti per l’amico e per il nemico. Allora la croce, invece di essere odiata, rifiutata, respinta, diventa occasione di rinascita, di vita nuova, occasione di libertà, occasione per imparare a donarsi, senza misura, come ha fatto Lui.
Gesù ci insegna ad amare anche questo tempo, questa epidemia, questa angoscia che ci stritola l’anima, perché più amiamo questa situazione che viviamo e più rinasceremo, più risorgeremo, più vinceremo con le armi del servizio, del dono, del pagare di persona, dello sporcarci le mani, come ha fatto lui.
Tutto serve, tutto è grazia, se vissuto con lo stile del nostro Dio. Anche noi oggi, come tutta la Chiesa, ci facciamo silenziosi, in adorazione, siamo in ginocchio accanto a tanti fratelli in croce in un letto di ospedale o accanto a chi si prende cura di chi soffre; di fronte a tanto amore che si dona, che perdona e che alla fine vince. Sempre!
O Dio servo, Dio in croce, Dio fragile, Dio sconfitto: ogni volta che pensiamo di risolvere le cose a modo nostro fa’ che ci mettiamo in ginocchio davanti alla tua croce e impariamo da te che solo un amore senza misura può vincere, vincer ogni croce, ogni sconfitta ogni morte e far rifiorire e risorgere un mondo nuovo, una creazione nuova!
In questi giorni di isolamento forzato abbiamo fatto un po’ di pulizia in sagrestia, un po’ di ordine: sono saltate fuori stole e pianete, casule (vesti liturgiche), candelabri, quadretti ex-voto, ma nemmeno una brocca, nemmeno un asciugatoio! Sarà un caso? O sarà che li abbiamo persi per strada quella brocca, quell'asciugatoio, quel bacio ai piedi sporchi degli apostoli? Non è che abbiamo perso per strada quei gesti, quel fermarci ai piedi della gente, dei poveri, ai piedi del mondo per continuare a imitare il Maestro che ha lavato i piedi e ci ha purificato con il suo sangue? Siamo ancora la Chiesa dell’ultima cena col Maestro? Siamo ancora intorno a lui? Posiamo ancora la testa sul suo petto per cercare un po’ di intimità con lui?
Sento che Lui ci ama ‘fino alla fine’? Ma io quanto lo amo? Quanto l’ho cercato in questi giorni di chiusura in casa? Ho rincorso solo le ultime notizie, ho solo ‘girato i messaggi’ di consigli, di curiosità e di preghiere ho chiesto qualche ‘benedizione speciale’ perché ‘adesso ne abbiamo ancor più bisogno’ oppure ho chiuso gli occhi, mi sono seduto in silenzio qualche minuto con tutta la famiglia e ho chiesto al Signore di farci ancora il dono del suo corpo in croce, del suo pane spezzato , gli ho chiesto di lavarmi i piedi per essere purificato nel profondo, gli ho chiesto di imparare a lavare i piedi dei miei fratelli e soprattutto dei miei ‘nemici’ . Gli ho chiesto di ricevere in dono una brocca e un asciugatoio per diventare servo come lui? Gli ho chiesto di purificarmi non qualche benedizione di un santo più potente di altri o l’ho cercato nella sua Parola, nell'intimità con lui, nelle mani unite con la mia famiglia in preghiera, in quei gesti di servizio che mi pesano tanto?
Non potremo ricevere l’Eucarestia in questo giorno così centrali per la nostra fede: la riceveremo ancora quando potremo incontrarci! Non importa: lo sposo non ci è rubato! Ci ha lasciato alcuni doni a noi sua Chiesa (ricordiamo che gli edifici restano chiusi ma la Chiesa fatta di discepoli è aperta, è viva, è là dove un cuore credente palpita, ama, serve). Ci ha lasciato il dolore dei nostri peccati, l’angoscia per quando lo abbiamo tradito, ci ha lasciato la sua Parola, la sua presenza viva nella Chiesa, ci ha lasciato il suo corpo spezzato. Abbiamo tutto fratelli, sorelle, non ci manca niente; anzi qualcosa manca! Manchiamo noi a quella Cena, manchiamo noi nella storia, manchiamo noi quando non serviamo, non spezziamo, quando non ci facciamo prossimo, quando cerco qualche benedizione speciale e non capisco che sono io la benedizione, sono io chiamato a servire come lui, sono io inviato nel mondo per benedirlo questo mondo e annunciare che è salvato grazie al dono di Gesù a quella mensa.
O Signore, Dio pane per la nostra fame! Lava i miei piedi per purificare tutta la mia vita; siamo persi senza di te in questi giorni tristi ma sappiamo che ti possiamo incontrare vivo ogni volta che chiudiamo gli occhi, ogni volta che ti preghiamo in famiglia, ogni volta che spezziamo un po’ la nostra vita mettendo al centro Te, gli altri e non me stesso. Nelle nostre case non manchi quella brocca e quell’ asciugatoio, segno del servizio che ci purifica dal nostro peccato.
Reclusi nelle nostre case, a contatto con i soli familiari, ci sentiamo un po’ in gabbia, costretti a ritmi inusuali: cosa ci sta accadendo? Il pensiero va però a chi vorrebbe essere a casa, invece da settimane è attaccato ad un respiratore, con il solo conforto della mano di un’infermiera che trova qualche secondo per un gesto d’affetto l’unica àncora di salvezza, quando il respiro si fa pesante. Il pensiero va a chi la casa non ce l’ha o l’ha persa per un matrimonio finito o per uno sfratto. Nella fatica e nel dolore molti fratelli vivono la solitudine di Cristo nel Getsemani: ‘la mia anime è triste fino alla morte’.
Questo nostro re non si tira indietro, attraversa per primo quello che tutti noi vorremmo evitare: lo sceglie, si offre, si consegna volontariamente senza possibilità di respiratori, cure palliative, caschi per aiutare la respirazione; non ci svela perché esiste la sofferenza, la morte nel mondo: la attraversa, la accoglie, la sceglie, punto. Così anticipa tutti gli intubati, i morenti solitari, tutti i familiari che piangono un caro senza potergli dare l’ultimo abbraccio, l’ultimo bacio! Per invitarci a non aver paura: è solo l’inizio del regno, della vita, dell’abbraccio vero, quello del Padre!
Che Pasqua sarà fratelli? Innanzitutto, ci sarà la Pasqua, c’è già, c’è sempre! Da quando quel Dio uomo ha spalancato le braccia sul nostro mondo e le nostre miserie, è sempre Pasqua! L’unica vera Pasqua.
«Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te”. Ecco dove vuole fare la Pasqua quest’anno il Signore! Da te, da me, a casa tua, a casa mia! Fa Pasqua nelle mie lacrime per quell'amico che ci ha lasciato, fa Pasqua, nel dire ai miei figli che quel Dio lì mi scalda il cuore, fa Pasqua nelle telefonate che faccio a chi non vedo più da secoli, fa Pasqua quando perdono di cuore a quello là che mi ha fregato il lavoro, mi ha sbattuto fuori casa, mi ha tradito! Fa Pasqua da me per farmi capire che nell'intimità della mia anima, lui scende, c’è già, c’è da sempre, con le mie ansie, paure, miserie; era già lì non per accusarmi o giudicarmi ma per curare le ferite, per darmi un altro respiro, per farmi guarire, per darmi la bella notizia: ‘sei guarito, hai vinto il virus’…del cuore! La Pasqua la fa lui, non tu! La fa Lui perché lui solo è Dio, lui solo è da sempre nel profondo della mia intimità dove non entra nemmeno mia moglie e i miei figli, lui era già lì e io non lo sapevo. Solo ora in questa intimità, in questo silenzio, in questa ‘assenza’ di abbracci, di festa, di incontri mi accorgo che lui è lì come un Consolatore, un Amico inatteso, un vaccino potente, come un Abbraccio dopo mesi di quarantena e terapia intensiva.
Lui c’è! Questa è la Pasqua! I primi cristiani per secoli hanno vissuto la Pasqua in casa , in famiglia , dicendo ai figli: ‘Il Signore ci ha salvato dai nemici, ci ha fatto attraversare non il mar Rosso, ma la malattia , la disperazione, ci ha dato la vera speranza che la nostra vita non è persa , buttata, inutile , che non finisce tutto nel letto di un reparto infettivi, nell'isolamento di un reparto CoVid-19, nel casco per respirare! Non finisce lì.
Far Pasqua è unirmi a te Signore della vita, far Pasqua è sentirti accanto quando gli altri non ci sono più accanto a me, far pasqua è chiudere gli occhi , tenersi per mano e pregare: ‘Vieni Signore a far Pasqua da me , a casa mia; vieni a liberarmi dal peso del mio peccato, vieni a dirmi che mi accetti per quello che sono, vieni a farmi risorgere, vieni a dirmi che hai accettato la croce pur di unirti a me e donarmi quella pace, quell'intimità che nessuno mi sa donare.’
“Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!»”. Anche nel nostro terremoto di questi giorni, tra sirene delle ambulanze, campane che suonano a lutto, anche tra le mura domestiche vogliamo starti vicino mentre ‘fai Pasqua per noi’, mentre ti doni ancora in croce, mentre ci consoli e ci inviti a non aver paura, mentre ti scopriamo nel più profondo dell’anima. Proprio in questo terremoto, la tua Pasqua diventa la mia Pasqua: il dono immeritato che riservi a noi, tuoi figli.
Buona Settimana Santa, buona Pasqua non nelle nostre belle chiese, non nella liturgia del triduo pasquale, non con i rami d’ulivo in mano, non nella processione del Venerdì Santo ma nella quiete delle nostre case e dell’anima dove Cristo da sempre e per sempre è la vera Pasqua!
Cosa stiamo vivendo fratelli? Chi siamo? Cosa hai nel cuore sorella fratello? Ci assalgono paura, freddezza, angoscia. Dove sono finiti i sorrisi, le feste, gli incontri con i nostri amici? Cosa sarà di noi, del nostro futuro? Quando finirà?
Qualunque cosa sarà, qualsiasi fatto ci accade e accadrà, sono certo che ha a che fare con il Vangelo di oggi.
E con il nostro urgente bisogno di uscire dal sepolcro delle nostre paure e di toglierci le bende: siamo tutti Lazzaro. Pensiamo di essere vivi, ma siamo morti e sepolti sotto cumuli di pietre.
Certo questa è una dura prova l’epidemia, che ha messo a nudo le nostre certezze, le nostre paure, i nostri egoismi, la nostra poca fede, ma chi sa vedere le cose con gli occhi di Dio crede che Lui voglia sempre farci rinascere. Come Lazzaro!
Gesù cercava intimità, amicizia, abbracci da Lazzaro, Marta, Maria, ora viene in un momento triste, nella morte: Gesù passa anche per le nostre strade non a seminar morte ma a dare un futuro, un domani, un oltre, oltre questa vita, oltre le nostre paure! Gesù entra nella casa di Betania si ferma, ascolta, li incontra; piange sul loro dolore, Dio piange accanto ad ogni nostro dolore, persino lui piange e soffre.
Ma sa già che la sua fine è segnata , stanno già affilando le armi, è già in corso il processo a questo Messia che si permette di guarire in giorno di sabato, che chiama Dio col nome di papà, che perdona pubblicamente una peccatrice che si permette di far ritornare in vita un amico: tutti lo condanneranno nel processo più infame della storia, nessuno lo assolverà; mentre lui assolve tutti noi.
La vita e la resurrezione di Lazzaro segna la morte di Gesù! Proprio mentre dona la vita, Cristo firma la propria condanna. Quanti medici e infermieri in questi giorni in cui siamo prostrati salvano pazienti infetti dando la propria vita: la storia continua quando qualcuno dice ‘sì’ a quel grido di Gesù davanti al sepolcro di Lazzaro: ‘Lazzaro vieni fuori!’
‘Se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto’. Marta sii dispera ma poi pronuncia il suo sì, io credo in te! Sei la resurrezione e la vita. È questo ‘credo’ che fa risorgere Lazzaro, non il gesto di Cristo! È la nostra fede, il nostro sì che ci fa risorgere oggi, adesso, nel mare in burrasca, come ha detto il papa, mentre sembra che il Signore dorma, mentre lui si affida al Padre. La nostra fede ci fa risorgere già oggi, adesso, nel cuore della tempesta non più in un mare tempestoso ma tra le corsie degli ospedali, nelle case di riposo, sulle ambulanze a sirene spiegate.
Al discepolo la sofferenza non viene evitata. E la sofferenza e la morte sono passi di un percorso necessario, come il chicco di frumento che deve morire e marcire per portare frutto.
Gesù invita Marta, e noi, a credere. A credere ad ogni costo , a risorgere oggi ora : siamo risorti quando cantiamo ‘Rinascerai , rinascerò’ , quando piangiamo e preghiamo , quando ci stringiamo con i cuori, quando trasformiamo maschere da sub in maschere sanitarie , quando le fabbriche di armi producono respiratori, quando le boutique di alta moda producono mascherine, quando togliamo il nostro superfluo per fare un fondo per chi ha perso il lavoro, quando dopo, ci leccheremo le ferite a vicenda ma saremo più fratelli , quando perdoneremo quello con cui ho litigato per cretinate , pensando che ci sono ancora e magari alla prossima epidemia tocca a me ; sono risorto quando capirò quanto vale un altro giorno , un altro respiro, una preghiera, un sorriso un abbraccio, quando capisco che i giorni che potrò ancora vivere sono preziosi e non posso sprecare nemmeno un istante. Sono risorto quando entrerò nel cimitero e dirò a mio figlio: ‘Questi sono i nostri fratelli risorti, nella gioia dell’abbraccio di Dio’.
‘Lazzaro vieni fuori’: sa bene questo Dio innamorato dell’uomo che questa salvezza sarà la sua condanna eppure va fino in fondo! Vieni fuori grida a noi, lascia il tuo sepolcro, puoi risorgere già oggi e vivi non più schiavo delle tue paure, dei tuoi ‘ non cambierà mai niente, non serve a niente, non tocca a me, pensa a te stesso, è colpa dei politici, colpa di Dio, colpa dell’Europa, colpa sempre degli altri ‘.
È il momento di fermarci, Signore, di guardarci dentro, guardare gli altri con occhi nuovi, fidarci davvero di te, contemplare la tua croce e supplicarti di donarci quella fede in te per uscire dalle nostre paure, dal nostro sepolcro e vincere tutti i virus del mondo, anche quello dell’egoismo che ci chiude cuore, mente, mani. È il momento di risorgere, proprio nel mezzo della tempesta!
Dopo il deserto, dopo la luce della Trasfigurazione e dopo l’acqua viva donata alla samaritana al pozzo, oggi ci riconosciamo anche noi ciechi insieme al cieco di Gerico : solo , al buio , mendicante, ai margini! Non ha mai visto il sole o il volto di un fratello. Non possiede nulla: solo se stesso.
Il cieco non chiede niente a Gesù, eppure lui si accorge , lo osserva , si ferma . Impasta un po’ di fango con la saliva, e compie una nuova creazione : come Adamo è nato dalla terra modellata dal Creatore , così il cieco rinasce dalla terra modellata dal Cristo . Non è un semplice miracolo ma una nuova Creazione! E’ lui il nuovo Creatore!
Gesù non teme di contaminarsi compiendo un gesto nel giorno di sabato e toccando quell'impuro! Sa che Dio ha creato tutto anche il sabato per l’uomo , per la salvezza , per la sua felicità! Qui inizia un vero processo da parte dei maestri della legge al cieco che ora ci vede, anche se il vero processato è Cristo perché mette al primo posto l’uomo e non i precetti inventati dagli uomini!
Così padre Ronchi : “Ai farisei non interessa la persona, ma il caso da manuale; non interessa la vita ritornata a splendere in quegli occhi, ma la “sana” dottrina. E avviano un processo per eresia, perché è stato guarito di sabato e di sabato non si può, è peccato…
Ma che religione è questa che non guarda al bene dell’uomo, ma solo a se stessa e alle sue regole? Per difendere la dottrina negano l’evidenza, per difendere la legge negano la vita. Sanno tutto delle regole morali e sono analfabeti dell’uomo. Anziché godere della luce, preferirebbero che tornasse cieco, così avrebbero ragione loro e non Gesù.
Dicono: Dio vuole che di sabato i ciechi restino ciechi! Niente miracoli il sabato! Gloria di Dio sono i precetti osservati. Mettono Dio contro l’uomo, ed è il peggio che possa capitare alla nostra fede. E invece no, gloria di Dio è un mendicante che si alza, un uomo che torna a vita piena, «un uomo finalmente promosso a uomo» (P. Mazzolari).
E noi chi siamo? Quel cieco che viene illuminato dal tocco amorevole della luce del mondo o siamo i farisei che conoscono tutte le leggi, a memoria e le mettono anche in pratica ma non sono capaci di fermarsi accanto all'uomo, al poveruomo, accanto a chi si è perso, a chi è al buio, a chi cerca fratelli che lo aiutino a portare la croce?
In questi tempi di sofferenza qualcuno chiede: ‘Dov'è la Chiesa?’ In sagrestia, in casa, in ginocchio? La Chiesa è dove un credente si prende cura del fratello : accanto a un ammalato, in una terapia intensiva, accanto ad una famiglia colpita da un lutto , vicina col cuore , con le parole , non con il corpo. La Chiesa è dove un fratello si lascia illuminare da questa luce e la dona come può.
Durante una benedizione di un fratello che ci ha lasciato , dicevo ai familiari: ‘ Forse il rimpianto più grande in questo frangente è il fatto che non avete potuto essergli accanto negli ultimi istanti di vita. Cercate di pensare piuttosto a quanto vi ha donato nella sua vita, ai gesti di ogni giorno : un sorriso, uno scherzo, tanta fatica , tanto amore donato senza misura. Questa è la luce che vi ha donato e che voi gli avete restituito; nessun rimpianto allora! Sarete stati lontani col corpo ma non con il cuore. Quella luce ora lo accoglie nel regno di Dio’ .
Al termine il cieco afferma : ‘Io credo Signore’ . Dalle tenebre viene alla luce vera; chi presume di essere nella luce, in realtà, brancola nel buio più totale.
Grazie , cieco nato, perché anche a noi chiedi : ‘Volete forse anche voi diventare suoi discepoli?’ Sì, lo vogliamo, perché anche se da tanto tempo gli stiamo dietro, tuttavia scopriamo di essere ancora ciechi, nel cuore. Prendici per mano e accompagnaci a Siloe per essere inviati, inviati a cercare quella luce vera e ad accoglierla con gioia.
Gesù e una donna straniera, sguardi che si incrociano, sguardi che vanno dritti al cuore: schemi ribaltati. Impensabile un Rabbì che si ferma a parlare con una donna; ma Lui è libero! Il Maestro non sta su una cattedra, o su un trono, non mantiene le distanze, lui che ha annullato la distanza tra il cielo e la terra: solo il muretto di un pozzo li divide, ma ben presto li unirà.
Gesù ha uno sguardo privilegiato per le donne, comprende la loro sensibilità, la dolcezza ma anche la sofferenza e le rivolge l’invito: ‘Dammi da bere!’ Il Figlio di Dio non ha vergogna di mendicare un sorso d’acqua, Lui l’acqua viva per la vita eterna! «Vai a chiamare colui che ami». Il livello si alza, o meglio si approfondisce.
Gesù non istruisce processi, non giudica e non assolve, va al cuore. Non cerca nella donna indizi di colpa, ma la difende da tutti gli sguardi accusatori, cerca frammenti di bene; e parte da quelli per donarle l’acqua viva.
Chissà, forse quella donna ha molto sofferto, forse abbandonata, umiliata per ben cinque volte. Forse ha il cuore ferito. Forse indurito, forse malato. (Noi siamo capaci di immaginare quanto può aver sofferto un fratello che si è comportato male?) Ma lo sguardo di Gesù si posa non sui peccati della donna, ma sulla sete di amare e di essere amata.
Non le chiede di ‘darsi una regolata’, non le punta il dito addosso prima di affidarle l’acqua viva; non pretende nemmeno di decidere al posto suo, il suo futuro. Lui è il Messia che non si sostituisce, non pretende, è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto’. E a mostrare da dove sgorga quell’acqua viva!
Lui è maestro di nascite, e di ri-nascite! Non rimprovera, offre e si offre: se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice ‘Dammi da bere’. Fa vedere la bellezza che c’è ancora nella donna, quella bellezza che nessuno mai le aveva riconosciuto: solo la bellezza del corpo interessava ai suoi 5 amanti; Cristo è il solo a mostrarle la sua bellezza ‘dentro’, nel cuore. Lui è il solo che tira fuori il meglio di noi: anche noi abbiamo tanti amanti che tirano fuori il peggio di noi!
‘Io ti darò un’acqua che ti permetterà di diventare addirittura sorgente per i tuoi fratelli!
Gesù: lo ascolti, ti disseti con la sua acqua viva e nasce in te una fonte che zampilla per la vita eterna. Per gli altri. Per il mondo!
Non le servirà più la brocca, tanto preziosa prima, ora diventa inutile: una fonte che zampilla per la vita eterna non ha bisogno di brocche d’argilla ma ha bisogno di cuori generosi, di sguardi accesi, di mani strette, di abbracci ora vietati, di cui solo ora comprendiamo la preziosità!
E dopo quell’incontro, attorno alla samaritana nasce una comunità di discepoli, di credenti stranieri. «Venite a vedere, c’è un Maestro al pozzo uno che ti dice tutto quello che c’è nel cuore, che mi ha illuminato la vita e scaldato il cuore: non ho mai incontrato un uomo così! Non condanna, salva; non accusa, perdona; non chiede, regala. Solo ora ho capito i miei sbagli ma senza rimpianti: da ora la mia vita rinasce».
La donna si è lasciata trasformare da quell’incontro, da quel pozzo, da quell’acqua: noi invece ci teniamo ben distanti da lui, abbiamo imparato l’arte di neutralizzare la sua acqua, di rendere innocua la sua Parola, l’arte di rimandare a domani, tutto sempre a domani. Invece l’incontro con lui è sovversivo, è potente, non lascia nulla come prima!
O Signore, maestro, acqua viva: perdona se scappiamo via dal tuo pozzo, ci fa paura la tua proposta forte e alta. Accampiamo mille scuse, il lavoro, il tempo, gli impegni. Distratti e persi, vaghiamo senza meta. Scava dentro di noi un pozzo, profondo, solido: e poi fa’ che lo riempiamo non delle solite nostre parole e cose inutili ma di Te, della tua Parola, del tuo sguardo fraterno. Noi stessi diventeremo acqua viva, parole, gesti, abbracci, sorrisi per chi è alla deriva: e sarà comunità, sarà incontro, sarà lo squarcio della luce sul Tabor, sarà inizio della Pasqua vera, sarà fine di un incubo, sarà salvezza , sarà finalmente festa per sempre.
Dal deserto di pietre e fame, (prima domenica) al monte della luce e della speranza (seconda domenica); da polvere e cenere, ai volti vestiti di sole. Per dire a tutti noi: coraggio, il deserto non vincerà, ce la faremo, inizierà quella vita nuova, anche per noi ci sarà quella luce sfolgorante.
Così anche per Abramo nel deserto di una vita finita: ‘Parti, alzati, ricomincia’: non sei mai tranquillo con questo Dio sempre avanti sulle nostre strade e sui nostri progetti; sempre avanti, troppo avanti! Non conta pensare alla meta ma sentirsi in viaggio, in cambiamento, in movimento con i piedi e con il cuore! Dio si fa vicino a chi percorre le strade dell’uomo, le strade degli ultimi, lui che per gli ultimi ha percorso la strada della croce!
Dio , il Dio del deserto , come quello del Tabor, invece non sopporta gli arrivati, i perfetti che ti guardano dall'alto in basso, quelli che vedono gli altri come un gregge da dominare o un (piccolo) esercito da comandare; si volta dall'altra parte con chi si sente arrivato, con chi detiene le chiavi , con chi ha la verità in tasca; non sopporta chi ha già le risposte preconfezionate per ogni problema!
La fede, come quella luce, come il deserto non ti protegge, ti spoglia: non è una patente che ti tranquillizza ma un invito a cercare nuove strade, nuovi paesi, nuovi volti, nuove storie che ti daranno molto e ti faranno capire la vera storia che conta, quella del Vangelo di Gesù.
‘Gesù prese con sé tre discepoli e salì su di un alto monte’. Fidati di questo Dio che vuol portarti in alto dove vedi le cose e i volti con il suo sguardo: la fatica sarà ricompensata, abbondantemente! Tutto si illumina: le vesti di Gesù, le mani, il volto sono la stessa luce del cuore di Dio. I tre guardano, si emozionano, non comprendono il mistero: davanti a loro si è rivelato lo splendore di un Dio luminoso, bello, affascinante. Un Dio da godere, finalmente, un Dio che ti stupisce. Un Dio che in ogni figlio ha seminato la sua infinita bellezza.
‘Che bello qui, non andiamo via…’ lo stupore di Pietro nasce dalla sorpresa di chi ha potuto sbirciare per un attimo dentro il Regno, nel Paradiso e non lo dimenticherà mai più. Vorrei per me la fede necessaria per ripetere queste parole: è bello stare qui, su questa terra, su questo pianeta minuscolo e bellissimo; è bello starci in questo nostro tempo, che è unico e pieno di germogli di vita. È bello anche se a volte devi passare in mezzo al deserto di un letto d’ospedale dove segui giorno per giorno tuo fratello in coma, o di una solitudine forzata di un matrimonio che è ormai un lontano ricordo degli sguardi degli inizi, o del fallimento di progetti di amicizie radiose, finite in un tradimento improvviso, o in mezzo al deserto di mancanza di lavoro, o di delusioni per quell'amico su cui avevo giocato la mia vita.
Abbiamo bisogno di quella luce, di quello squarcio di paradiso per continuare nel nostro deserto, abbiamo bisogno di fermarci e contemplare, e sapere che la nostra condizione finale non sarà la sabbia infuocata ma la luce radiosa del regno dei cieli.
La nostra condizione definitiva non è la salita sul monte, nemmeno un deserto, ma una pianura alla quale ritornare splendenti di quella luce. Dalla nube viene una voce che traccia la strada: «Questi è il figlio mio, l’amato. Ascoltatelo». L’ascolto ci salva, la voce che ci chiama, ci invita!
Sono io, sei tu quel figlio amato: eravamo dispersi nei nostri deserti, nelle nostre vie senza uscita, nei nostri dubbi e lui ci ha ridato un cielo, una speranza, una voce da ascoltare, un cammino da seguire.
Anche noi scendendo dal monte e ritornando tra i nostri fratelli non diremo a nessuno ciò che abbiamo incontrato: parleranno i nostri occhi, i nostri sguardi, le nostre mani aperte, il nostro ‘farci prossimi’, il nostro desiderio di ‘fare nuove tutte le cose’ partendo dal nostro cuore.
Di solito la Quaresima ci appare lugubre, triste, sofferta e sofferente: invece è bella, forte, decisa, un po’ in salita, silenziosa. Stare con Cristo, questo è il senso, rinunciando a ciò che non è Lui. È forse triste un genitore che rinuncia a una gita per stare accanto al figlio ammalato? È forse triste un ragazzo che sta vicino alla fidanzata aiutandola in lavori pesanti a casa? È forse triste chi si sveglia all'alba e salta giù dal letto per seguire la squadra del cuore?
Anche noi non siamo tristi, quando posiamo il capo sul petto del Maestro, vera luce per il nostro buio. I canti della Quaresima dovrebbero essere di festa, non tristi e in tonalità minore!
Tutto riparte, ricomincia: la primavera e il cammino del credente; la limitazione di questi giorni in seguito all’ epidemia possono costituire una pausa di riflessione: Dio c’è sempre nella preghiera, in famiglia, nei gesti di carità, nella Parola che ci è donata; tocca a noi riscoprirlo! La quarantena del cristiano si chiama Quaresima : quarantena dal peccato , dall'ipocrisia, dall'individualismo.
Gesù è tentato nel deserto : il demonio , illusionista , si presenta bello , allettante, addirittura affascinante , usa la stessa Bibbia per trarre in inganno, ti entra in casa dalla porta principale , non scardinando la finestra sul retro ; ti presenta il biglietto da visita del simpatico agente di una compagnia di servizi, ti adesca e ti trafigge , alle spalle. Ti toglie la libertà e la dignità, ti rende schiavo, incapace di districarti.
‘Trasforma le pietre in pane ‘: Gesù non ha chiesto il pane per sé ma per gli altri, per i fratelli, anzi si è fatto pane per la vita del mondo.
‘Buttati giù e gli angeli ti sosterranno’: l’angelo è l’annunciatore delle opere di Dio, non il servo dei capricci del demonio.
‘Adorami e tutto sarà tuo’: Adora me, segui la mia logica, la mia politica. Prendi il potere, occupa i posti chiave, imponiti. Solo così risolverai i problemi, non con la croce. La storia si piega con la forza, non con la tenerezza. Vuoi avere gli uomini dalla tua parte, Gesù? Assicuragli tre cose: pane, spettacoli e un leader, e li avrai in pugno. Ma per Gesù ogni potere è idolatria. Lui non cerca uomini da dominare, vuole figli che diventino liberi e amanti.
‘Allora gli angeli si avvicinarono e lo servivano’. Se non vuoi dominare ma servire, allora gli angeli stessi di Dio ti serviranno.
La storia si ripete da quando nel paradiso terrestre anche Adamo ascolta il tentatore: ‘ Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio…’. Tutto sembra iniziare da una proibizione, da un ‘no’; in realtà nel versetto precedente sta scritto: ‘ Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino…’ Sembra un Dio che dice: ‘Vedi come è bello tutto ciò? Peccato sia proibito, non è per te ‘; sembra un Dio tentatore ma in realtà crea un giardino, un Eden che vuol dire ‘piacere’, e offre i frutti all'uomo.
Siamo bravi a lamentare quell’uno che ci è tolto ma non apprezziamo il mille che ci è offerto: troppo sazi per accontentarci e accettare di essere creature e non creatore, figli prima di padri, in cammino e non ancora alla meta! Non ci rendiamo nemmeno conto che nelle nostre mani c’è il vero frutto che ci nutre : Gesù, il suo corpo, la sua vita donata , effusa , sprecata per amore.
Sia nella Genesi che nel Vangelo , come in Paolo la posta in gioco è alta: o illusi di diventare Dio , ingannati dal diavolo o figli amati del vero Dio che ci lascia liberi , liberi anche di tradirlo, rifiutarlo e metterlo in croce.
“Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio…” Questa la proposta di satana! Ma è arrivato tardi con i suoi inganni, perché Cristo ha fatto molto di più: con la sua morte e resurrezione non diventiamo come Dio ma diventiamo Dio! Ogni volta che ci nutriamo del vero pane, diventiamo sacramento, diventiamo pane spezzato, diventiamo Dio donato perla fame del mondo.
Mi dispiace satana ma le tue lusinghe non mi toccano più: da quando il Padre mi ha regalato suo figlio per fare di me un figlio e da quando mi ha detto che lui agisce in me, mi ha affascinato e ri-creato. Sei arrivato tardi: ti ha preceduto il Cristo nato, morto, risorto per regalarci non promesse vuote ma la gioia di entrare nel suo regno già ora e di trasformare questa terra in un paradiso.
‘Ma io vi dico’. Gesù entra nel progetto di Dio non per rifare un codice, ma per rifare il coraggio del cuore, il coraggio del sogno.
Come spesso accade, di fronte alle pagine più sconvolgenti del Vangelo, che il Signore indirizza ai suoi e a noi, tutto tace, tutto scivola via, tutto resta come prima. Un po’ ingessati, un po’ abituati, un po’ delusi (‘Dio non fa mai niente…’), un po’ come quando rivediamo un film già conosciuto, di cui conosciamo il finale: sappiamo già come va a finire, conosciamo tutte le battute: non mi fa provare emozioni!
Invece Lui è il Dio nuovo, il Dio in cammino, il Dio del ‘Ma io vi dico’: non il Dio che rinnega la legge e i profeti ma il Dio che te la ridona nuova, per renderti ‘nuovo’. Ecco, oggi vogliamo lasciarci almeno scalfire, almeno mettere un po’ in crisi dalla sua Parola: non a rivedere quel vecchio film o a rispolverare quella vecchia Bibbia che mi ha regalato la nonna prima di morire ma come un fiore regalato a San Valentino, un regalo inatteso, come una festa fantastica con musica e tanti amici ritrovati, come un ritorno a casa dopo tre mesi di ospedale!
‘Vi è stato detto, ma Io vi dico? È lo stile di Dio: ti è stato detto di non uccidere, ma anche la parola uccide, eccome! Prova a pensare a quello là che ti ha calunniato…. Ti sei sentito morire dentro! Quella Parola ti ha ucciso, dentro, e sei rinato solo quando qualcuno ti ha sussurrato parole di vita, di speranza.
‘Vi è stato detto di non commettere adulterio ma io vi dico’ che già il desiderare male un uomo, una donna, ti porta fuori strada, è l’inizio della fine, al punto che poi non riesci più a fermarti e non sei più capace di amare davvero’.
‘Se presenti la tua offerta all'altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te (non dice se tu hai qualcosa contro tuo fratello) lascia lì il tuo dono …’: le nostre chiese dovrebbero vuotarsi a questo punto, dovrebbe esserci un fuggi fuggi, prima di ritornare all'altare!
Insomma Gesù vuol dirci che con lui inizia la legge nuova: non più una religione fatta di regole da rispettare se non ti aspetta il castigo tremendo ma una fede, un amore , un cammino verso di lui e verso gli altri; la differenza è notevole : come la differenza che c’è tra un contratto di lavoro e un fidanzamento ( anche se oggi non si usa più questa parola) , tra un tavolo dove lavori con 2 colleghi che ti sopportano a malapena e il tavolo della pizzeria dove ridi e scherzi con i tuoi amici; come la differenza tra tornare in albergo quando sei per un mese in trasferta per lavoro e tornare a casa, nella tua famiglia, al caldo dopo una giornata fuori al freddo! Questa è la fede: l’incontro con un Dio nuovo che ti fa nuovo.
Un ragazzo di Cremona viene preso in giro, deriso, umiliato dai coetanei, oggi si dice bullizzato: sta male, vive giorni di angoscia, terribile, si sente solo sebbene la famiglia sia presente ma in quei momenti le parole si seccano in gola e non esce niente, solo gli occhi parlano. Ma grazie a qualche amico ha il coraggio di reagire non insultando, ma con garbo, con la forza delle idee e di chi sa di stare dalla parte giusta: allora fa un video su TIC TOC e fa capire che lui è il vero vincitore, lui è grande non quei ragazzi tristi e meschini che lo volevano calpestare la sua dignità. Il video ha già un milione di visualizzazioni. Vi è stato detto di rispondere con la stessa moneta, ma io vi dico: Sii superiore, tira fuori il meglio di te, fai capire che c’è un altro modo di vivere!
In un ritiro per noi preti, una teologa ci raccontava la sua storia personale: sposata con una figlia che all'età di 15 anni si ammala di leucemia e nel giro di un mese muore; il baratro, la disperazione , poi l’incontro con un’associazione e una proposta ‘folle’, pazza da parte di un amico: ‘Perché non adottate un bambino?’ lì per lì la voglia di scappare via, gridargli che è pazzo, ‘con quello che ci è accaduto’! Poi quella parola di Gesù li ha fatti riflettere: ‘E se fosse la svolta? Se fosse il modo di ricominciare a vivere, a risorgere? ‘ E così è stato: ma un’altra proposta folle le hanno fatto quell'amico: ‘ Ci sono quattro fratelli romeni orfani in un istituto che attendono una famiglia, chiedono di stare insieme’. La signora ci racconta che appena arrivata sul viale dell’istituto la bambina le è corsa incontro chiamandola ‘MAMMA’, lei l’ha presa in braccio e la bambina si è addormentata subito: erano cinque giorni che non dormiva perché doveva aspettare la mamma!
Vi è stato detto che un dolore atroce è la fine dell’amore anche della coppia, la fine della vita, la fine del mondo, ‘ma Io vi dico’ che se ti fidi del Dio nuovo, la tua vita fiorisce, rinasce, risorge e profuma del profumo stesso di Dio.
Premessa: un Vescovo durante la predicazione degli esercizi spirituali ai preti, parlando dell’omelia, disse: ‘ Ricordatevi che la vera omelia è quella che fate dal lunedì mattina al sabato sera con la vostra vita!’
‘Voi siete sale, voi siete luce’: sale che conserva, che mantiene, che ti custodisce in te le parole e i gesti che Dio ti dona sempre; luce che diffonde, che mette in risalto, che da colore e calore alle cose, le fa esistere, luce che ti fa esistere nel cuore di Dio.
La faccenda è molto seria: vuol dire che dipende da noi se il cibo nel mondo è buono o insipido, dipende da noi se c’è più buio, più tenebra o più luce intorno a noi. Siamo bravi a volte a maledire le tenebre e a scovare chi vive nelle tenebre magari puntando il dito e accusando il male, il peccato che qualcuno compie! Quel dito puntato è un insulto alla vita, è uno schiaffo dato a Dio, è un rinnegare il nostro Battesimo, è una bestemmia: questa è la vera bestemmia, quando punto il dito per accusare un fratello e per giustificare me stesso. Non siano altrettanto bravi ad accendere qualche piccola luce, qualche segnale che il fuoco c’è ancora, che non si spegne l’amore, che Dio non si spegne mai e che neppure il cristiano si può spegnere perché il battesimo ha acceso in lui una luce radiosa, un fuoco che non si spegne, un sole che vince ogni nuvola.
Una ricetta c’è per essere luce e sale: meno parole e più gesti; san Francesco diceva ai suoi: ‘ Andate ad annunciare il Vangelo, se serve anche con le parole ’. Le parole sono un di più, rovinano a volte il messaggio, non sanno spiegare bene: meglio una carezza, un abbraccio, il sedersi accanto per condividere gioie e angosce, meglio il silenzio di fronte e a certi dolori.
‘Ma se il sale perdesse il suo sapore con che cosa lo si potrà rendere salato?’ C’è anche la possibilità di essere insipidi e di essere tenebra: quando rifiutiamo la luce della Parola e i gesti dell’amore, quando non comunico ciò che Dio ha seminato in me, quando tengo tutto per me, oppure quando penso di essere io la sorgente della luce. Sono tenebra quando vedo solo il male negli altri, quando metto davanti solo i loro difetti senza accorgermi dei miei.
Ma il piatto forte di questa domenica è nella prima lettura: Isaia scrive:
“Il digiuno non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell'introdurre in casa i miseri, nel vestire chi è nudo? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. “
Non dice la loro ferita, cioè dei miseri, degli affamati, di chi è nudo, no:’ la tua ferita si rimarginerà’! Se doni, se sei luce donata e sale che si perde nella pasta e la trasforma, le tue ferite guariranno! Dunque, se hai delle ferite nel cuore e soffri e vuoi guarire, dividi il tuo pane, invita a casa i miseri, vesti chi è nudo! I nostri rimedi sono fallimentari: più diffondi luce e più sei sale saporito e prima le tue ferite guariscono! Guarisci altri e guarirà la tua ferita, prenditi cura di qualcuno e Dio si prenderà cura di te; produci amore e Lui ti fascerà il cuore, quando è ferito. Illumina altri e ti illuminerai, perché chi guarda solo a sé stesso non s’illumina mai. Il Vangelo di Gesù ci offre la terapia giusta: non chiuderti, leccandoti le ferite e pensando che tutto il mondo e anche Dio ce l’hanno su con te ma apriti alla vita, decolla, prendi il largo, diventa luce e diventa sale per illuminare e guarire: e il primo ad essere illuminato e guarito sarai tu!
Tu ci prendi sul serio Gesù, ti fidi di noi anche se noi non ci fidiamo di te! Ci inviti ad essere noi la tua luce da diffondere nel mondo, ci inviti ad essere sale per rendere saporita questa vita: non ci chiami servi ma amici, non candela che si lascia accendere ma luce, fuoco, fiamma, non la pasta insaporita dal tuo sale ma ‘sale’. Ci prendi sul serio per trasformare questo mondo e farlo diventare un altro mondo; ci fai fare cose ‘dell’altro mondo’, perché tu dall'altro mondo sei venuto ad abitare qui con noi! Da incendiario mi fa diventare pompiere. Un Dio così mi affascina e mi fa crescere perché mi chiama ‘figlio’, guarisce le mie ferite ogni volta che accolgo il suo invito a diventare sale e luce nuova.
Tutto comincia quando sembrava che tutto fosse finito: ‘Giovanni era stato arrestato’. I conti erano stati regolati, adesso non poteva più dar fastidio e, secondo Erode, anche i suoi discepoli si disperderanno! La sua voce fastidiosa e insolente finalmente è messa a tacere una volta per tutte (queste sono le soluzioni radicali che piacciono tanto a noi)!
Ma Erode non aveva fatto i conti con Dio: non aveva capito che dietro tutto questo non c’era un progetto dell’uomo ma di Dio! E Dio riparte con un giovane rabbi, solo, ricomincia, ma ricomincia a modo suo là dove nessuno avrebbe iniziato: dalla Galilea delle genti cioè dei pagani, nel luogo e nel tempo meno opportuno: Dio riannoda le fila della storia! Una regione periferica, sospetta, a rischio a motivo delle contaminazioni pagane. Gesù non si apposta là dove brilla già la luce ma dove regnano le tenebre, l’errore, l’odio, la morte per essere luce, vita, speranza, gioia.
Siamo davanti al messaggio sconvolgente del Vangelo. La bella notizia non è «convertitevi», la parola nuova e potente sta in quel piccolo termine «è vicino»: il regno è vicino, e non lontano; il cielo è vicino e non perduto; Dio è vicino, è qui, e non al di là delle stelle ma nel tuo cuore, nelle tue mani nei tuoi passi! Tutti pensavano agli dei greci o romani così maestosi, così forti, lontani nell'Olimpo: dei tiranni che dominavano gli uomini indegni persino di guardarli in faccia; qualche dio scendeva sulla terra o per punire gli uomini insolenti o perché si era innamorato di una fanciulla. Per il resto erano là nel loro cielo a tessere il destino degli uomini: e quando decidevano loro tagliavano qualche filo, spezzando la vita di un uomo! Il Dio di Gesù sconvolge ogni piano: Ti parla di passione, di incontro, di una festa senza fine, ti annuncia la guarigione da una malattia, il ritorno a casa di tuo figlio, il perdono che hai tanto cercato, Lui è il Dio accanto!
Convertitevi allora significa: accorgetevi! Giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. La notizia bellissima è questa: Dio è all'opera, qui tra le colline e il lago, per le strade di Cafarnao e di Betsaida, per guarire la tristezza e il disamore del mondo. E ogni strada del mondo è Galilea, anche le nostre strade, le nostre case. Noi invece camminiamo distratti e calpestiamo tesori preziosi, passiamo accanto a gioielli e non li sappiamo apprezzare.
‘Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli che gettavano le reti in mare’. Gesù cammina, ma non vuole farlo da solo, ha bisogno di donne e uomini che gli siano vicini (Luca 8,1-3), che mostrino il volto bello, fiero e luminoso del regno e della sua forza di comunione. E li chiama ad osare, ad essere un po’ folli, come Lui. Lui comincia non solo nei tempi e luoghi sbagliati ma anche da uomini sbagliati, da quelli che noi avremmo scartato subito al provino per diventare discepoli del Maestro! Lui non va a cercarli nelle accademie, nelle università, nelle scuole degli scribi, nei circoli di ‘esperti’: lui li cerca gli ultimi, gli impuri, i non perfetti, gente da niente, gente senza volto, analfabeti o quasi. Non servono esperti per andargli dietro, non c’è la laurea per diventare discepoli di Cristo, non c’è la medaglia o un diploma da appendere in studio o il titolo da esibire su biglietti da visita, non c’è il pedigree che dichiara che sei della razza giusta: lui cerca un cuore che sappia amare, cerca un sorriso da donare, cerca dei peccatori convertiti. E non consegna loro uno statuto, una regola, un bel libro da studiare ma consegna sé stesso, un corpo, una vita, un pane, il sangue e il precetto dell’amore: non viene a pretendere una tariffa, un prezzo, delle condizioni, ma viene a donare e a donarsi, in croce, per sempre!
Dopo Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, tanti lo hanno seguito, un po’ folli, innamorati, salvati, cercati per reinventare una vita, per vivere liberi, per prendere forza dal suo pane e dalla sua Parola: oggi al posto di Pietro e compagnia, nel Vangelo voglio scrivere il mio nome, scrivi il tuo nome: è una gioia seguirti Signore, lasciare qualche rete rattoppata , lasciare un po’ di attenzione solo a me , per allargare le braccia al mondo intero; seguendoti, è più quello che trovo rispetto a quello che lascio, è più quello che mi affascina rispetto a ciò che lascio alle spalle: mi dà forza, mi rialza da ogni caduta.
Forse anche Pietro, Andrea Giacomo e Giovanni pensavano di fare un affare seguendoti, magari pensavano a un nuovo lavoro, a un contratto a tempo indeterminato, forse era solo curiosità o forse il desiderio di ‘sedere uno alla destra e uno alla sinistra’: io so soltanto una cosa: in mezzo a tante tempeste, finalmente ho capito che l’averti incontrato non è stato un caso, o una disgrazia, o un’avventura o una scelta solo mia, ma è stato l’ affare migliore della mia vita!
Sono passati 40 giorni dal Natale: questa festa si inserisce nella tradizione ebraica che vedeva nel figlio un dono da presentare a Dio ringraziandolo; le cose più importanti nella vita si attendono, si ricevono, con le mani aperte verso il cielo. “Non meritiamo nulla Signore, tutto è tuo dono”: ecco perché riceviamo l’Eucarestia in mano: siamo mendicanti! Invece il diritto romano prevedeva che il padre avesse diritto di vita e di morte sul figlio, pensate un po’ la novità del Vangelo!
Giuseppe e Maria offrono doni da poveri: 2 colombe e il dono più prezioso del mondo: un bambino! Il senso lo capiamo bene: ‘questo figlio Signore non è nostro, è tuo! A noi affidi il compito di educarlo, curarlo, amarlo perché ti incontri un giorno come noi ti abbiamo incontrato; vogliamo accompagnarlo nel mondo per fargli capire il tuo progetto su di lui. E aiutarlo a seguirlo!
Non sono i sacerdoti, i maestri della Legge ad accoglierlo ma due vecchi, due laici senza ruolo ufficiale: è Dio che si mostra ai semplici, a chi lo attende con mani e cuore spalancati; lui è di tutti, non dei migliori e dei perfetti ma di chi lo cerca con cuore sincero per una vita, come i vecchi Simeone e Anna!
Alcune parole chiave: Caduta: questo Dio fa cadere non l’uomo ma le sue maschere, le sue ombre, il suo peccato e lo fa rinascer uomo nuovo! Vuol far cadere le mie falsità e ipocrisie per risplendere della sua luce. Seconda parola chiave: segno di contraddizione: lui contraddice le nostre vite spente con la sua luminosa; contraddice i nostri silenzi con la sua Parola di vita, contraddice le nostre miserie con la sua bellezza! Terza parola: ‘E’ QUI PER LA RESURREZIONE!’ per lui nessuno è perduto, nessuno è irrecuperabile, nessuno è lontano! È possibile sempre iniziare ad essere nuovi, risorti! È una mano certa che ti rialza ogni mattina, è un fratello sempre pronto ad ascoltarti, è un amico che non ti gira mai le spalle!
Gesù presentato al tempio non è solo figlio di Maria e Giuseppe: è figlio nostro, ci è affidato perché ne abbiamo cura. Dio si affida alle nostre povere mani sporche per entrare nel mondo e incontrare ogni uomo! Se non è un Dio meraviglioso questo!
Riporto un passaggio dell’omelia di mons. Giulio della Vite: Oggi siamo chiamati a prendere posto di Simeone e Anna, come custodi della luce e come illuminati. Il modo per farlo è quello di vivere come i girasoli. I girasoli nel cercare la luce realizzano sé stessi crescendo in bellezza e in forza: continuando a guardare il sole pian piano gli assomigliano nella forma e nel colore, in ciò che sono e in ciò che fanno. Quando invece è il grigio che circonda e imprigiona, noi, come loro, ci ritroviamo a testa bassa, ripiegati su noi stessi. Un accartocciarsi che fa appassire. Il girasole non si chiude mai nella rassegnazione: al primo pallido raggio si muove, gira, cerca, insegue la luce disponendosi al cambiamento, cercando nuove opportunità, nella costanza di mettersi ogni giorno in discussione per stare a testa alta, mendicante di cielo. Il girasole non si chiude mai nella frustrazione perché si lascia amare, si lascia accarezzare e scaldare. Il girasole si apre sempre invece, giorno dopo giorno, cercando di fare sue le qualità del sole: luminosità, colore, calore, magnetismo, vivacità, energia che trascina il mondo, forza che fa crescere, positività che apre a sorrisi e libera dalle tane buie.
Pensando al dono della vita, in occasione della giornata per la Vita:
È faticoso frequentare i bambini. Avete ragione.
Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello:
abbassarsi, inchinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto che dobbiamo innalzarci fino all'altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli!
Al posto di ‘Ecco l'agnello’, avremmo preferito certo qualche altro animale che ci assomiglia di più! Ecco uno forte come un leone, o astuto come un serpente o sgobbone come un elefante o al limite, fedele come un cane! Ma proprio, debole, indifeso come un agnello ci piace poco, non si addice con i nostri tempi: oggi c’è bisogno di farsi valere, di avere delle alleanze con quelli che contano, bisogna avere i mezzi di comunicazione, magari una banca, qualche politico dalla nostra parte, ci sono troppi problemi nel mondo, bisogna avere gli agganci, le amicizie giuste per affrontarli. Altro che agnello! E concludiamo, come spesso facciamo che la logica del Vangelo andava bene 2000 anni fa: oggi i tempi sono cambiati, ci vuole ben altro se non vogliamo lasciarci sopraffare, se non vogliamo che la Chiesa (leggi: ‘noi’) venga soffocata dal mondo.
Se poi pensiamo alla favola di Fedro del lupo e dell’agnello che bevono al torrente…; sfido io, potendo scegliere, chi ci sta a essere agnello, anziché lupo!
Giovanni ci presenta Gesù come l’agnello senza macchia condotto al macello senza colpa né peccato: anzi porta su di sé i peccati di coloro che lo uccidono. È l’Innocente che si addossa colpe che non ha. Sembra un controsenso: perché fa così? Non è giustizia, diciamo noi.
Da Auschwitz in poi il problema del dolore innocente si pone in modo ancor più evidente: quanto dolore, quanta sofferenza atroce ingiusta, innalzata verso il cielo e il mondo si è chiesto: perché? Chi ha voluto ciò? Chi l’ha permesso? Perché l’uomo è capace di tanto? Sembra di essere in un processo ma sul banco degli imputati c’è la fede, c’è Dio; qualcuno gli chiede: ‘Perché hai permesso tutto questo?’ Dov'eri, mentre gli innocenti morivano nelle camere a gas?
La ragione qui, o protesta o si ferma e non sa dire nulla; il dolore degli innocenti è qualcosa di troppo puro e misterioso per poterlo gettare in pasto alle nostre spiegazioni teologiche o filosofiche! Ho imparato una cosa dalla storia di Giobbe, il giusto messo alla prova da satana, fino a perdere tutti i beni, i figli, la casa: ho imparato a non cercare spiegazioni come fanno gli amici di Giobbe, a non cercare di descrivere la sofferenza e il castigo, senza toccarla con un dito! Alla fine della storia Giobbe viene approvato e ricompensato da Dio nonostante i suoi ‘perché’? e le sue domande e invece dà torto a quelli che hanno parlato senza conoscere alcuna sofferenza.
Di fronte al dolore, alla morte ingiusta Gesù cosa fa? Si ferma, si commuove, piange e…prega! Questa è la strada da seguire: fermarsi, condividere le lacrime, piangere e pregare.
La storia di Anna Frank, la ragazza ebrea che ha scritto il famoso diario nel campo di sterminio di Auschwitz, è emblematica! Per due anni è rimasta rinchiusa in una soffitta per sfuggire ai nazisti: le bastava contemplare attraverso una fessura l’azzurro del cielo o sentire il profumo della primavera per inneggiare alla vita e per lodare Dio. Qualcuno che ha scritto di lei, ha detto che il suo dolore è un ostacolo insormontabile a credere in Dio! Non è l’incapacità di spiegare il dolore, che fa perdere la fede ma la perdita della fede che rende inaccettabile il dolore!
Come afferma Ivan del romanzo ‘I fratelli Karamazov’ “al mondo c’è un Essere che può perdonare ogni colpa, ogni peccato, Gesù “che ha accettato di subire un castigo non meritato, la conseguenza dei peccati altrui. Gesù non è venuto a darci spiegazioni erudite e sagge sul dolore innocente ma in silenzio l’ha preso sulle spalle e l’ha accettato fino alla croce! Ma è andato oltre: accettandolo fino in fondo, da strumento di morte l’ha trasformato in occasione di redenzione, di salvezza! Dopo il peccato, la vera grandezza di una persona si misura da quanto rifiuta il male e accetta sulle spalle le colpe di altri. Questa logica del giusto che non pecca ma accetta di subire le conseguenze dei peccati di altri avvicina a Dio, cambia questo mondo, trasforma il male in bene, si comporta esattamente come Gesù in croce.
Ecco chi è l’Agnello senza macchia: quello che paga per noi, col suo sangue per i nostri peccati e ci invita a seguirlo e ad offrire i nostri corpi come sacrificio spirituale a Dio gradito! Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Quello che agli occhi del mondo è il più grande scandalo – il dolore degli innocenti – nelle mani di Dio diventa la perla preziosa, l’occasione per salvare l’umanità!
Allora la fede, di fronte al dolore innocente, ci invita a non chiederci il perché ma a guardare quello che può nascere dopo: un futuro di amore, di perdono, di ricerca della fede per capirci dentro qualcosa. Non dovremmo chiederci: ‘Cosa ho fatto di male per meritare questo dolore?’ Ma: ‘come posso seguire Cristo crocifisso in questo momento di sofferenza? Come posso essere discepolo per la mia salvezza e quella di tanti fratelli?’
Quante famiglie sopportano ammalati, portatori di handicap, sofferenze anche psicologiche, violenze nascoste e subdole: quanto dolore che una schiera di innocenti sopporta ogni giorno in silenzio, senza protestare, senza schiamazzi, con umiltà e fede. Questo significa trasformare il male in bene, collaborare alla realizzazione del regno, imitare Gesù in croce!
Gesù ci manda come ‘agnelli in mezzo ai lupi’ ma quante volte siamo lupi in mezzo ad altri lupi o, peggio ancora, lupi in mezzo a molti agnelli!
La prepotenza! La prepotenza avvelena i rapporti, distrugge, separa anche in ambienti familiari in contesti fraterni: il prepotente si mostra forte con i deboli e debole con i forti. La prepotenza non è segno di forza ma di debolezza; chi è insicuro dentro e pieno di complessi è più portato a rifarsi sugli altri! Ha bisogno di far vedere che comanda lui, che non ha rivali: in realtà pur di primeggiare, calpesta il cuore del fratello. E questo è un grave peccato!
Il credente non protesta, non chiede ‘perché’, non scarica colpe su Dio o chi per lui: il credente si mette a disposizione, segue il maestro-agnello, è certo che Dio non sta tranquillo guardando dal suo cielo ma ha donato suo Figlio vero agnello e a chi lo accusa di non aver fatto nulla, risponde: ‘Dopo aver mandato mio Figlio, ora mando te’.
Oggi osservati speciali, i pastori che ‘senza indugio’ si recano a vedere Gesù, adagiato nella mangiatoia con Maria e Giuseppe. Vanno a riferire agli altri ciò che hanno visto: e questi altri ‘si stupirono’ delle cose dette dai pastori. Lo stupore era nato dall’annuncio dell’angelo!
All’inizio c’è lo stupore! Prima di qualsiasi passo importante c’è lo stupore: lo stupore ti fa spalancare la bocca ma in silenzio, non dici una parola; Adamo ed Eva non si sono stupiti ma hanno preteso, hanno parlato, hanno rubato. I pastori si stupiscono!
L’angelo aveva detto ai pastori: ‘ Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia.’ I pastori trovano ma in realtà sono trovati! Trova colui che cerca, che è insoddisfatto, che ha bisogno; trova chi si fida di una indicazione misteriosa e parte senza pensare troppo alla meta ma pensando alla bellezza e alla fatica del cammino. Ecco un atteggiamento per il nuovo anno: lo stupore, la meraviglia! Sei ancora capace di stupirti? Sei capace di contemplare quello che hai nelle mani? O cerchi sempre qualcosa d’altro, eternamente insoddisfatto?
L’altro atteggiamento da imparare oggi è quello di Maria che ‘ custodiva queste cose meditandole nel suo cuore’. Le cose, le parole, le persone importanti vanno custodite nel cuore: tienile lì, non sciuparle, non perderle perché serviranno nel bisogno! Siamo bravi a custodire qualche risparmio, le foto vecchie dei nonni, dei genitori, custodiamo una proprietà: dobbiamo ancora imparare a custodire gli affetti, i momenti speciali della vita nostra e dei nostri cari, custodire ciò che Dio opera per noi, in noi! Custodire e meditare: azioni che sembrano inutili oggi, perché sembra che non producano nulla, in realtà costruiscono le fondamenta della vita. È come quando rivivi l’anniversario del Battesimo, del matrimonio o, nel mio caso, l’ordinazione sacerdotale: serve a capire dove sei, cosa ha prodotto, cosa è cambiato in te, nella coppia, in me, serve ad accettare me stesso e gli altri per ciò che sono, senza pretese. Dio non ha pretese su di noi, non ci tira la giacca, non chiede ai pastori se conoscessero le Scritture o ai magi se conoscevano il Messia che doveva nascere.
Custodisci nel cuore questo Natale, il Natale di quando eri bambino, non solo per tradizione ma perché diventi vita, impegno oggi. Perché ti metta in cammino come pastori e Magi verso un bambino speciale, verso una stella, ma soprattutto verso …se stessi!
Ecco l’altra parola per il nuovo anno: custodisci, medita, fermati!
La terza parola viene dalla giornata mondiale della Pace; dice il papa:
“Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni. Infatti, non si può giungere veramente alla pace se non quando vi sia un convinto dialogo di uomini e donne che cercano la verità al di là delle ideologie e delle opinioni diverse. …Nell’ascolto reciproco possono crescere anche la conoscenza e la stima dell’altro, fino al punto di riconoscere nel nemico il volto di un fratello.
Il processo di pace è quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta. “
C’è bisogno di mettere fine a qualche piccola guerra che abbiamo in corso, qualche scaramuccia che sta lì tutte le mattine , al risveglio e proprio non vogliamo accettarla, digerirla , trasformarla in un trattato di pace ; in realtà dovremmo capire che le piccole guerre in corso sono l’occasione per fare altrettanti trattati di pace, sono il punto di partenza per creare un incontro, un ponte , magari fatto solo di assi e funi , ma un piccolo ponte , dove passa una sola persona ma al sicuro! L’arsenale di quelle piccole guerre non sta in qualche fabbrica di armi ma dentro di noi, nei sentimenti, nel buio del cuore quando non lasciamo entrare la luce del Natale.
Ecco le 3 parole per il nuovo anno: stupore, custodire, ponti non guerre. Questo è il buon anno, un tempo, un’occasione per lasciarci benedire da Dio per lasciarci trovare dalla sua Parola, dal suo sguardo, per partire ri-nati dallo stupore dei pastori, dal custodire di Maria e da quella pace che, sola, può metter fine alle nostre piccole guerre di ogni giorno.
Buon anno, buon desiderio di ripartire per nuovi orizzonti, guidati dallo stupore dei pastori, dal custodire di Maria e dalla pace di un Dio venuto a donare pace alla nostra vita.
‘Sei tu o ci siamo sbagliati?’ ‘Sei proprio tu?’ Anche Giovanni Battista, il più grande profeta dubita e non capisce. Troppo diverso quel cugino, compagno di giochi d’infanzia dal Messia che tutti aspettavano. Ma non doveva sbaragliare i nemici, far scendere un fuoco dal cielo come con Elia? Non doveva liberare gli oppressi, salvare i poveri, cacciare i violenti?
Qualche dubbio viene anche a noi, eccome; d’altro canto anche Maria ha dubitato: ‘Come è possibile? Non conosco uomo’. Fede e dubbio possono coesistere: io credo e dubito nello stesso tempo e Dio è felice che mi ponga e gli ponga delle domande; le domande sono come un amo da pesca, ci entrano nel cuore per pescare in noi ciò che c’è di divino e farlo uscir fuori nel mondo. La domanda, il dubbio ci fanno sentire più uomini, più fragili, bisognosi della luce del Natale, bisognosi di una parola nuova, di una roccia sulla quale fondare le nostre scelte.
Anche a noi come a Giovanni vengono i dubbi e vorremmo aspettare: aspettare la prossima occasione per credere di più, aspettare la prossima volta per fare un favore a quello là, aspettare un altro povero per accorgerci dei poveri, aspettare il prossimo Natale per cambiare qualcosa, aspettare un’altra predica per iniziare a prendere in mano questo benedetto vangelo, aspettare qualcuno che sia d’accordo con noi per chiedere un parere, un consiglio, aspettare il prossimo funerale per riflettere sulla morte, aspettare quando sarò vecchio per andare di più a Messa, aspettiamo il prossimo prete che passa dalle mie parti per confessarci bene . Anche se vivessimo 2 o 3 vite, aspetteremmo un’altra vita per cambiare qualcosa!
Ma la frase ‘ Sei tu colui che deve venire ‘ può essere letta anche in altro modo; qualcuno oggi ci chiede: ‘Sei tu il cristiano che deve venire? Sei tu atteso alla prova della storia? Sei tu colui che oggi può far vedere il volto del Cristo nato a Betlemme? Sei tu che può continuare a incarnare quella parola di salvezza, quella parola nuova apparsa nel nostro mando 2000 anni fa?’ Forse – ci direbbe qualcuno – devo aspettare ancora un altro Natale, devo cercare ancora prima che un credente mi faccia venir la voglia di inginocchiarmi e adorare questo Dio bambino? Devo aspettare ancora prima di incontrare un innamorato di questo Dio innamorato di noi? Devo aspettare ancora prima di incontrare qualcuno che vada a cercare i poveri e si sporca le mani con loro, si batte a viso aperto contro le ingiustizie, ha l’umiltà di confessare le proprie colpe, senza giustificarsi o cercare attenuanti?
Sei tu, sono io quel cristiano atteso all’appuntamento della storia, serve il mio nome, il tuo, l’indirizzo, quante ore metti a disposizione, quanti soldi metti a disposizione, quanta volontà, quanta fatica, quanta pazienza, quanti bocconi amari da mandar giù per poter vivere da ri-nati oggi, rinati grazie a quel bambino nato per noi.
A Pistoia stanno costruendo un muro! Quanti muri nel mondo dividono Stati, Paesi, popoli, gruppi; per ogni muro che cade, altri ne nascono, alti, forti: sembra che proteggano, invece chiudono in una prigione magari dorata. Quello di Pistoia però è diverso: un muro fatto di cappotti, giacche invernali, sciarpe per riparare dal freddo. Si chiama ‘muro della gentilezza’, iniziativa che parte da una associazione di giovani che prende le mosse da una esperienza di una città iraniana; lo slogan che li accompagna è ‘ Se non ne hai bisogno lascialo, Se hai bisogno prendilo’. Poche e semplici le regole del muro della gentilezza che però generano una cultura della gentilezza, dell’incontro, del ‘prendersi cura’: finalmente un muro che unisce anziché dividere.
Giacomo nella seconda lettura ci invita: ‘Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri per non essere giudicati: ecco il giudice è alle porte’. Ecco un buon spunto per questi ultimi giorni d’Avvento: non lamentiamoci ma sentiamoci felici, soddisfatti perché questo Dio si prende cura di noi, lascia il suo cielo per diventare il Dio-con-noi’.
‘Ecco, dice ancora Gesù a proposito di Giovanni, io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via ‘: siamo noi oggi questi messaggeri che Dio invia per preparare la sua venuta. Siamo noi attesi per rispondere il nostro ‘sì’ ad ogni appuntamento con qualche fratello che non crede e ha bisogno di qualche traccia da seguire per giungere al vero incontro. ‘Fra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui’: siamo noi i più grandi di Giovanni il battista’ quando prepariamo la via, la strada cioè il nostro cuore alla sua venuta.
Tutto parte dal giardino di Eden, il famoso paradiso terrestre in cui Dio per primo va alla ricerca dell’uomo e gli chiede: ‘Dove sei?’ Prima erano stati ingannati dal serpente che aveva detto loro di mangiare puree il frutto proibito: ‘Non morirete affatto!’.
Di fronte a tutto ciò Dio che cosa fa? Non si indispettisce, non dice, mi hai tradito, o guarda cosa mi avete combinato!
Dice ‘Dove sei? Li cerca, non li lascia soli, va a salvarli dalle sgrinfie del demonio! Ecco la prima parola chiave oggi: ‘Dove sei? È ciò che chiede a me e a te: Dove sei? A che punto sei nel tuo cammino? Magari hai qualcosa da farti perdonare, magari ti sei perso, magari la tua fede vacilla un po’, magari cerchi anche tu quel frutto proibito così bello e attraente, quello che hanno tutti e tu no, quello che ti farebbe toccare il cielo con un dito, quello che Dio ti vieta (e dunque è cattivo se ti nega proprio quella cosa lì, così bella e attraente, che mi seduce). Dio non si stanca e per primo cerca l’uomo per salvarlo da una vita senza senso!
Seconda parola: frutto proibito; si dice che più proibisci una cosa a qualcuno, e più ti vien voglia di averla. Dal giocattolo del mio amico di infanzia, al voto più bello a scuola, alla ragazza del mio amico (al ragazzo della mia amica), al posto di lavoro più ambito. La colpa non la vuole nessuno, (tranne Dio che la prende su di sé, senza averla) e Adamo ed Eva se la rimpallano. Loro come noi, vogliono sempre qualcosa in più, qualcosa d’altro ma non come l’esploratore che vuol superare i limiti delle conoscenze per scoprire nuovi orizzonti ma come un bambino capriccioso o come un anziano egoista. Qual è il segreto della vita? mettere le mani su tutto e su tutti da padroni incontentabili oppure apprezzare, ringraziare, valutare bene ciò che abbiamo a disposizione? Vale di più il singolo albero vietato ad Adamo ed Eva o i mille alberi magari più ricchi di frutti che avevano a disposizione? Cerca di desiderare ciò che possiedi, non voler possedere tutto ciò che desideri!
Ho sentito recentemente uno psicologo che parlava dei regali di Natale e dava alcuni consigli:
Fare regali ai bambini solo se richiesti
Uno solo, non tanti doni
Giocare insieme con i bambini, ai ragazzi
Mettili sotto l’albero ma aspetta ad aprirli
Scartarli uno per volta con calma, tutta la famiglia insieme
Coltivare il desiderio di un regalo.
Eva e Adamo hanno cercato un nuovo regalo, un regalo con poteri speciali per diventare come Dio: insaziabili, come noi!
Maria non ha bisogno di nuovi regali perché comprende che il regalo più prezioso è la grazia, il vestito nuovo, il manto regale che Dio le donava, quello di essere serva! E dunque madre!
Terza parola chiave: ‘ Rallegrati piena di grazia ’ Gioisci, sii felice. Apriti alla gioia come in una giornata di primavera: Dio è qui, ti stringe in un abbraccio, in una promessa di felicità perché piena di grazia! Maria non è piena di grazia perché ha detto sì ma perché Dio l’ha scelta, Dio ha detto sì a Maria, senza condizioni, e dice sì a ciascuno di noi prima della nostra risposta! Che io sia amato da Dio non dipende da me: quel nome ‘Maria’ significa ‘amata per sempre’ è anche il mio, il tuo nome: buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre. Piccoli o grandi, tutti continuamente riempiti di cielo. Quando nella Bibbia Dio dice ‘Il Signore è con te’ gli propone un futuro bellissimo anche se arduo. Lo invita a diventare protagonista della storia più grande. Darai alla luce un figlio che sarà figlio tuo ma anche dell’Altissimo. La prima parola di Maria non è ‘sì’: ma all’inizio Maria dubita: ‘Come avverrà questo?’ Porre domande a Dio non è mancare di fede, anzi è voler crescere nella consapevolezza.
Maria dopo il dubbio dice ‘sì’, voglio essere serva cioè regina appena dopo il re: il tuo progetto sarà il mio! Sono serva, cioè alleata del Signore. Come quello di Maria anche il mio, il tuo ‘eccomi’ può cambiare la storia: con il tuo, il mio sì possono nascere nuovi figli di Dio, nuove speranze, nuovo bene, nuove alleanze, nuovi gesti di perdono, di accoglienza, di fiducia.
Allora che tipo di Avvento vuoi?
A. Un Avvento seguendo il Dio che chiede: Dove sei?
B. Un Avvento in cui il frutto proibito ci attira sì ma non più dei tesori che abbiamo già nelle nostre mani
C. Un Avvento di gioia, di felicità perché Dio ha scelto Maria, l’amata e sceglie te e me per un futuro di festa per l’umanità.
Buon Avvento, buon cammino, buon ascolto, buon ‘ecco la serva’, ecco il servo del Signore: avvenga oggi per me, secondo la sua parola!’
Oggi è il primo giorno o l’ultimo? Primo del nuovo anno liturgico o l’ultimo? In realtà questo è primo e ultimo: il primo di questo giorno e l’ultimo di questo giorno: non ce ne sarà un altro identico! Non potrai vivere questa occasione, questo giorno: Se perdi questa opportunità non ce l’avrai mai più! L’occasione di fermarti, di salutare quell’amico, di pregare, l’occasione di diventare sempre più te stesso! La vita che vivi oggi non si presenterà mai più, ecco perché è l’ultimo giorno! Nella vita non è come a teatro, non hai repliche: questo anno, questo giorno, questo istante è unico: non sciuparlo, non sprecarlo, non gettarlo via.
Aspetta l’inatteso! Di solito aspettiamo un momento, una festa che già conosciamo, quella che prepariamo noi: Natale rischia di essere la nostra festa, non la festa di un Dio sorprendente. Avvento vuol dire far posto all'inatteso, a qualcosa che non sappiamo e non conosciamo, a Dio che viene dove, quando, come vuole Lui. Lui viene quando non ce lo aspettiamo: tu aspettalo, attendilo, sempre: lui viene in mille momenti diversi ma soprattutto viene dopo il singolo momento quando ti insegna a viverlo quel momento, a capirlo a decifrare quella perdita, quel colpo di fortuna, quel licenziamento, quella promozione, quel povero che entra nella tua vita, quella bella notizia che ti fa dire: ‘E io che cosa sto facendo di bello? Come vivo quella bella notizia, come divento io bella notizia?‘ due uomini saranno nel campo, uno sarà preso e l’altro lasciato; due donne macineranno alla mola, una sarà presa e l’altra lasciata…’ Cioè: un atteggiamento, una parola, una azione sarà ‘presa’ per costruire il regno e l’altra azione, l’altro gesto sarà lasciato, sarà eliminato e perdonato da Dio.
In Avvento è il caso di incominciare a lasciare, a perdere, a diminuire, a tacere, per lasciar fare a chi costruisce, edifica, fa crescere, a colui che parla e pronuncia parole nuove di cui abbiamo bisogno!
Un po’ troppo sbadati! ‘Nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e non si accorgevano di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti’. Che cosa sta accadendo di tragico di cui non ci accorgiamo? Forse qualche ponte che rischia ancora di crollare? Forse qualche attentato a Natale nelle nostre piazze gremite per i regali? Forse qualche altro crollo delle borse o crisi economica? Niente di tutto questo o perlomeno non a ciò si riferisce il Vangelo: accade piuttosto la nostra indifferenza, la nostra pigrizia, il nostro essere distratti sull'essenziale, incapaci di sospettare che sotto la crosta ci sia un’altra vita, che certe azioni abbiano valore eterno, che possiamo vivere diversamente, più leggeri, sospettare che questo tempo, questi giorni, questa vita mi sia donata per qualcosa d’altro.
Noi osiamo sospettare che il giorno ultimo, la fine della vita, la fine di questo mondo non siano una catastrofe bensì una promessa, la promessa che Dio fa le cose per bene, non come noi, e che possiamo davvero entrare in una nuova vita.
Qualcuno all'inizio dell’Avvento ci strappa via le coperte, ci butta giù dal letto e ci grida: ‘E’ ormai tempo di svegliarvi dal sonno, la vostra salvezza è più vicina ora di quando diventaste credenti’. La notte da cui dobbiamo uscire è quella di una vita incolore, vuota, senza senso, senza sapore, piatta, banale: l’Avvento viene a svegliarci, rialzarci e a indicarci la via verso la vera luce che può illuminare la nostra via.
Allora ecco le parole che ci guidano in questo Avvento:
· Oggi è il primo giorno, di una vita nuova
· Aspetta l’inatteso
· Non sbadati ma sospettosi che Dio viene
· Non addormentati ma svegli sull'essenziale.
Grazie Signore per i tuoi passi silenziosi che all'alba ci svegliano, ci rialzano e ci fanno venir voglia ci venirti dietro: inizia un’alba nuova, un tempo nuovo in cui vogliamo pensare all'essenziale, a ciò che conta di più. Inizia tu o Signore perché mi accorgo di addormentarmi spesso e proprio i tuoi passi non li sento. Diventa tu protagonista, tu che davvero sei in attesa che io volga i miei occhi, le orecchie, le mie mani solo verso di te.